LA CURIOSITA’

Se in casa arriva un oggetto nuovo, uno dei più interessati ad esaminarlo, girarci intorno, annusarlo, è il micio di casa. Il gatto è un animale molto intelligente e la curiosità è un segno di intelligenza. Se l’uomo non fosse stato curioso di soluzioni diverse da quelle istintive o apprese dai più anziani, non ci sarebbe mai stato progresso.
E tuttavia la parola ha connotazioni negative: e infatti ai bambini si insegna che la curiosità è un difetto. In realtà, bisognerebbe insegnargli a distinguere la buona dalla cattiva. La buona è quella che ci spinge a chiederci il perché di un fenomeno, a studiare, a coltivarci. Della cattiva invece si può fornire un’infinità di esempi.
Se incontriamo qualcuno con una cicatrice sul viso è normale che ci chiediamo come se la sia procurata. Ma chiederlo a lui è maleducazione. Ecco una “cattiva curiosità” che i bambini devono evitare. Da un lato la risposta non ci renderebbe più colti, dall’altro avremo solo costretto l’interlocutore a ritrovare un ricordo doloroso. La persona beneducata “non vede” le cicatrici, i capelli sulle spalle della giacca, la sottana che sporge dalla gonna, la macchia sulla cravatta. Non li vede, non li segnala e non ne chiede la ragione.
Un’altra cattiva curiosità – ma tanto umana, purtroppo! – è quella che spinge alla maldicenza. Se cediamo ad essa, cerchiamo almeno di ricordare che “le grandi menti parlano di idee, le mediocri di fatti, le piccole di persone”. Il piacere di criticare dietro le spalle, e perfino di ridere del prossimo, è un po’ misero. È facile prendersi gioco di chiunque: anche di noi. E dovremmo dunque avere il coraggio di dire: “Mentre rido degli altri perdono in anticipo quelli che ridono di me”.
Bisognerebbe poi evitare la curiosità che confina col masochismo. Se per esperienza si sa che gli articoli di un certo giornalista, il commento del tale notista, e perfino le righe di un ignoto frequentatore di Internet ci mandano in bestia, bisogna assolutamente evitarne la lettura. È stupido cedere alla tentazione di vedere “a che punto arriva stavolta”: perché fatalmente arriverebbe a farci arrabbiare, senza che possiamo restituirgli la pariglia. Anche perché l’imbecillità è a suo modo imbattibile. Qui ci vuole disciplina: prima di leggere, andare a vedere la firma. Ecco perché è molto difficile che io mi accorga di avere letto qualcosa di Travaglio, Padellaro, D’Avanzo, Furio Colombo. Mi capiterà ogni tanto di leggere qualcosa di Barbara Spinelli o Eugenio Scalfari, ma questo perché in quel caso prevale lo spirito giocoso. Mi diverto come altri, decenni fa, si divertivano con Balanzone.
Un’altra malsana curiosità è quella che induce alle ipotesi sui misteri insolubili. Se un aereo scompare sull’Atlantico, e noi non si sa perché, non si sa dove, e non si ha nemmeno la più remota possibilità di risolvere il problema, a che scopo fare ipotesi sulla disgrazia? Se non giungono alla verità i tecnici delle torri di controllo, i radar, gli ingegneri aeronautici, magari dopo aver esaminato eventuali piccoli relitti, come potrebbero arrivare ad una conclusione fondata un giornalista o i suoi lettori?
La curiosità è anche tanto irrefrenabile quanto inutile se si tratta di capire il comportamento assurdo del prossimo. Infatti di solito, se cerchiamo malgrado tutto di capirlo e arriviamo ad una conclusione che ci appare largamente verosimile, alla resa dei conto ci accorgiamo di avere totalmente sbagliato. A me è capitato tante volte che ormai non ci provo più. La prima volta avevo poco più di vent’anni. Andato a Roma, telefonai ad un’amica di villeggiatura, e lei mi disse: “Sono lieto di incontrarti, vediamoci alle cinque dinanzi alla Fontana di Trevi”. L’aspettai per un’ora e non venne. Non la contattai mai più e solo anni dopo seppi da una comune amica che mi aveva piantato “perché non si sentiva abbastanza intelligente per incontrarmi”. Naturalmente non ci credei: ma è interessante vedere che qualcuno può reputare una simile scusa credibile. Mai intestardirsi a capire i perché del prossimo: non ci si azzecca.
Il miglior rimedio contro la curiosità è la constatazione che quando essa è soddisfatta, il piacere che se ne ricava è largamente inferiore all’aspettativa.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
23 febbraio 2011

LA CURIOSITA’ultima modifica: 2011-02-24T08:45:00+01:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “LA CURIOSITA’

  1. Caro Gianni
    Su un punto non concordo con quanto esposto nel post: “La curiosità è anche tanto irrefrenabile quanto inutile se si tratta di capire il comportamento assurdo del prossimo”. Questa asserzione non mi trova d’accordo perché se uno vive isolato, al di fuori di una società civile e quindi condivide la vita di un asceta allora concordo che è inutile cercare di comprendere il comportamento del prossimo; ma poiché la maggior parte di noi è integrato (o perlomeno si pensa lo sia) in una società, in una comunità allora per la sopravvivenza quotidiana è importante cercare di conoscere il comportamento del nostro vicino poiché egli anche se di poco interagisce con noi e potrebbe, nella peggiore delle ipotesi, recarci danno. Nell’esempio che ha fatto è stato molto drastico, la ragazza poteva aver avuto un incidente, o altro inconveniente e quindi impossibilitata a venire, non crede? O forse si era già messo nella condizione di pensiero che non venisse?

  2. Gentile Ivana,
    io non ho sostenuto che non bisogna cercare di capire il prossimo. Al contrario, questa è una cosa da fare quotidianamente.
    Il caso di cui parlo io è quello in cui il comportamento del prossimo ci pare incomprensibile. Se esso ci appare incomprensibile, è bene smettere l’indagine: insistendo per darci una spiegazione probabilmente sbaglieremmo. A me è capitato spesso.
    Nell’esempio (storico) della ragazza io non l’ho più cercata e certo non le ho nemmeno scritto per chiedere spiegazioni, perché se uno dà un appuntamento che poteva non dare, e non ci va, e non si scusa, è persona da lasciar perdere definitivamente. A meno che uno non sia contento di avere a che fare con i pazzi e i maleducati. Infatti la spiegazione che poi ho saputo ella ha dato ad un’amica comune non è per niente verosimile. E se, per caso, fosse vera, dimostrerebbe non che io sono (ero, anzi) supremamente intelligente, ma che lei era supremamente nevrotica.
    Fra l’altro i nostri rapporti – puramente amichevoli – erano stati distesi e cordiali, prima. Come credere ad una scusa così fantastica? La conclusione è che io non mi sono dato una spiegazione, per quel comportamento.
    Un corrispondente, dopo mesi di scambi epistolari veramente ad alto livello (tanto che ho conservato tutte le lettere) mi ha scritto da un giorno all’altro, inopinatamente, che “si era stancato”. Io gli ho risposto con queste quattro parole: “Buona fortuna. E grazie”.
    Solo dieci anni dopo gli ho scritto una lettera per dirgli il fatto suo. Approfitto del fatto che ho il Suo indirizzo e-mail per inviargliela.
    Ma sul momento, secondo la mia teoria, non gli ho chiesto spiegazioni. Perché non ce ne potevano essere.

  3. “Il miglior rimedio contro la curiosità è la constatazione che quando essa è soddisfatta, il piacere che se ne ricava è largamente inferiore all’aspettativa.”

    Ecco caro Pardo,
    non voglio oggi ribadire di essere d’accordo con ciò che dice, ma condividere con lei l’aver dato una risposta a me stessa. E motivarle tutte le volte in cui dico che leggerla mi porta a riflessioni proficue.

    Mi chiedevo infatti già da tempo il motivo per cui non mi riesca più di essere curiosa. Sensazione singolare, ma non spiacevole.
    Non trovavo risposta soddisfacente, fino ad ora.

    Eppur conosco Il Sabato del Villaggio 😉

    Buona giornata.

    Chiara

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