LA PELLE DELL’ORSO BERLUSCONI

Si immagini un signore, perfettamente sano di mente, che dopo avere allegramente pranzato con gli amici, stia al balcone al decimo piano, fumando un sigaro e contemplando il panorama. Sotto i suoi occhi, la baia assolata, le vele bianche dei panfili, il mare calmo a perdita d’occhio. E si immagini che al piano terra ci sia una piccola folla di persone che vorrebbe disporre di quell’appartamento e gli gridi instancabilmente: “Buttati giù! Forza, buttati giù! Il tuo posto lo prendiamo noi. Se ti butti giù ci fai contenti, anzi, è tuo dovere buttarti giù, buttati, buttati…”
Quante probabilità ci sono che quel tale si butti giù?
Per fare un altro esempio: non è perché molti desiderano che un Creso distribuisca le sue ricchezze; non è perché sembrano convenire tutti, appassionatamente, sull’utilità dell’operazione; non è perché già elaborano sapienti e complicati piani per la ripartizione, che quell’uomo darà loro tutti i suoi averi. In tutti e due gli esempio la domanda è: che interesse ha il primo a suicidarsi, che interesse ha il secondo a ridursi in povertà?
Ecco perché, invece di riuscire a sorridere con Mario Sechi per il suo brillante articolo sul Tempo del 2 agosto (1), siamo sopraffatti da una sorta di indignata mestizia. Il giornalista ironizza simpaticamente sulla designazione dei vari governi vagheggiati dall’opposizione ed ecco allinea il governo di transizione, il governo di tregua, il governo di responsabilità nazionale, il governo del Presidente (della Repubblica), il governo di unità nazionale, il governo della legalità, il governo dell’emergenza e infine il governo tecnico.  C’è da invidiarlo: come riesce a sorridere di questa sorta di follia nazionale? Sono settimane, mesi, anni che a sinistra e al centro – sempre nell’interesse del Paese, beninteso – ci si dividono le spoglie di Silvio Berlusconi. Questo a te e questo a me. Dopo di lui governiamo così o governiamo cosà. Tizio lo possiamo accettare e Caio no. O forse sì. Il programma potrebbe essere questo. Anzi, no, potrebbe essere quest’altro. E quanto meno siamo tutti d’accordo su questo punto. O almeno, quasi tutti.
In questo delirio collettivo non si tiene conto che Berlusconi è ancora lì; che è sul balcone e non ha voglia di andarsene; che tutti sono al piano terra e ci rimarranno fino a nuovo ordine. Che senso ha parlare di un vivo come se fosse morto? Forse che questo ne peggiora la salute? Bisogna proprio essere superstiziosi, per crederlo.
Se la sinistra vuole andare al governo, se vuole togliere di mezzo Berlusconi, deve elaborare una politica che batta il Pdl. E sarebbe grasso che cola se riuscisse a farlo alle prossime elezioni, magari nel 2013. Non è certo con gli esorcismi che si può togliere di mezzo il Cavaliere. Abbiamo la prova: se essi bastassero, sarebbe morto tre lustri fa.
Tutti i tipi di governo ricordati da Sechi nascono dall’idea che essi siano opportuni. Ma opportuni per chi? Non basta dire ipocritamente “nell’interesse del Paese”. Innanzi tutto perché sono nell’interesse di chi li propone e poi perché la controparte ha legittimamente un’idea ben diversa dell’interesse del Paese.
È sciocco ripetere ogni giorno che l’orso è morto e bisogna venderne la pelle. L’orso è vivo e può ancora uccidere con una zampata. È difficile sorridere di tutto questo. Per chi ha buon senso l’attuale situazione induce tutta la tristezza che può ingenerare lo sciorinamento dei sintomi di una grave paranoia collettiva.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
2 agosto 2010
(1) Mario Sechi, “la Governeide”.
http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=T5SQ9

LA PELLE DELL’ORSO BERLUSCONIultima modifica: 2010-08-03T08:47:04+02:00da gianni.pardo
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21 pensieri su “LA PELLE DELL’ORSO BERLUSCONI

  1. Sacrosantemente vero, caro Gianni. Mi è venuta prima una profonda noia a sentire le solite belle frasi retoriche dei vari politici che, nel nostro interesse, sproloquiano a vanvera e poi effettivamente tanta tristezza. Tutti a ribadire la questione morale e poi nel loro piccolo fanno peggio degli altri. Tutti hanno la memoria molto corta. Abbiamo riso per uno Scaiola che non sapeva chi gli pagava l’affitto e Fini, povero fanciullo, non sa a chi è stata venduta la casa di Montecarlo in carico ad AN; tutti, o quasi, a dichiarare che le intercettazioni sono sacrosante e che le personalità pubbliche non hanno diritto ad una loro privacy e Fini, o chi per lui, chiedere ai blog di togliere foto che ritraggono la sua attuale compagna in dolce compagnia di Gaucci. Viene davvero la nausea e se andremo alle elezioni non credo basterà turarci il naso.

  2. Lo ripeterò fino alla noia più profonda, ma ha sempre ragione La Rochefoucauld: “Tutte le virtù si perdono nell’interesse come tutti i fiumi si perdono nel mare”.
    Ecco perché non perdono la vicenda della casa di Montecarlo a Fini: non per la cosa in sé, che considero umana (visto il mio pessimismo sull’umanità), ma perché posa a moralista. Questo no, non si può sopportare.
    Come diceva Disraeli di Gladstone: “Gli perdono di barare, ma non sopporto che sostenga che è Dio che gli ha messo l’asso nella manica”.

  3. Mi scuso se lo posto qui, ma la discussione inerente questo mio post ad oggi risulta piuttosto vecchiotta e io sol ora mi sono accorto della sua risposta. Mi riferisco alla risposta in cui lei sostiene di aver scritto degli articoli in cui riteneva di aver dimostrato che la Costituzione si dividerebbe in una parte di”norme”, e una parte costituita da “prediche” che “norme” non sono. , aggiunge lei. In più mi si rivolge dicendomi “mi consenta di non riprenderle e di non riscriverle”.
    Glielo consento tranquillamente, anzi direi con grande piacere. Se voglio leggere qualcosa sulla nostra Costituzione mi accontento di leggere ciò che ha scritto, ad esempio, Calamandrei: “La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico. La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare”.
    Anzi le dirò di più non solo mi accontento, ma addirittura preferisco leggere Calamandrei. Bah, sarà che sono fatto in modo strano.

  4. Lasciamo da parte giganti come Calamandrei, quando si occupava di diritto.
    Nel momento in cui si dice che la Costituzione è un programma politico se ne sminuisce il valore giuridico.
    Una norma è giuridica – lasciando da parte più sottili questioni di filosofia del diritto – quando se ne può richiedere al giudice l’applicazione forzosa. E nessuno può richiedere al giudice di fargli avere un lavoro, solo perché la Costituzione tratta il lavoro come un diritto. E questo vale per la casa, per la sanità e per mille altre cose.
    Inoltre, se la Costituzione fosse un programma politico, questo toglierebbe agli italiani il diritto di cambiarlo, questo programma.
    Ma – ora mi dirà lei – la Costituzione non dà un programma particolareggiato, indica soltanto ideali da raggiungere. E allora è aria fritta. Predicazione, come dicevo.
    Ma, ripeto, non voglio importunarla con i miei articoli, che non le citerò. Rimanga pure della sua idea.

  5. No, ma per carità. Non è che voglio che uno di noi esca da questa discussione con le idee cambiate. Non vorrei però nemmeno che si cambiasse il senso di quello che ha scritto Calamandrei. Lei addirittura ora mi scrive che Calamandrei sminuirebbe il valore della Costituzione. Ma le pare? Calamandrei dice che è la Costituzione è un programma politico concordato, però aggiunge diventato legge. Non è mica un dettaglio? Sempre per rafforzare il concetto aggiunge ancora, “legge che è obbligo da realizzare”. Il senso delle Costituzioni è un pò questo. Stabilire principi, regole, coordinate cui gli organi legislativi si “devono” attenere. E soprattutto obiettivi inderogabili cui gli organi legislativi stessi “devono” mirare.
    Questo è quello che leggo nelle parole di Calamandrei e questo è lo scopo di una Costituzione. Lei invece da predicazione ora addirittura è passato ad aria fritta. Insomma dove arriverà tra poco? Fermiamoci prima della carta Scottex, mi raccomando

  6. La differenza fra noi è facile da identificare: per lei ciò che è bello e vago è importante, per me, giuridicamente, non vale assolutamente nulla. Non è attivabile in concreto. E quando la Corte Costituzionale l’applica in concreto, il mio sospetto invincibile è che ci sia un’interferenza delle opinioni politiche dei giudici della Corte. E non sto parlando delle leggi cui è interessato Berlusconi. Da un principio come quello dell’uguaglianza dei cittadini si può dedurre qualunque cosa, in concreto. Anche la tutina che Mao ha imposto a milioni di cinesi, uomini e donne: potrebbe essere una conseguenza dell’uguaglianza, imposta a termini di costituzione, a tutti i cittadini.
    Mi scusi se, per parte mia, chiudo qui la discussione.

  7. Si figuri se non la scuso. Chiuda, non si preoccupi. Anche perchè noto che si sta arrabbiando. Non vorrei mai. Ricordi però che in Italia non è per niente imposta l’uguaglianza dei cittadini a termini di costituzione. La Costituzione stabilisce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Cioè stabilisce che un reato è un reato per chiunque lo commetta. E stabilisce pari diritti giuridici per tutti i cittadini. Per esempio il voto suo vale uno così come il voto mio e di tutti i cittadini aventi diritto. Giusto per fare un esempio.
    La nostra Costituzione non vieta la proprietà privata, mi pare. Sarà perchè non le piace, ma lei attribuisce cose inesatte a quel testo.
    E vabbè che altro dire a questo punto…Buon proseguimento

  8. Senta, torniamo all’inizio. Se ha la cortesia di spedirmi il suo indirizzo e-mail (giannipardo@libero.it), anche senza una parola d’accompagnamento, le spedirò i miei tre o quattro articoli che hanno la parola costituzione nel titolo. Dopo, quanto meno, avrà idea di come la penso, se avrà avuto la pazienza di leggerli. E mi potrà dare torto, se vuole, con maggiore cognizione di causa. Se invece non ha tempo o non ha voglia di leggere i testi di uno che, dopo tutto, non è certo un costituzionalista, per mestiere, l’avremo finita qui.
    È vero, stavo quasi per arrabbiarmi e le chiedo scusa. Il fatto è che la mancanza di senso del reale, quando credo di percepirla, mi infastidisce. Una norma che o non può trovare applicazione concreta, o può essere interpretata fino a farle dire quel che si vuole, o mi fa ridere o mi atterrisce.

  9. Infatti, non solo atterrisce ma risulta del tutto incomprensibile e inattuabile, quindi inutile.
    Del resto sappiamo che la costituzione è il mediocre frutto del solito compromesso consociativo, una modalità che nel nostro paese dal dopoguerra in poi ha sempre e solo creato mostri e mostruosità giuridiche (e politiche).
    Prendiamo l’art. 3 ad esempio, non vi viene affermata l’eguaglianza dei cittadini solo di fronte alla legge, ma per estensione in tutto il contesto sociale. Ma la formulazione è talmente irreale e generica (vedi il secondo capoverso) che potrebbe essere attuata in mille modi differenti e confliggenti tra loro e finisce per non servire a nulla (basti pensare alle interminabili diatribe tra giuristi sul suo significato).
    Aria fritta, come sostiene giustamente il prof. Pardo, che è servita per taciatare e accontentare le varie forze costituenti e avere il consenso dei più, ma sempre di aria fritta si tratta.
    Le stesse caratteristiche hanno molti articoli della prima parte (che significa fondata sul lavoro? doveri inderogabili di solidarietà politica? e il II cpv dell’art. 4?) e, solo per fare un ulteriore esempio, molta parte del titolo III (che infatti è rimasta lettera morta).
    Però la costituzione ha dato molto da fare a generazioni di giuristi che hanno dato il meglio (o il peggio) di sè nel commentare in mille modi possibili tali oscure formulazioni.
    Resta il fatto che la costituzione oggi per lo più serve per scopi prettamente politici e propagandistici (proprio in funzione della sua genericità e oscurità) e viene usata spesso come una clava con cui colpire l’avversario quando non esistono argomenti concreti e fondanti per farlo.
    E, diciamolo, vale anche come muro ideale contro cui far schiantare qualsiasi proposta di cambiamento del nostro immutabile paese (già parlarne è proibito, alla faccia della democrazia di cui all’art.1).

  10. L’ordinamento del nostro Paese prevede che si possano cambiare molte cose, compresa la Costituzione. Basterebbe solo avere la volontà e soprattutto le idee per farlo. Riguardo all’articolo 3 così oscuro ad Alessio, sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la necessità che sia consentito a tutti di partecipare alla vita pubblica della nascente Repubblica. A tutti con uguali diritti.
    A lei pare oscuro e insensato a me pare la democrazia. Questo è semplicemente il principio cardine della democrazia.
    Mi dolgo che la Costituzione non piaccia neanche a lei, ma gli porgo l’invito ad adoperarsi con chi la pensa come lei per cambiarla. L’articolo 3, tutela le sue azioni pubbliche e politiche, attribuendole pari diritti e dignità rispetto a qualsiasi altro cittadino.
    Farà anche schifo questa Costituzione, ma talvolta basterebbe conoscerla un pò meglio e sforzarsi di capirla. Saluti anche a lei, Alessio

  11. arnoldo, né alessio né io riusciamo a spiegarci. Naturalmente siamo contenti che tutti i cittadini siano uguali dinanzi alla legge, ecc. Il fatto è che l’ecc. è pericoloso. Il dettato dell’articolo è infatti estensibile in modo imprevisto. Una volta ho scritto che potrebbe fare parte dell’uguaglianza dei cittadini l’abolizione della distinzione dei cessi per uomini e donne. Lei è d’accordo? L’art.3 afferma che tutti i cittadini sono uguali. Se in Italia ci fosse il servizio militare obbligatorio, potrebbe la Corte Costituzionale imporre al governo di introdurre il servizio militare per le donne, come in Israele, perché le donne sono uguali agli uomini dinanzi alla legge? La Corte Costituzionale potrebbe anche imporre l’assunzione delle donne nel corpo dei pompieri, senza tenere conto degli sforzi fisici imposti a questi benemeriti salvatori. Ecc. Ma mi rassegno e la trascrivo uno dei miei articoli al riguardo.
    LA COSTITUZIONE È PERICOLOSA

    Una Costituzione piena di buone intenzioni è per questo pericolosa. Essa può infatti facilmente essere stravolta in direzione opposta a quella desiderata.

    Una delle caratteristiche che differenziano il diritto dalla morale è l’esteriorità. La legge si rivolge ai comportamenti e non ai pensieri o ai sentimenti. Essa richiede di essere osservata anche se non si è d’accordo e perfino se la si disprezza: ché anzi di questo non si cura, a meno che quel disprezzo non sostanzi un autonomo reato (istigazione a delinquere).
    Questo atteggiamento è molto diverso da quello richiesto dalla morale. La morale bada più all’intenzione che al risultato. Essa castiga il falso devoto, il filisteo che compie i gesti richiesti ma non con i sentimenti richiesti. Il Cristianesimo, se pure invita a dare a Cesare quel che è di Cesare (norma esteriore), nell’ambito morale apprezza più chi ha l’intenzione di agir bene che chi rispetta la norma religiosa esteriore (“Il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”, Marco 2, 27.).
    Nel mondo moderno, un po’ per il decadere del sentimento religioso e un po’ per la tendenza allo Stato etico, la legge diviene la norma pregnante della società. La gente si stupisce quando un comportamento negativo non è sanzionato dalla legge, quasi che questa dovesse regolare ogni momento della vita di tutti. Un tempo si considerava un diritto del pater familias quello di tiranneggiare i propri figli o la moglie. In seguito – molto opportunamente – è nato il reato di maltrattamenti in famiglia (art.570 C.p.) ma la tendenza non si è fermata qui. Anzi è andata troppo lontano e il maestro che una volta era sanzionato solo nel caso di eccessi nelle punizioni corporali degli alunni (art.571 C.p.), oggi rischia grosso se umilia uno scolaro asino dinanzi a tutti.
    Il testo giuridico in cui morale e diritto si confondono di più è la Costituzione. In essa la maggior parte degli articoli ha un alto e lodevole valore e infatti essa costituisce una garanzia per tutti i cittadini. Purtroppo in essa esistono norme dal contenuto non identificabile e non sanzionabile le quali potrebbero prestarsi, se l’Italia prendesse una brutta piega, ad inammissibili abusi.
    Si prenda l’Art.1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Già si potrebbe discutere sull’aggettivo “democratica”. Qual è una repubblica non democratica? La Roma repubblicana era democratica o no? E basta chiamarsi democratici? Come dimenticare che tutti i satelliti sovietici dell’Est Europa si definivano repubbliche democratiche? La parola repubblica bastava e avanzava. Ma sopratutto è sbalorditiva l’affermazione per cui la Repubblica è “fondata sul lavoro”. Dal momento che il lavoro in sé non esiste, si fa ovviamente riferimento ai lavoratori. Ma chi sono, costoro? Tutti, salvo i pensionati? Tutti, salvo le casalinghe (come se non lavorassero!)? Tutti, salvo gli ecclesiastici? Oppure, Dio non voglia, tutti salvo coloro che lavorano senza sporcarsi le mani, cioè una massa di persone che va dai maestri elementari ai deputati e ai senatori?
    Uno è costretto a fare sforzi di fantasia. Forse i costituenti volevano escludere i parassiti, come se si fosse nel 1788? I nobili proprietari terrieri? Ma, anche in questo caso, a parte il fatto che “tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge”, come dice la stessa Costituzione, essi erano già, nel 1947, una sparutissima minoranza; e poi chi ha detto che il proprietario terriero, nobile o no, non lavora? Se non amministra oculatamente i suoi fondi finirà col perderli. Amministrare una grande proprietà è forse diverso dal dirigere una banca?
    A questo punto, dinanzi a questa serie di perplessità, si può fare l’ipotesi che “fondata sul lavoro” significasse “che dal lavoro spera di ottenere la propria prosperità”. Bella scoperta: e da che altro potrebbe derivare, la ricchezza?
    Ma ecco un’altra ipotesi: forse si voleva dire che la Repubblica aveva in particolare simpatia i lavoratori (anche se non abbiamo saputo chi siano), e che essa avrebbe cercato di favorirli più degli altri. Ma non è incostituzionale preferire alcuni cittadini?
    L’articolo è francamente insostenibile. Né più sostenibile è quell’altro che parla di diritto al lavoro. Si ha un diritto quando si può ottenere forzosamente rivolgendosi al giudice: non un lavoro.
    Un altro esempio, l’art.3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ecco un’accozzaglia di parole retoriche che giuridicamente (e la Costituzione dovrebbe essere un testo giuridico) non significano assolutamente niente. In compenso sono pericolose.
    L’eguaglianza dei cittadini, una volta che vada oltre il sacro principio teorico e si incarni nella “rimozione degli ostacoli” alla sua attuazione, può significare il sequestro di ogni bene ai Kulaki e il loro massacro se resistono. Anche quell’operazione tendeva all’“uguaglianza dei cittadini”: non tutti infatti erano proprietari terrieri. Ecco perché bisogna preferire le norme dal contenuto concreto e identificabile a norme dal contenuto ideologico che ciascuno può stravolgere come meglio crede. La formulazione dell’articolo 3, per la parte in cui l’imperativo è inconsistente e impossibile da sanzionare, non è giuridica; per la parte in cui indica dei comportamenti è pericolosa per l’interpretazione che se ne potrebbe dare. L’Italia non ha massacrato i suoi Kulaki ma nel ’68 ha avuto gente che protestava contro la bocciatura negli esami universitari, sostenendo che era una discriminazione. L’uguaglianza dei cittadini richiedeva che si desse il 18 politico a tutti, magari con un esame di gruppo in cui parlava l’unico che aveva studiato.
    Recentemente la Corte Costituzionale ha reintrodotto la possibilità dell’appello del PM contro la sentenza d’assoluzione. Solo che qui da un lato c’è un privato che paga l’avvocato di tasca sua ed è tenuto sulla graticola per anni, dall’altro la polizia dello Stato, i carabinieri, la magistratura e tutta l’indolente organizzazione della giustizia. Bella uguaglianza. Poi, quando un magistrato in primo grado ha assolto il cittadino questi – non che poter protestare che è già stato sottoposto a giudizio (ne bis in idem); non che poter protestare che, anche a sussistere qualche dubbio sulla sua innocenza, il dubbio è sufficiente per l’assoluzione, ecco si trova costretto a riprendere il calvario. Magari fino in Cassazione. La nostra Costituzione dunque, secondo l’interpretazione della “Consulta”, reputerebbe inammissibile un istituto che in Inghilterra, patria dell’habeas corpus, è in vigore da secoli.
    Ancor più serio è il discorso sull’art.27. I primi due paragrafi non si prestano a discussioni e si è anzi lieti di vederli contenuti nella Costituzione ma è allarmante il quarto: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In Italia – grazie al cielo – esso fa pensare a biblioteche all’interno delle carceri, a corsi di storia o di informatica per i detenuti, o al coinvolgimento dei carcerati nell’amministrazione della comunità. Ma se il governo divenisse autoritario ed ideologico, se facesse leggi contro il dissenso, se mettesse in carcere chi critica l’autorità, come non vedere che quella “rieducazione” potrebbe portare, come in Cina, ai “campi di rieducazione”? “Non solo starai in carcere ma, dal momento che tendo a rieducarti, dovrai studiare la dottrina del partito e dire che ne sei convinto”.
    Finché si vieta di percuotere il carcerato, o di tenerlo in galera senza un ordine del magistrato, sia lode alla Costituzione: ma perché affidare allo Stato il diritto di dire ciò che è bene e ciò che è male? Perché consentirgli di insegnare la morale, mentre tiene qualcuno in galera? Oggi il pericolo non è attuale ma è lecito avere paura di una Costituzione che tende tanto chiaramente “al bene”. Ancor più se si pensa che questo poi potrà essere affidato ai singoli amministratori della giustizia o ai politici. La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.
    Per alcuni lo stato etico è un’evidenza, per altri un pericolo. Per alcuni c’è confusione tra etica, politica e diritto, per altri questa è la radice della dittatura. Per alcuni una norma di ambito amplissimo ed incerto è nobilissima, per altri è aria fritta (se non applicata) e pericolosa (se applicata male).
    L’esteriorità del diritto, la sua alterità e la sua giusta distanza dalla morale sono una garanzia di libertà. Oscar Wilde è stato giudicato e messo in galera per motivi che oggi tutti reputerebbero assurdi ma che, appunto, allora furono reputati innegabili. Una Costituzione è tanto più liberale e tanto più rassicurante quanto meno si occupa della felicità e della santità dei suoi cittadini.
    Forse la Costituzione ideale è quella inglese, che non esiste.
    Gianni Pardo, http://www.pardo.ilcannocchiale.it
    10 febbraio 2007

  12. Gentile Arnoldo, senza offesa ma lei ripete solo ciò che afferma la costituzione e dal solo fatto che è affermato dalla cotituzione ne deduce la sua correttezza, ha tutta l’aria di una petizione di principio. Insomma una bella frase solo una bella frase anche se è contenuta nella costituzione, non dimostra nulla pe ril solo fatto che è una bella frase.
    Quanto al resto, certo se in questo paese bastassero la “volontà di fare” e le idee saremmo probabilmente i più avanzati del mondo. Purtroppo qualsiasi cambiamento della costituzione venga proposto provoca un immediata alzata di scudi degli autoproclamati custodi della costituzione (in Iran ci sono i custodi della rivoluzione noi abbiamo quelli della costituzione, ma, mutatis mutandis, l’intolleranza e l’arroganza sono molto simili).
    Non insisto ulteriormente con l’art. 3 perchè lei mi risponde con uno slogan (a tutti con uguali diritti) e ovviamente non si può discutere di fronte agli slogan che sono la quintessenza dell’anapodittico. Mi perdoni, ma questa è la mia reazione istintiva di fronte a certe frasi troppe volte ripetute.
    Faccio solo notare che fin dai tempi dell’università conosco la costituzione e mi pongo domande sul suo significato. Purtroppo la maggior parte sono rimaste senza risposta anche da parte di addetti ai lavori, i non addetti ai lavori di solito rispondono con slogan o citando sacri principi o frasi fatte che a loro volta non significano niente.
    I giuristi riescono a dipanare intricate matasse costituzionali, riescono a scrivere interi tomi disquisendo di un solo articolo, ma di fronte a domande semplicissime come “che senso ha questa frase? a che serve questo articolo?” ricorrono anche loro agli strumenti retorici di cui sopra.
    Concludo complimentandomi con il prof. Pardo per l’articolo che ha qui riprodotto (l’ultima frase sarebbe da incorniciare), finalmente si parla chiaro, senza quella insopportabile deferenza che tanti utilizzano quando si parla della costituzione italiana.

  13. Tra me e Pardo ritengo ormai chiari ed esplicitati i diversi punti di vista. Abbiamo capito che lui preferirebbe uno Stato senza Costituzione ed è nelle sue facoltà, essendoci libertà di pensiero. Diverso è dire che nella Costituzione ci sono norme che non hanno valore e altre che hanno valore. Riguardo all’esempio dei pompieri basti ricordarle che tutte le leggi sono soggette ad interpretazione, anche le leggi ordinarie. Lo si insegna nelle prime ora di un qualsiasi corso di diritto. Figurarsi gli articoli di una Costituzione. Se dall’articolo 3 lei ne fa discendere che le donne devono fare le pompiere o che magari per fare il giudice non ci vuole la laurea, il problema è nella sua interpretazione scorretta non nell’articolo 3.

    Chiudo diversamente con il signor Alessio, che con troppa presunzione e “spregiudicatezza” bolla come slogan la frase: “sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la necessità che sia consentito a tutti di partecipare alla vita pubblica della nascente Repubblica. A tutti con uguali diritti”. Questa frase, a chi è in grado di capire, spiega in brevi parole il significato dell’articolo 3. Ad essa ho aggiunto, a mò di esemplificazione, anche altre parole più sotto che a mio modesto avviso erano maggiormente chiarificatrici. Il punto è che lei, evidentemente, non l’ha capito e confonde tutto ciò con uno slogan e poi addirittura, non rendendosi conto della paradossalità insita in ciò, pontifica giudizi insindacabili su chi ha scritto la Costituzione, su tutta un’intera generazione di giuristi italiani e sulle altre persone che partecipano a questa discussione. Mi perdoni caro Alessio, ma pur essendo un sostenitore del confronto di opinioni diversi, talvolta anche per me esiste un limite. Il limite dell’altrui comprensione e del rispetto che si deve agli altri interlocutori. Mi perdoni ,ma nel suo caso viene a mancare sia l’una cosa che l’altra, quindi il confronto di opinioni mi pare impossibile.

  14. Non m’intrometto nella discussione sin qui sviluppatasi sia perchè mi pare conclusa e sia perchè ne sono estraneo, essendo arrivato tardi. Tuttavia mi permetto, umilmente, di commentare l’articolo postato qui sopra. Innanzitutto voglio contestare il punto secondo cui l’art.27 coverebbe (come una serpe?) nel suo seno il rischio di portare ai “campi di rieducazione”. Proprio la nostra Costituzione, infatti, costituisce la maggiore garanzia perchè l’Italia non diventi come la Cina. Per esempio una legge sul dissenso sarebbe impossibile nel nostro Paese proprio perchè anti-costituzionale. Il primo scopo della Costituzione Italiana, infatti, è stato proprio quello di garantire una Repubblica Parlamentare, immune da qualsiasi forma di totalitarismo.
    Una critica ugualmente ingiusta all’articolo 27 risulta quella di affibbiare pretese di Stato Etico laddove la nostra Costituzione afferma la volontà di tendere alla rieducazione del condannato. Per rieducazione, infatti, si intende “rieducazione civile e giuridica”. L’obiettivo in altri termini che il cittadino non commetta più nè quello per cui si è resa necessaria la pena nè alcun altro reato. Uno Stato che si preoccupa affinchè i propri cittadini rispettino le leggi non mi pare uno Stato Etico, ma al contrario un “normale Stato democratico”.
    La difficoltà d’interpretazione poi dell’articolo 3 e dell’articolo 1 lamentate sempre nell’articolo credo vengano innanzitutto affievolite se si considera la Carta correttamente (almeno secondo il mio parere) come un corpo unico e coerente. Cioè, intendo, l’articolo 1 assume il suo valore proprio se rapportato all’articolo 3. L’articolo 3 a sua volta va messo in connessione con l’articolo 49, laddove in quest’articolo si esplicitano i modi attraverso cui ai cittadini debba venire garantita la partecipazione alla vita democratica. Considerata nella sua coerente totalità la Costituzione offre, sempre a mio umile avviso, maggiore facilità d’interpretazione. E comunque (come per ogni tipo di legge o norma) esiste un’interpretazione legittima e interpretazioni illegittime. Ogni tipo di legge, infatti, produce effetto con la realtiva interpretazione. La persecuzione dei kulaki non sarà mai legittima nel nostro Stato. Il 18 politico si è dato in una particolare stagione della nostra Nazione, ma non certo per colpa dell’articolo 3. Queste sono interpretazioni totalmente “illegittime” dell’articolo 3, perciò fuori legge. Per questi motivi e per moltissimi altri che sono rimasti fuori da questo dibattito, io mi ritengo fiero di vivere in un Paese con la nostra Costituzione.

  15. Caro Raffaele,
    lei è l’esempio lampante del proverbio che dice che “l’uomo onesto non crede all’uomo ladro”. Dal momento che a lei pare assurdo che si possa usare la legge per scopi diversi da quelli per i quali è stata concepita, pensa che neanche gli altri lo farebbero. Invece Alessio ed io, diffidenti, forse anche per precorse esperienze giuridiche, preferiamo che la norma non permetta interpretazioni erronee, sconfinando nell’etica ecc. Essa deve limitarsi a ciò che è precisamente giuridico.
    Lei ha ragione, quelle interpretazioni che noi temiamo non sono forse quelle cui pensava il legislatore, ma lei è sicuro che nessuno le adotterebbe mai? E lei è sicuro che la Corte Costituzionale decida esclusivamente in base ad una corretta interpretazione della Carta? Le pare normale che la Corte annulli il cosiddetto Lodo Alfano per alcuni motivi e poi, quando quei motivi sono corretti, annulli il secondo Lodo Alfano con motivi diversi e nuovi? Non le viene il sospetto che si volesse in ogni caso dire di no? A lei, se mi invierà il suo indirizzo e-mail, spedirò i miei commenti su quel caso giuridico. Poi lei mi dirà se pensa ancora che la Carta Costituzionale possa essere interpretata solo in un modo e mi dirà anche se, in quel caso, i giudici si sono veramente ispirati al senso che ha la Costituzione.
    E mi scusi, ogni volta che vedo qualcuno che si fida della legge e dei giudici (non solo quelli attuali, ma soprattutto quelli attuali), mi viene da pensare: “Ecco uno che non ci ha avuto a che fare”.

  16. Sì è vero, sono diffidente per precorse esperienze, mi sono reso conto direttamente di come sia amministrata (male) la giustizia in italia. Ora appunto abbiamo non solo una magistratura inquirente e giudicante politicizzata che si intromette pesantemente nella politica pretendendo eprsino di condizionarne le scelte ma abbiamo anche una Corte Costituzionale che agisce non in termini di giustizia ma di opportunità politica.
    Sono stato accusato di non avere rispetto, è vero non ho alcun rispetto per servitori dello stato che agiscono a favore di interessi particolari e che, tra l’altro, si atteggiano a custodi di un etica che sono i primi a non rispettare. Insomma ormai la costituzione è una coperta troppo corta per coprire queste illegalità, è solo un alibi senza valore buono per fare propaganda o poco più. E sono proprio i suoi “integerrimi” custodi i primi a non rispettarla. Per quello che serve e che è servita sarebbe davvero meglio non ci fosse.

  17. Caro Gianni,
    mettiamoci d’accordo. Il problema quindi ora sarebbero i giudici politicizzati? Per carità è una tesi molto in voga, ma se si crede in questa tesi non capisco perchè precedentemente ci si sia impegnati nel bistrattare la Costituzione. Gli articoli della Costituzione potrebbero essere scritti in qualsiasi modo, se lei diffida dei giudici a tal punto da ipotizzare interpretazioni così distorte quali quelle contenute nell’articolo. Qualsiasi norma scritta in qualsiasi modo si presterebbe a tale gioco. Difatti, come ho già scritto, qualsiasi legge necessita d’interpretazione per essere applicata.
    Una Costituzione non è una “pozione magica”. Perchè in uno Stato le cose vadano bene c’è bisogno anche di giudici onesti nonchè di legislatori che legiferino avendo come obiettivo gli interessi dei cittadini che l’hanno eletti. Se non ci sono queste due cose non si va molto lontano. La Costituzione rappresenta una condizione perchè le cose funzionino, una delle condizioni più importanti. Ma è ovvio che non basta da sola.
    Io ho letto l’articolo e ho scritto ciò che ne pensavo. Sul resto del dibattito non sono intervenuto. Ora vedo che lei accomuna Alessio al suo punto di visto. Bè, devo dirle sinceramente che la cosa mi scoraggia. Di Alessio mi è bastato leggere la prima frase del suo intervento: “Del resto sappiamo che la costituzione è il mediocre frutto del solito compromesso consociativo, una modalità che nel nostro paese dal dopoguerra in poi ha sempre e solo creato mostri e mostruosità giuridiche (e politiche).” Mi sono fermato lì per rispetto del mio stomaco. Quanta poca cognizione storica, quanta poca sensibilità giuridica, quanta superficialità politica racchiuse in una sola frase.

  18. Nell’applicazione della legge c’è una fondamentale differenza. Per la giustizia ordinaria, la suprema istanza è la Cassazione, composta esclusivamente da magistrati, da professionisti del diritto in linea di principio apolitici. Mentre per l’applicazione della Costituzione, la suprema istanza è la Corte Costituzionale, di composizione politica (basti dire che molti suoi membri sono eletti dal Parlamento): se questo non l’allarma, la pensiamo diversamente.
    Per questo Alessio ed io vorremmo che la Costituzione si occupasse della tecnica del governo del Paese, lasciando da parte principi di incerta interpretazione, soprattutto nel momento in cui questa interpretazione è demandata – in parte – a giudici di chiara origine politica.
    Qui non si tratta di “toghe rosse”. I rilievi di Alessio e miei valgono per oggi come per trent’anni fa e come per il momento, il 1948, in cui fu dichiarata in vigore la Costituzione.
    Per favore, non ci prenda per galoppini politici. Qui si parla di diritto e di garanzie democratiche.

  19. Allora sarebbe opportuno discutere delle modalità di composizione della Corte costituzionale. Mentre continuo a non trovare sensato rifilare questo tipo di trattamento alla Costituzione. Nel 1948 di questi temi si discuteva, se colgo il suo riferimento, non certo si discuteva degli articoli della Costituzione. Si tratta, insomma, ancora di un altro tema che non era contemplato nè dall’articolo nè da quello che ho letto nel dibattito finora.
    Non mi pare di aver dato etichette a nessuno, ho solo scritto chiaramente cosa non mi piace di quello che ho letto e cosa non mi trova d’accordo.
    Rispettosamente la saluto.

  20. Caro raffaele mi dispiace davvero per il suo stomaco delicato, ma credo che prima di dare giudizi trancianti su uno sconosciuto, senza peraltro conoscere nulla di lui se non poche lette distrattamente su un blog, bisosgnerebbe andarci cauti. Inoltre credo che la mia conoscenza storica e la mia sensibilità giuridica non siano rilevanti in questa sede, meglio attenersi all’argomento dell’articolo. Grazie

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