IL TACCHINO BERLUSCONI DOVREBBE VOTARE PER IL THANKSGIVING DAY

Perché Berlusconi non si dimette e perché è semplicemente paradossale chiederglielo

Sul Corriere della Sera di ieri è comparso un articolo illuminante di Maria Teresa Meli (1). Illuminante perché, almeno fino ad un certo punto, si occupa di dati obiettivi.
Dando per scontata la vittoria alla Camera della coalizione pdl-lega e il conseguente premio di maggioranza, in caso di elezioni anticipate, ella sostiene che “i Democrats si troverebbero a dover dividere i restanti seggi con tutti gli altri contendenti. E tra Fli, Udc, Idv e Sel i pretendenti sono più della scorsa volta, mentre la percentuale sarà sicuramente inferiore a quella ottenuta da Walter Veltroni”.
I deputati del Pd, secondo un calcolo del suo stesso gruppo di Montecitorio, scrive la Meli, “sarebbero 125 contro i 217 che vennero eletti nel 2008. La cosa, ovviamente, ha già gettato nel panico i peones”. Dunque si impone, se possibile, una soluzione alternativa.
Il governissimo è una soluzione impraticabile. Secondo il Pd l’ideale sarebbe dunque “un nuovo centrodestra con un altro premier da mandare in porto entro l’anno”. Anche perché, “se si supera l’anno, metter su un governo appare impresa impossibile anche al leader dell’Udc”. Questo governo “non verrebbe appoggiato dal Pd, che resterebbe all’opposizione, senza però fare le barricate”.
Diversamente non ci sono che le elezioni anticipate; e in questo caso, che farà il Pd? Ecco l’idea  di Pierluigi Bersani: “Vogliamo costruire un’alternativa di centrosinistra con quelle forze che si dicono di centro”. Come diceva Nicola Latorre, “non si può andare alle elezioni con tre poli, perché significherebbe dare a Berlusconi la possibilità di vincere”.
Ma il leader dell’Udc è recalcitrante perché i centristi, dice la Meli, non possono andare con i Democrats. “L’unica strada, per loro, è un’alleanza con Futuro e Libertà”.  Formando il terzo polo, aggiungiamo. L’articolo sembra dire tutto, con olimpica imparzialità, e tuttavia tralascia aspetti essenziali. Cominciamo dai meno importanti.
È vero che, con i numeri attualmente previsti, per battere la coalizione Pdl-Lega è necessario mettere insieme tutte le forze antiberlusconiane. Ma si dimentica che alcune di esse possono farlo solo “suicidandosi”. “Sinistra e libertà” con l’Idv, da un lato, e l’Udc e Fli dall’altro, non sono soltanto lontanissimi: sono incompatibili. Come potrebbero i Comunisti Italiani spiegare al loro elettorato che si sono alleati con gli ex-fascisti? E come potrebbero, i finiani, spiegare al loro elettorato che si sono alleati con i comunisti duri e puri, quelli che non hanno neppure rinunziato alla loro indecente designazione?
E c’è di più. Ammesso che, pur di battere Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini ingoiasse il rospo di stringere la mano a Oliviero Diliberto, e Diliberto ingoiasse il rospo di stringere la mano a Fini, siamo sicuri che gli elettori dei loro partiti li seguirebbero? Se, a quel punto Antonio Di Pietro rifiutasse di entrare in una simile indigesta insalata, e si proclamasse l’unico vero rappresentante della sinistra che non si compromette con i fascisti, chi dice che non aumenterebbe i suoi voti, facendo concorrenza proprio a quella “alternativa di centrosinistra” di cui parlava Bersani? Del resto, il molisano ha dato ripetute prove di spregiudicatezza e di attenzione esclusiva agli interessi del proprio partitino.
Chi ha le idee chiare è Pierferdinando Casini. Sa benissimo che la sua formazione è nata dalla volontà di non intrupparsi con la sinistra – diversamente sarebbe rimasto con la Margherita – e che dunque non può chiedere ai propri elettori di accettare un’alleanza, di governo o elettorale, con i nemici storici. Soprattutto mentre Berlusconi gli spalanca le porte del Pdl. Ecco perché, più che “recalcitrante”, come scrive la Meli, egli è “assolutamente certo” che farebbe una sciocchezza, se si squalificasse alleandosi con la sinistra.
Viceversa Fini ha la certezza che Berlusconi, a costo di sparire dalla scena, non gli offrirà più una sponda politica. Per questo (salvo ripensamenti del Cavaliere) è costretto a prendere in considerazione tutte le soluzioni. Anche le più improbabili ed alchemiche. E del resto i suoi seguaci più fanatici hanno già detto e ripetuto che sono disposti ad allearsi con la sinistra, anche estrema.
Ma l’ipotesi più assurda è quella indicata all’inizio: “un nuovo centrodestra con un altro premier da mandare in porto entro l’anno”. Essa presuppone che il tacchino voti a favore della tradizione del Thanksgiving Day.
Se, per far sorgere un governo a lui ostile, la condizione è che Berlusconi si dimetta, come si può ragionevolmente pensare che proprio questo egli faccia? Soprattutto quando, non dimettendosi, fa scoppiare tutti i progetti dei suoi avversari e li costringe ad andare alle urne? Una soluzione che essi stessi reputano per loro pericolosissima? Qui veramente tocchiamo i limiti della nostra capacità di capire.
Infatti c’è da rimanere sbalorditi. Come ci si può ragionare tanto seriamente, in tante sedi, sulla possibilità che il nemico che si vuole battere si arrenda e consegni le armi mentre ancora dispone di una risorsa – le elezioni – che potrebbe assicurargli la vittoria? Gli avversari di Berlusconi si comportano come quel tale Tecoppa che durante un duello rimproverava all’avversario di muoversi continuamente: “Se continui a fare così, come posso infilzarti?”
Gianni Pardo
giannipardo@libero.it
12 novembre 2010
Le contestazioni argomentate sono gradite e riceveranno risposta.
(1)http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=VB144

IL TACCHINO BERLUSCONI DOVREBBE VOTARE PER IL THANKSGIVING DAYultima modifica: 2010-11-13T08:43:49+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo