IL LONG BOW DI BERLUSCONI

Alla seconda puntata dei processi milanesi la stampa comincia ad esprimere il proprio fastidio per le dichiarazioni aggressive o addirittura oltranziste dell’imputato Silvio Berlusconi. Oltre che per le manifestazioni in suo favore dinanzi allo stesso Palazzo di Giustizia. Si è quasi passati dallo slogan “si faccia processare!” al desiderio che non lo faccia. E le critiche sarebbero condivisibili se non ci fosse un peccato originale.
La separazione dei poteri ha lo scopo di evitare che ognuno di essi, associandosi con un altro, possa stravolgere l’equilibrio dello Stato. Se l’esecutivo si associa col giudiziario può far arrestare e mettere fuori gioco tutti i suoi oppositori parlamentari. Se l’esecutivo si associa col legislativo, può togliere qualunque potere ai magistrati ed istituire propri Tribunali Speciali. Se il giudiziario si associa col legislativo o con una notevole parte di esso può – con accuse pretestuose – eliminare tutto o parte dell’esecutivo. Proprio per queste ragioni si decise che neppure il Re potesse cambiare la decisione di un magistrato e che nessun magistrato, neppure il Presidente della Corte di Cassazione, potesse incriminare  o far arrestare l’ultimo dei Deputati. E questo stabiliva prima del 1993 l’art.68 della Costituzione Italiana.
Questo equilibrio è stato rotto quando si è permesso all’ultimo dei pm, da Sondrio ad Agrigento, di incriminare qualunque uomo politico per qualunque reato. Anche fantastico e insussistente. Per sapere di che cosa la magistratura è capace, basta pensare alle inchieste di De Magistris e di Woodcock. È questo il peccato originale.
Se disponendo di questo potere abnorme la magistratura si fosse comportata come se i dementi del 1993 non avessero modificato l’art.68 della Costituzione, gli altri due poteri avrebbero potuto continuare a rispettarla come prima. Essa invece ne ha approfittato nella maniera più spudorata per condurre una sua battaglia politica e questo ha indotto il legislativo a cercare di imbrigliarla. Ne sono nate le molte leggi che la sinistra (in mala fede) chiama ad personam e che la Corte Costituzionale, per motivi su cui preferiamo non indagare, ha spesso cassato.
Siamo dinanzi a tattiche di guerra. La magistratura ha incriminato Silvio Berlusconi in tutti i modi che è riuscita ad immaginare, perfino stravolgendo la competenza territoriale (tanto che la Cassazione ha annullato un intero processo) o affermando che la corruzione in atti giudiziari si ha quando il corrotto comincia a spendere il denaro ottenuto, non quando l’ha ricevuto. È andata alla ricerca disperata di reati di cui accusarlo ed ha impiegato per questo tutti i possenti mezzi economici dello stesso Stato. Il Cavaliere dal suo lato ha risposto con l’ausilio dei suoi avvocati  e dichiarazioni di innocenza, fino ad oggi uscendo trionfatore dagli scontri. I giudicanti infatti non si sono sentiti di seguire i requirenti (e militanti) nella loro battaglia politica.
Recentemente tuttavia – in seguito all’azione della Corte Costituzionale che ha fatto di tutto e di più pur di togliere a Berlusconi qualunque scudo che potesse difenderlo dai processi – le cose sono cambiate e i pm si sono fregate le mani. Nel momento in cui Berlusconi ha promesso di dedicare un sesto del suo tempo lavorativo ai processi in cui lo hanno invischiato, hanno pensato che avrebbero potuto stroncarlo se non con le sentenze con la gogna mediatica. E purtroppo hanno fatto male i loro calcoli: speravano di vedere un Berlusconi vinto e contrito, con metaforiche manette ai polsi, e sono andati a sbattere contro un “innocente” baldanzoso che li accusa di ogni malefatta dinanzi al Paese. Che arringa la folla sia arrivando sia uscendo dall’aula. Che inonda di dichiarazioni i giornalisti fino a fare dell’udienza un’occasione di azione politica.
Ecco lo scontro fra i poteri. Una parte dell’ordine giudiziario vorrebbe determinare chi deve guidare il Paese e il potere politico, nella persona di Berlusconi, approfitta del lunedì milanese per continuare in piazza la sua battaglia contro la magistratura politicizzata. La sinistra e le associazioni dei magistrati alzano alti lai ma sono loro che hanno dato inizio alla guerra: e non devono stupirsi se l’avversario si difende con i suoi mezzi. Il reziario non ha il diritto di protestare perché il mirmillone si difende con la daga: lui non ha forse il suo tridente?
La storia insegna che il nemico non è tenuto a seguire le nostre regole. A Crécy e Azincourt i nobili francesi contavano di vincere perché erano cavalieri leali e coraggiosi, capaci di accettare il combattimento ravvicinato. Gli inglesi invece erano per la maggioranza contadini allenati all’uso del long bow: questo arco lungo sarà pure stato un’arma “sleale”, a distanza, ma gli altezzosi francesi finirono infilzati come tordi.
Ora la sinistra si lamenta di questo stato di cose e Di Pietro – come sempre sottile nelle sue diagnosi politiche – parla di golpe. La realtà è che non si sa come arginare un Cavaliere che riesce sempre a tornare dall’Elba.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
12 aprile 2011

IL LONG BOW DI BERLUSCONIultima modifica: 2011-04-13T09:27:33+02:00da gianni.pardo
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