ESSERE FRANCESI, ESSERE ITALIANI

In Francia si è organizzato un grande dibattito sull’ “identità nazionale” che, dicono, si è tradotto in un disastro: sia come interesse dei cittadini, sia come conclusioni. E se così è andata in una Francia che da noi ha fama di essere nazionalista, figurarsi che cosa avverrebbe in Italia. Eppure il fallimento del dibattito è dovuto, paradossalmente, al fatto che i francesi sono francesi e non se ne accorgono. Come non se ne accorgono gli italiani, di essere italiani. 
Non è un gioco di parole: è più facile vedere gli altri che se stessi. Quando Matteo Ricci arrivò in Cina, nel Cinquecento, notò certamente che i cinesi mangiavano con le bacchette, ma se fosse stato chiesto ai cinesi di definire la loro identità nazionale, non avrebbero certo detto: “Noi mangiamo con le bacchette”. Era una cosa  ovvia. Così mangiavano tutti, da sempre. Solo il gesuita venuto dal lontano Occidente poteva notare le bacchette.
Del resto anche in Italia, ancora negli anni Sessanta c’erano parecchi che, varcate le frontiere, si stupivano di non trovare la pasta al sugo, cotta come si deve per giunta. “Ma che diamine mangiano, qui?” Per loro il primo era invariabilmente e necessariamente la pasta asciutta.
Per capire una nazionalità è necessario “divenire stranieri”, in modo da vedere quel Paese – anche se è il proprio – come lo vedrebbe chi ci vive da poco tempo. Insomma è necessario, per così dire, avere due anime. Conoscere tanto a fondo due Paesi da riuscire, per esempio, a vedere la Francia con la propria anima italiana e l’Italia con la propria anima francese. Non sono richieste vaste esperienze internazionali e capacità di poliglotta: l’essenziale è soltanto che le “patrie” siano almeno due.
A questo punto l’italiano potrebbe dire al francese: tu sei francese perché ami il camembert. Perché ti credi un buongustaio e bevi troppo vino. Perché adori contestare la Francia e sognare che altrove si viva meglio, salvo rimpiangere il tuo Paese, con le classiche parole: “après tout, on n’est pas malheureux en France”, dopo tutto in Francia non si è infelici. Sei francese perché ti diverti con film che non farebbero ridere nessuno, altrove. Perché sei orgoglioso del passato e della cultura del tuo Paese, che personalmente non conosci, e perché reputi che la Francia meriterebbe di essere campione del mondo di calcio. Perché prima dici cose terribili su De Gaulle e poi gli fai un monumento. Perché adori la tua lingua e poi parli in gergo. In una parola perché non ti accorgi di seguire fedelmente il modo francese di vivere. E infatti altrove saresti uno straniero.
Lo stesso vale per noi italiani. Noi che ci consideriamo senza radici, vagamente apolidi, quasi offesi all’idea di nazionalità (“Chi, io, italiano?”), siamo tanto fortemente caratterizzati che lo straniero spesso rimane esterrefatto: quel che vede gli farebbe dedurre che questo è l’Inferno e invece poi si accorge che gli italiani sono sereni e allegri. Che invece sia il paradiso?
Anche se non ci piace ammetterlo, siamo italiani eccome. Prova ne sia che siamo disorientati non appena varchiamo la frontiera. Già parliamo soltanto l’italiano (spesso male) ma soprattutto consideriamo naturale solo il nostro modo di mangiare, di scherzare, di fare i furbi, di parcheggiare, di guidare e di disprezzare lo Stato. Le regole – si sa – sono state scritte per gli ingenui.
Poi, senza accorgercene, abbiamo una serie di ricordi comuni che sono solo nostri: qualunque italiano sa che cos’è stata la “tragedia di Superga” e qualunque straniero non lo sa. Insomma abbiamo anche noi le nostre tradizioni, i nostri pregiudizi, le nostre manie. Se i francesi pensano di non poter vivere senza camembert, noi pensiamo di non poter vivere senza caffè. Gli altri sono più ricchi ma noi ci considereremmo degli straccioni se ci vestissimo come si vestono i francesi. Insomma nel bene e nel male, siamo italiani, con una storia fra le più gloriose d’Europa e con uno degli Stati più scassati e corrotti. Un Paese che è culla della grande musica e sede del Festival di Sanremo, cioè  con molto di cui inorgoglirsi e troppo di cui vergognarsi. Ma che nessuno insulti mia madre: i suoi difetti li conosco perfettamente ma voi dimenticateli e andate agli Uffizi.
Forse bisognava dire a Nicolas Sarkozy che era del tutto inutile promuovere la nazionalità. Sarebbe come promuovere il fegato: qualcosa di cui ci si accorge solo se non funziona.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
19 febbraio 2010

ESSERE FRANCESI, ESSERE ITALIANIultima modifica: 2010-02-19T10:10:45+01:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “ESSERE FRANCESI, ESSERE ITALIANI

  1. E infatti, Sarkozy si è preso per moglie una modella italiana. MA quella è stata solo un’operazione di marketing, per entrambi

  2. Un bel affresco per descrivere il concetto.
    Ho viaggiato l’Italia tutta per 9 anni e qualche volta anche l’estero e piccole differenze per cui scannarsi e su cui soffermare l’osservazione spesso le trovano anche tra comuni vicini e dal vicino di casa o dal fratello, ovvio che sono italiano o qualcosa che ci somiglia nei minimi comuni denominatori.
    All’estero hanno altre mentalità, altri modi di fare le cose e di intendere la vita che sono frutto di altre storie, evoluzioni, risorse e necessità.
    Sono loro, siamo noi, siamo solo uomini appartenenti alla specie Sapiens Sapiens, questo è quello che siamo a prescindere dalle convenzioni e da ogni raggruppamento e divisione possibile tra noi o dalla cottura della pastasciutta.
    Dovremmo cercare di prendere solo il meglio da ogni cultura e trasferirla nel nostro vivere il presente per trovare un evoluzione verso nuove frontiere di benessere e di conoscenza come con internet sta accadendo alla faccia di tutti i sostenitori dell’ermetismo e della paura del nuovo con il mettersi in discussione che comporta.
    Inesorabilmente alcune culture cadono in disuso e altre nuove le sostituiscono in un processo evolutivo di trasformazione più o meno lungo.
    Non è la nazionalità ad essere malata ma chi pretende di curarla.

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