L’ENIGMA TRASPARENTE DI EMERGENCY


È già molto difficile capire ciò che è vicino e su cui sappiamo tutto, figurarsi ciò che è lontano e su cui sappiamo pochissimo. Nel caso di Emergency in Afghanistan esistono tuttavia tre dati di base che permettono delle deduzioni pressoché sicure. Nei giorni scorsi è avvenuto quanto segue:
1) le autorità afghane hanno arrestato tre collaboratori italiani, oltre ad alcuni afghani, sostenendo di aver trovato nell’ospedale armi ed altro materiale che proverebbe una collaborazione con gli insorti; 2) pochissimi giorni dopo, ciò malgrado, gli arrestati italiani sono stati rilasciati e 3) l’ospedale – su pressione delle autorità afghane e dei militari inglesi, a quanto dicono tutti – è stato chiuso.
L’arresto degli italiani non si giustifica. Se veramente i tre avessero collaborato con i talebani, e se veramente fossero esistite prove obiettive, come il rinvenimento di materiale che dimostrava la loro colpevolezza, i tre non sarebbero stati liberati così presto. Anche ad ammettere che gli indizi fossero poco consistenti, la necessaria indagine per escluderne il valore probatorio avrebbe richiesto più tempo. Non in Italia, dove il metro del tempo giudiziario è l’anno, ma perfino in Inghilterra o negli Stati Uniti, in cui si tende a non tenere in galera gli imputati. E fra l’altro, nei Paesi anglosassoni, anche quando qualcuno è rilasciato su cauzione, gli si impone di rimanere a disposizione della giustizia: invece i tre italiani stanno per tornare in Italia di gran carriera. La conclusione – che Gino Strada gridava prima ancora di disporre di qualunque dato – sembrerebbe essere che i tre sono platealmente innocenti e che qualcuno ha creato false prove a loro carico.
Ma c’è un fatto che ribalta la prospettiva: l’ospedale è stato chiuso, e non per caso. Sul Corriere della Sera l’articolo di Fiorenza Sarzanini ha questo titolo: “Le condizioni per il rilascio: non riaprire l’ospedale”. Sulla Stampa, un giornalista che immaginiamo locale, Syed Saleem Shahzad, comincia così il suo articolo: “La loro libertà in cambio della chiusura dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah”. E gli altri quotidiani sono più o meno sulla stessa linea. Il fatto è significativo. Nessun Paese in guerra rifiuta l’aiuto che può dare un’équipe medica, soprattutto se, secondo le parole di Shahzad, “Quello di Emergency è di fatto l’unico ospedale attrezzato di tutta la provincia”. Né sarebbe motivo di ostilità il fatto che vi siano curati dei talebani, dal momento che è un dovere – quanto meno quando la guerra è fra eserciti regolari – curare i nemici feriti. Dunque l’ospedale non è stato eliminato né per la collaborazione dei tre italiani con i talebani – diversamente essi non sarebbero stati rilasciati – né per la sua attività sanitaria. Il fatto è avvenuto perché sia le autorità di Kabul, sia gli alleati inglesi reputavano che esso era un centro di collaborazione col nemico. Chissà, forse si è parlato della scoperta di armi solo perché bisognava trovare un pretesto per chiuderlo: è chiaro che il problema non era e non è di diritto penale. In un caso del genere le autorità non hanno il dovere di istruire un processo e dimostrare la responsabilità degli imputati ai sensi del codice: il primo dovere nasce dalla protezione dei propri soldati e dalle necessità della guerra. Insomma le autorità di Kabul e gli alleati inglesi erano convinti che l’ospedale di Emergency era un centro di sostegno per i talebani e per questo hanno fatto sì che chiudesse.
La conclusione è che male ha fatto Gino Strada a stracciarsi le vesti, proclamando l’innocenza di persone di cui non sapeva nulla di preciso. Ha solo presunto che i suoi amici non potessero essere colpevoli, mentre Kabul ha dimostrato la convinzione assolutamente opposta, in questo sostenuto da europei, come gli inglesi, che non sono gli ultimi, nella mentalità garantista.
Forse non si poteva dimostrare la colpevolezza dei tre italiani: e infatti sono stati rilasciati. Ma non si può neanche dimostrare l’innocenza di Emergency: e infatti l’ospedale è stato chiuso.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
19 aprile 2010

L’ENIGMA TRASPARENTE DI EMERGENCYultima modifica: 2010-04-19T14:33:12+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “L’ENIGMA TRASPARENTE DI EMERGENCY

  1. Stranissima questa storia della chiusura dell’ospedale.Appare quasi la conseguenza di una colpevolezza certa e diffusa. La sorte dei tre italiani? la loro liberazione è un fatto squisitamente diplomatico. Il Ministro Frattini in TV ha detto che se dovessero emergere colpevolezze se ne occuperà la magistratura italiana. Non si dice una cosa del genere se si è assolutamente certi dell’innocenza dei tre.Tutto per i buoni rapporti con il Presidente Karzai che visse 20 anni a Roma.Si legge sempre tra le righe che abbiamo fatto anche qualche altra concessione.

  2. “La Procura di Roma ha deciso di procedere contro ignoti per il reato di calunnia aggravata e continuata in danno di Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani “a seguito di notizie fornite dalle Autorità afgane preposte alla sicurezza al rappresentante diplomatico italiano a Kabul e qui riversate dal Ministero degli esteri tramite il reparto anticrimine del Ros di Roma”. Le indagini della procura, quindi, ora puntano ad individuare chi, tra le autorità afghane, ha organizzato il piano che ha portato al fermo dei tre operatori di Emergency con l’accusa calunniosa di aver tramato con i talebani all’organizzazione di un attentato terroristico.”

    Caro Pardo,l’onere della prova incombe solo su chi accusa, l’accusato non deve provare niente. Lo abbiamo sempre detto.

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