LA MALATTIA PROFESSIONALE DEI PDR

Il Presidente della Repubblica è spesso un uomo anziano (oggi addirittura un ottantacinquenne) e in quanto tale merita rispetto. Rappresenta l’unità d’Italia e in quanto tale merita rispetto. Infine è protetto da uno speciale articolo (278) del codice penale e in quanto tale merita rispetto. Tutto ciò premesso, a scanso di guai, si precisa che questo articolo non riguarderà Giorgio Napolitano.
Secondo un famoso monito di lord Acton, “il potere tende a corrompere, il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. La massima si riferisce in primo luogo al potere politico, a satrapi, tiranni e dittatori, ma in realtà si estende a tutti i casi in cui si eserciti un potere. Un tempo il capo famiglia ha fruito di un potere assoluto, quand’anche si comportasse da despota o da folle. Nel diritto romano arcaico aveva addirittura diritto di vita e di morte. Ancora oggi il direttore di un teatro, di un’associazione sportiva, di un partito politico, di una scuola privata, se appena viene considerato indiscutibile, tenderà ad esercitare un potere assoluto. I suoi ordini saranno indiscutibili anche quando chiaramente inopportuni o addirittura iniqui.
Si deve notare che il potere è definito assoluto non per la sua importanza, ma perché senza limiti, indipendentemente dal campo in cui si può esercitare. Per questo è lecito ipotizzare il potere assoluto della parola: quello di ammonire, deplorare, biasimare, apprezzare, giudicare, indicare come necessario e spronare all’azione, senza mai avere il dovere di indicare le soluzioni praticabili e senza mai dover temere le conseguenze di ciò che s’è detto.
Naturalmente, per avere questo potere bisogna essere in una posizione preminente. Chi dice ai suoi amici quello che il mondo dovrebbe fare, li farà sorridere. Ma se invece di essere un signore seduto in una birreria è il Segretario dell’Onu o il Papa, tutti si sentiranno in dovere di togliersi il cappello, dinanzi all’esternazione di una simile autorità; poi tenderanno a vedere che cosa di positivo si possa leggere in quelle dichiarazioni; e infine si batteranno il petto ipocritamente se è stato loro rimproverato qualcosa di negativo. Ipocritamente perché spesso si tratta di cose  contro cui praticamente nessuno può fare niente, come la fame nel mondo o le ricorrenti guerre. Alcuni poi se ne serviranno per gettare la croce sui propri nemici: l’ha detto anche il Papa; i ricchi dovrebbero fare qualcosa; se i bambini muoiono per denutrizione è colpa degli Stati Uniti.
La teoria si applica anche al Presidente della Repubblica italiano. Questo altissimo magistrato occupa il primo posto fra tutte le autorità civili del Paese, ma normalmente non ha nulla da fare. Se non cade il governo o non finisce la legislatura, non ha nemmeno da incaricare un nuovo primo ministro. È vero, la Costituzione gli assegna il potere di far pervenire messaggi scritti alle Camere e quello di rinviare le leggi al Parlamento per un riesame, ma da un lato i messaggi scritti, per essere molto solenni, non possono essere molto frequenti, dall’altro il rinvio delle leggi ha una controindicazione: il Parlamento potrebbe prendere l’abitudine di riapprovarle, forzando la firma del Presidente. Il diniego della firma non è un potere assoluto.
L’unico potere assoluto che il Presidente si è attribuito, nel silenzio della Costituzione (che non gli ha mai sancito alcun “diritto di esternazione”, come invece si dice in giro) è quello di parlare. E qui si realizzano le due esiziali condizioni del potere assoluto: il Presidente è una persona importante e delle sue parole il Presidente non deve rispondere a nessuno. Neanche agli elettori, perché non ha molte speranze per un secondo mandato che fino ad oggi nessuno ha mai ottenuto.
In questo modo si arriva alla spiegazione del comportamento di tanti Presidenti italiani. Qualcuno diceva malignamente che la malattia professionale indotta da quella suprema carica è la demenza senile, ma è chiaramente un’esagerazione e una diffamazione. La verità, più umile, è quella indicata da lord Acton. La possibilità di strafare impunemente spinge a strafare impunemente. Ed ecco i presidenti che divengono mosche cocchiere come il Vaticano o l’Onu, che prendono posizione politicamente – sempre con l’aria dell’imparzialità, ohibò, ci mancherebbe altro – e in totale si trasformano, con l’aiuto dei giornalisti, in un fastidio intellettuale.
Se solo corressero il rischio di pagare il prezzo delle loro opinioni, non ci sarebbe da ridire. Ma la pretesa di farlo dall’alto di una superiore, incontestabile autorità, è indigesto per chi già sorride del Papa.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
3 settembre 2010

LA MALATTIA PROFESSIONALE DEI PDRultima modifica: 2010-09-03T11:14:38+02:00da gianni.pardo
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