PROLISSITA’

Ci sono testi di grandi dimensioni che sono tali per necessità: per esempio un manuale di storia medievale. La materia è ampia e, anche ad essere laconici, le pagine si accumulano. Chi scrive tuttavia non ha troppe preoccupazioni: il testo sarà letto o da colleghi amanti della materia quanto lui (oltre che interessati a prenderlo in castagna), oppure da chi è obbligato a farlo.
Le cose non stanno così se il destinatario è del tutto libero: questi prosegue la lettura occasionalmente cominciata se il testo non lo annoia ed anzi lo interessa, che si tratti di lettere, di articoli di giornale e soprattutto di commenti – siamo nel tempo di Internet – agli articoli dei giornali.
Ma il fatto è serenamente ignorato. Molti – anche al più basso livello – conservano il pregiudizio antico per cui chi scrive è un sapiente e i lettori gli devono essere grati dell’ammaestramento, comunque impartito. Gli scriventi non si pongono problemi di correttezza e di stile, non si chiedono se sono sufficientemente chiari, se qualcuno avrà la pazienza di andare fino in fondo o, addirittura, se non salterà il pezzo dopo averne intravisto la lunghezza. Oggi è più facile scrivere che avere lettori: l’offerta è torrenziale e la disponibilità a faticare affrontando un testo arduo o lungo è sempre minore.
I cattivi esempi esistono anche al più alto livello, se alto è. Scrivendo su “la Repubblica”, il giurista Franco Cordero si compiace (o si compiaceva, non siamo fanatici di quel giornale), di usare senza tradurle frasi in latino, francese, inglese, tedesco, ottenendo – immaginiamo – il doppio risultato di disgustare i lettori che non capiscono quelle lingue e di farsi mandare al diavolo da chi le conosce ed è abituato a non farne sfoggio. Al riguardo si può leggere, per sorridere, un testo (http://pardonuovo.myblog.it/archive/2010/01/24/franco-cordero.html) che lo irride con i suoi stessi tic ma fornendo poi la traduzione in italiano normale. Basti dire che l’imitazione comincia con le parole “Man macht was man auch machen kann, cioè, come dicevano i nostri ancestors, ad impossibilia nemo tenetur”. Parole che significano, semplicemente: “Si fa quel che si può, cioè, come dicevano i nostri antenati, nessuno ha l’obbligo di fare miracoli”.
Altre persone che confidano troppo nella pazienza dei lettori sono Eugenio Scalfari, uno che scrive testi fluviali, ardui, noiosi, oppure Barbara Spinelli, anche lei prolissa e ostentatamente dotta, anche se sostanzialmente solo moralista, conformista e inconsistente. Oggi scrive per esempio: “La memoria in Italia rischiara poco il passato e per nulla il presente: è una memoria ancillare, e quasi sempre emiplegica”. Notare: “in Italia”, sottintendendo in primo luogo che lei se ne distanzia (e infatti vive a Parigi), poi che il nostro Paese è – perché lo dice lei – il peggiore di tutti. E notare ancora gli aggettivi “ancillare” ed “emiplegica”, specificamente dedicati alla casalinga di Voghera. E quanto a senso autocritico, si veda il fatto che dedica novecento parole al giudizio storico su Craxi dopo avere irriso Augusto Minzolini per avere detto: “È arrivato il momento ¬ ¬ di guardare alle vicende di Craxi con gli occhi della storia». Per lei i giornalisti e i contemporanei farebbero bene a non avere la pretesa di avere questi occhi. Solo lei li ha.
Come se non bastasse, ambedue i guru sono ripetitivi. Tutte le occasioni sono buone per dire, Scalfari: “Siete tutti cretini, io solo sono intelligente, anche se non so che dire. E poi Berlusconi è un farabutto”. E la Spinelli: “Io sono coltissima e tanto per bene che mi fa perfino schifo vivere in Italia. E poi Berlusconi è un farabutto”. Tutto questo non vale il costo del giornale. Se i loro articoli fossero almeno brevi si potrebbe vedere se c’è l’occasione di una buona risata, ma duemila parole no, duemila parole uno può leggerle solo perché obbligato.
E se questo è vero per celebrati giornalisti, figurarsi quanto è vero per i tanti che scrivono articoli per i blog o, ancora peggio, inviano commenti a quegli stessi articoli. Qui bisognerebbe ricordare che dopo il quinto rigo si è già in fuori gioco e si sono persi parecchi lettori. Si ha il diritto di essere impazienti.  La vita è troppo breve per tutto quello che abbiamo da fare e da leggere. Non possiamo perdere tempo con chi dice con cento parole ciò che poteva dire con dieci. O, ancor meglio, che poteva non dire.
Se proprio si ha la tenacia di leggere un testo di notevoli dimensioni, si leggano i grandi capolavori. Siamo sicuri di non averne tralasciato qualcuno, inescusabilmente?
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
24 gennaio 2010

PROLISSITA’ultima modifica: 2010-01-24T20:35:00+01:00da gianni.pardo
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