DUE SORELLE: LA POLITICA E LA GUERRA

Ci sono principi che costituiscono assolute, indiscutibili evidenze: per esempio quello di Carl von Clausewitz secondo cui “la guerra è la politica proseguita con altri mezzi”. Ma gli stessi principi, essendo contrari alla morale corrente ed alle convinzioni degli idealisti, suscitano non raramente reazioni vivaci di protesta.
Il contrasto fra due cittadini può essere risolto dal diritto perché al di sopra di loro c’è uno Stato che, più forte di ambedue, quel diritto può applicarlo con la forza. Viceversa i rapporti fra i vari Paesi indipendenti non sono regolati dal diritto perché non esiste un potere neutrale più forte di loro. Inoltre, quando esiste, non è detto che voglia impegnarsi nella questione. L’interessamento dell’Onu (ma sostanzialmente degli Stati Uniti) per far ricuperare l’indipendenza al Kuwait è l’eccezione, non la regola.
Il diritto internazionale, di cui tanti si riempiono la bocca, nasce dall’accordo degli interessati: il suo principio fondamentale è “pacta sunt servanda”, bisogna osservare i patti sottoscritti, ma nulla vieta che essi non siano osservati ed anzi che chi li ha violati ne ricavi tutti i vantaggi e nessuna sanzione. Senza gli Stati Uniti, ancora oggi il Kuwait sarebbe una regione dell’Iraq.
Gli Stati si accordano, si tengono il broncio (ritiro degli ambasciatori), si alleano, si minacciano, si incontrano e si scontrano facendo pesare tutte le buone carte che hanno in mano. Infine, come nel poker, si può arrivare ad essere convinti di avere un gioco migliore dell’altro e per questo si dice vediamo chi è più forte, chi otterrà con le armi ciò che non ha ottenuto con le parole. Si chiama guerra. Lo scontro bellico, ha ancora affermato Clausewitz, sta ai rapporti del tempo di pace come il contante sta alle cambiali. Durante la pace, lo Stato che si crede più forte tenta di ottenere qualcosa dallo Stato più debole facendo pesare la minaccia della propria forza (cambiale); poi, se si va allo scontro, bisognerà vedere se il titolo di credito sarà onorato o no col contante. E finita la guerra, si riprende la politica internazionale. Sicché potremmo aggiungere che: “la pace è la guerra proseguita con altri mezzi”.
Quando ha stabilito che la politica prescinde dalla morale, Machiavelli ha solo osservato la realtà. Salvo l’uso della forza, all’interno dello Stato democratico la politica ha tutte le caratteristiche dei rapporti internazionali. L’amoralità è resa obbligatoria dal fatto che c’è sempre qualcuno che si comporta in modo scorretto, tanto che se gli altri non si adeguassero sarebbero gravemente svantaggiati. La conseguenza finale è che tutti sono scorretti. Ma questo sembra inaccettabile alle persone perbene e si arriva alla conclusione di Machiavelli: i politici devono far mostra di avere e di praticare ogni virtù, senza averne e senza praticarne alcuna.
Ma ciò incoraggia gli ingenui (e quelli che non hanno capito Machiavelli) a prendere al valore facciale i proclami di virtù. A pretendere che i politici agiscano come parlano: si chiama giustizialismo. In realtà, se la guerra è la politica proseguita con altri mezzi, per capire come si svolge la vita politica bisogna osservare come si combattono le guerre. Ecco alcuni principi.
La guerra, a differenza della maggior parte delle relazioni umane, non ha legge. Essa corrisponde al momento in cui le parti contrapposte perdono la speranza di risolvere il problema con la morale, con le preghiere, con il buon senso, col diritto, con qualunque metodo di persuasione che non sia l’argumentum baculinum, l’argomento del bastone. E non solo. Accanto al bastone – che dopo tutto è uno strumento leale che si dichiara per quello che è – si usano anche l’inganno, il tradimento ed ogni forma possibile di scorrettezza, purché capace di condurre al risultato voluto.
Purtroppo queste regole generali non sono sufficienti. È vero che lo scopo della guerra è fare il massimo danno al nemico, affinché addivenga alle nostre condizioni, ma rimangono sul tappeto parecchi problemi: quanto ci costa fargli questo danno? Se per distruggere venti carri armati nemici ne devo perdere trenta dei miei, non mi conviene. Se invece ne perdo dieci, ne vale la pena. È l’economia di guerra. E ancora più problematico è il fatto che non si può nemmeno contare sul peggio: non si può contare sulla parola data ma non si può nemmeno contare sul fatto che non sia mantenuta. Si dovrebbe poter essere sicuri che il nemico farà i propri interessi e invece nemmeno questo è certo. Potrebbe sbagliarsi – l’errore è una delle massime componenti della storia – come potrebbe anche essere demente. Non si finirebbe mai. La guerra, oltre ad essere un terribile flagello per gli eserciti che la combattono (ma oggi anche per le popolazioni civili) è un’alea spaventosa. Diceva von Moltke che, dopo avere organizzato il più perfetto ed infallibile dei piani, per un’operazione militare, bisogna anche preparare dei piani alternativi, nel caso che non funzioni: perché potrebbe sempre non funzionare. In guerra l’imprevisto è normale.
Tutto questo rende la politica molto difficile da comprendere. È una partita in cui infiniti giocatori fanno mosse determinate dai motivi più diversi, inclusi l’invidia, l’ambizione, l’errore, l’odio, l’amor di Patria, l’avidità di denaro, la follia ed ogni altra forma di pulsione. Chi la semplifica a colpi d’accetta può star sicuro che non solo non ha capito niente, ma non capirà mai niente.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
23 agosto 2010

DUE SORELLE: LA POLITICA E LA GUERRAultima modifica: 2010-08-25T16:33:53+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “DUE SORELLE: LA POLITICA E LA GUERRA

  1. La battaglia di Waterloo è stata per Napoleone una pesantissima sconfitta militare ma una brillantissima vittoria politica e morale contro le monarchie assolutiste e reazionarie rivali in quanto le sue idee libertarie e illuministe erano passate contagiando dal basso le compagini avversarie.
    Niente sarebbe più stato uguale a prima.
    Le vere battaglie si combattono con idee nuove, d’avanguardia, che portano verso un evoluzione positiva della vita e generano consenso.
    Qualunque tiranno può imporre le proprie idee con la forza, ma presto o tardi la forza viene meno e se le idee non eran granchè quelle pure, rimangono solo le bastonate di cui dare conto.

  2. Ma ha vinto Napoleone o ha vinto l’Illuminismo? E l’Illuminismo ha vinto a causa o malgrado Napoleone? Ci andrei più calmo, caro Cesare. Ma forse lei è giovane.

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