LA PRESCRIZIONE

Il titolo del Corriere (1) suona così: “De Luca accetta la prescrizione – Di Pietro rompe, imbarazzo nel Pd”.  E per quel che vogliamo dire, ne sappiamo già abbastanza.
La prescrizione non è, come le attenuanti e soprattutto le esimenti, un beneficio concesso all’imputato. È una regola che lo Stato impone a se stesso, in vista di due beni primari: la certezza del diritto e il diritto del cittadino alla propria tranquillità. La certezza del diritto vuole che le situazioni, dopo un certo lasso di tempo, siano considerate chiarite. È per questo che, nel diritto civile, esiste l’usucapione: chi potrebbe mai dimostrare di essere il legittimo proprietario di casa propria, se con la documentazione dovesse risalire indietro di un paio di secoli? Nel campo penale, finché qualcuno è accusato di un delitto, si ha un doppio danno. Da un lato nessuno – Stato compreso – potrà discriminarlo, in quanto incensurato, anche se è colpevole; dall’altro la gente può infliggergli tutte le sofferenze che provoca un sospetto atroce, anche se è innocente. Per questo lo Stato, pur concedendo limiti molto ampi, auto-limita nel tempo il proprio diritto a punire i colpevoli. Naturalmente nessuno nega che ogni prescrizione rappresenta una sconfitta. Infatti lo Stato può aver perseguito per il massimo del tempo previsto un innocente, e può aver lasciato impunito un colpevole.
E qui si innesta un problema etico. Venuto il momento, l’imputato che si reputa incontestabilmente innocente può rifiutare la prescrizione e chiedere che il procedimento vada avanti. Infatti, se non lo fa, i pasdaran della morale (a spese altrui) diranno: “Dunque ammette di essere colpevole”. E questa è una dichiarazione di suprema stolidità.
In primo luogo, se qualcuno è stato per anni sotto la spada di Damocle di una condanna, tutto quello che desidera è che lo strazio finisca al più presto. L’innocente forse rifiuterebbe la prescrizione se gli fosse offerta un mese dopo l’imputazione. Ma dopo anni?
In secondo luogo, è stato usata l’espressione: “incontestabilmente innocente”. E chi è tale? L’imputato è già stato sotto processo per anni. Ciò significa che, anche se lui personalmente si reputa “incontestabilmente innocente”, non lo giudicano così i magistrati inquirenti e quelli del primo o del secondo grado di giudizio, che non lo hanno ancora assolto. E se dovessero pensarla allo stesso modo anche i giudici di Cassazione?
A suo tempo, quando uno dei suoi innumerevoli giudizi arrivò al giudice di legittimità, Adriano Sofrì sperò che la Corte fosse presieduta da Corrado Carnevale: perché di lui si sapeva che, se la legge imponeva l’annullamento dei giudizi, lui i giudizi precedenti li avrebbe annullati, quale che fosse il costo dell’operazione, incluso il costo dell’immagine della giustizia. Mentre chi poteva essere sicuro, con un altro Presidente? Non sempre i magistrati sono disposti a denunciare spietatamente le magagne logiche e giuridiche contenute nelle sentenze precedenti.
In terzo ed ultimo luogo, un imputato deve fidarsi del suo avvocato. Se no perché lo avrebbe scelto? Ebbene, non ci sarà mai un avvocato scrupoloso che non consiglierà al proprio cliente, nel modo più pressante, di accettare la prescrizione. Proprio con la motivazione che si è detta: “A parte le ulteriori tensioni e le ulteriori spese, chi ti assicura che la tua innocenza sarà riconosciuta? Se hanno crocifisso Gesù Cristo, possiamo pur dire che essa non è una sufficiente garanzia”.
E così sarà andata con De Luca. Di Pietro – che pure ha largamente beneficiato di proscioglimenti a volte sorprendenti – dimostra di essere un penalista discutibile.  Non importa se il politico campano sia innocente o colpevole. L’unico colpevole certo è un’amministrazione della giustizia incapace di rispettare tempi ragionevoli. La giustizia, e poi chiunque, a spese altrui, fa la mossa di credere all’infallibilità dei giudicanti.
Oggi si ha un preoccupante straripamento della giustizia penale nella politica, sostenuto dalla folla di imbecilli per cui ogni inquisito è un imputato, ogni imputato è un condannato, e ogni condannato merita la morte civile e politica. La storia dei giacobini non ha insegnato niente. E nessuno più ricorda di che morte muoiono gli “incorruttibili”.
Gianni Pardo
giannipardo@libero.it
11 ottobre 2010
Le contestazioni argomentate sono gradite e riceveranno risposta
(1)http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=UJOED

LA PRESCRIZIONEultima modifica: 2010-10-11T15:12:00+02:00da gianni.pardo
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