PROBOSAE

Gli attori possono essere gradevoli sulla scena o dinanzi alla macchina da presa, cioè quando lavorano. Ma sono insopportabili dopo. O prima. Comunque quando, apparentemente, non recitano. In questi casi infatti essi non pren­dono neppure in considerazione l’ipo­tesi di essere se stessi: si limitano a recitare a soggetto piuttosto che recitare un testo. Recitano la parte del personaggio che vorrebbero essere nella vita reale.
Questo spiega perché gli attori più ridicoli, fuori dalla scena, siano i cantanti lirici. Quelli di teatro hanno da scegliere fra personaggi che saranno seri o faceti, semplici o complessi, ma, salvo che nelle sceneg­giate napoletane, è raro siano pla­tealmente melodrammatici. I poveri cantanti lirici invece, costantemente a contatto con caricature umane, hanno da scegliere fra Mimì e Violetta, Cavaradossi e il Trovatore. Il risultato potrebbe far ridere se non fosse patetico. Si vedono donnoni pettoruti che si presentano come umbratili vittime dei loro sentimenti e della loro sensibilità artistica. Vissi d’arte, vissi d’amore. Se qual­cuno chiede loro come mai, avendo avuto offerte da Bologna e da Firenze, hanno preferito Firenze, non diranno mai “a Firenze mi pagavano di più”. Tireranno fuori una storia appassiona­ta e commovente per poi concludere: “E allora non ho avuto dubbi. Il mio cuore ha risposto per me: <Firenze!>”.
Per i cantanti lirici, tutto il passato è mitico; tutti i vecchi direttori d’orchestra erano meravigliosi e inimitabili; e il pubblico? Ah! il pubblico di quegli anni! Quanto ai colleghi, se appena sono morti o non più in condizione di far ombra, anche loro sono mitici e tanto cari, addi­rittura insostituibili…
I cantanti lirici sono talmente scoperti, nel loro gioco infantile, che passa la voglia di attaccarli. Sarebbe come sparare sulle Croce Rossa. La temerità degli attori di teatro, invece, grida vendetta dinanzi all’Al­tissimo. Hanno da scegliere fra una miriade di personalità, incluse quelle ciniche, sprezzanti, piene di humour, e a volte scelgono un personaggio negativo come per sfidare lo spettatore: solo uno non vede perché avremmo dovuto perdonare a Carmelo Bene l’arroganza e il cinismo di Riccardo III. Riccardo III non era persona da frequentare, ma Carmelo Bene non era neppure Riccardo III: saremmo stati lieti se ne convincesse.
In greco attore si diceva ipocrita e vedendo intervistare gli attori si capisce perché: fingono quasi sempre una personalità diversa dalla loro e recitano sempre, con il visibile sforzo di farlo a soggetto. Le autorità ecclesiastiche volevano negare sepoltura cristiana a Moliè­re e certo esageravano. Esageravano anche i Romani, quando consideravano le attrici paria sociali: mulieres probosae come le prostitute. Ma queste persone false, vanitose, tutte facciata, un po’ di disgusto lo ispirano ancora.
Naturalmente ci sono le eccezioni. Mastroianni era ironico, naturale, semplice. Smitizzante perfino quando la domanda avrebbe potuto indurlo ad autocompiacimenti. Si presentava come un uomo bana­le che faceva l’attore, sì, embeh? Un vero riposo. Già più inquietante fu Manfredi, delizioso e spesso divertente, che faceva nascere il sospetto che fuori dalla scena recitasse così bene da farci pensare che non stesse recitando. Se così fosse stato, a Manfredi si sarebe dovuto perdonare anche questo: perché questo stesso dubbio faceva di lui un grande.
Ma tutte le attricette, tutti gli attorucoli, e anzi la maggior parte delle attrici e degli attori, come si fa a perdonarli? Chissà come si potrebbe adattare, per loro, la frase “nec ultra crepidam”?
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
12 febbraio 2011

Da un testo degli Anni Novanta. Non scrivo articoli di attualità politica per disgusto e perché non accade nulla.

PROBOSAEultima modifica: 2011-02-12T10:53:28+01:00da gianni.pardo
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