GLI ERRORI DEL PD E IL LORO COSTO PER L’ITALIA

Che il Partito Democratico sia in crisi di idee, prima ancora che di “intenzioni di voto”, è sotto gli occhi di tutti. Non c’è un’idée-force, un tema intorno al quale coagulare il popolo di sinistra per guidarlo alla vittoria. Impera invece una sorta di disorientamento di cui molti amerebbero dare la colpa al segretario Pierluigi Bersani: ma è un alibi. Nel Pd sono presenti politici di lungo corso e fior di intellettuali. È inutile tacciarli di stupidità o incompetenza.
La realtà è che da un lato c’è l’antiberlusconismo – dogma che però non conduce da nessuna parte – e dall’altro ci sono tendenze disparate. I dirigenti vanno sul sicuro stramaledicendo il Cavaliere ma poi non possono aggiungere niente. L’idea dell’uno non è condivisa dall’altro e la stessa base è divisa. Il partito nel complesso soffre di devastanti tendenze centrifughe.
La linea socialdemocratica sarebbe certamente la migliore ma essa è continuamente sottoposta alla concorrenza dei massimalisti, dei giustizialisti, di coloro che non sanno che cosa vogliono ma lo vogliono subito. E allora ecco che i dirigenti un po’ parlano come moderati: e si fanno subito scavalcare dagli estremisti; un po’ parlano anch’essi come estremisti: e si rendono conto di perdere voti al centro.
La spiegazione viene dal passato. Dopo la brutta esperienza dell’ultimo governo Prodi, a sinistra ci si rese conto che nel 2008 il Pd non aveva nessuna possibilità di vincere le elezioni. Berlusconi e Veltroni ebbero allora l’idea di creare un tale premio di maggioranza da permettere al partito più forte – di centro-destra o di centro-sinistra che fosse – di non dipendere dal ricatto dei partitini. Il Pd poteva così sperare di vincere e governare dal 2013. Sarebbe bastato dire agli elettori: “Ogni voto non dato al Pd è un voto disperso, un voto dato alla destra”.
A questo punto fu commesso il primo errore fatale: si consentì ad Antonio Di Pietro di presentarsi col suo simbolo. E dire che sarebbe bastato lasciarlo fuori dalla coalizione perché non arrivasse al 4%, come non c’è arrivata Rifondazione Comunista. Il Pd non ha mai spiegato questo errore, per voce di nessuno dei suoi esponenti, tanto da ingenerare i più gravi sospetti. Fino al ricatto. Comunque, dal giorno seguente le elezioni, Di Pietro ha fatto da sinistra un’implacabile, acida ed ostile concorrenza al Pd. Con continui e perfino insensati rilanci. Ma la sua strategia è razionale. L’Idv si rivolge ad una base ristretta. A quegli elettori per i quali i politici sono tutti una manica di ladri, di corrotti ed evasori fiscali che bisognerebbe sbattere in galera. Una simile idea, rozza fino all’inverosimile, non condurrà mai l’Idv ad essere un partito maggioritario: ma al suo leader questo non interessa. Gli basta avere la possibilità, con la sua percentuale, di porre le sue condizioni al partito maggiore.
Il Pd ha commesso un primo, gravissimo errore ma avrebbe potuto limitare i danni se avesse contrato risolutamente la strategia dipietrista. Avrebbe dovuto sottolineare la slealtà dell’alleato, avrebbe dovuto denunciarne l’estremismo demagogico, avrebbe dovuto distanziarsene al massimo, fino a rendere chiaro che, al momento delle future elezioni, il Pd l’avrebbe posto fuori dalla coalizione. E col premio di maggioranza quel partitino o sarebbe scomparso o non avrebbe più avuto peso.
Viceversa il Pd è rimasto come annichilito dall’idea di essere scavalcato a sinistra ed ha cominciato a fare il pesce in barile. Un po’ ha sostenuto Di Pietro, un po’ se n’è distanziato, sempre in bilico, sempre timido, sempre incerto. Fino a dare la sensazione di farsene rimorchiare. E la gente ha pensato che, se bisognava fare una certa politica, tanto valeva sostenere chi l’inventava, non chi si accodava.
Oggi il governo Berlusconi potrebbe cadere da un momento all’altro e il centro-sinistra non è pronto a riceverne l’eredità: non ha un programma; non ha una linea politica chiara; non ha un leader autorevole; appare sbiadito e perdente. Se Veltroni avesse avuto la forza di essere un vero capo, se avesse fatto la guerra all’Idv, oggi il Pd potrebbe presentarsi alle elezioni da solo e dire su tutti i toni che l’unico voto utile è quello per il Pd.
Invece oggi esso non ha il coraggio di giocare la carta della moderazione e dell’indipendenza. È terrorizzato e pensa di rifare l’Unione. Cioè a varare di nuovo quella nave dei folli che sbatté contro gli scogli nell’inverno del 2008.
Gianni Pardo
giannipardo@libero.it
10 novembre 2010
Le contestazioni argomentate sono gradite e riceveranno risposta.

GLI ERRORI DEL PD E IL LORO COSTO PER L’ITALIAultima modifica: 2010-11-11T09:47:00+01:00da gianni.pardo
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