CIO’ CHE SALVEREBBE L’ITALIA

Il pessimismo è un atteggiamento da evitare: il bicchiere deve essere visto obbligatoriamente mezzo pieno. Purtroppo a volte il bicchiere è quasi vuoto: e allora come si fa, ad essere ottimisti?

Questo genere di considerazioni viene in mente quando si pensa alla situazione italiana. Si parla di misure rigorose e coraggiose, ma chi non si fa illusioni vede che si è lontanissimi da ciò che servirebbe. 

L’errore dell’Italia è quello di essere popolata da un notevole numero di vigliacchi e di furbi. Gli insulti sono di pessimo gusto e per questo ci si precipita a dire che non si ha nessuna intenzione ingiuriosa: si vuol solo fare una diagnosi.

Fra i nostri connazionali troppi cercano la situazione priva di rischi. Ciò provoca la corsa all’impiego di Stato, magari noioso e mal pagato, ma “sicuro”. La ricerca della sicurezza si ritrova anche nel mondo del lavoro privato e infatti nel corso dei decenni si è avuta una pulsione irresistibile a rendere “sicuro” anche quello. Il risultato è stato ed è una bassissima mobilità e un’enorme vischiosità in ingresso e in uscita. 

Ma gli inconvenienti non cambiano la mentalità della nazione. Mentre ci sono milioni di dipendenti dello Stato sottopagati che producono poco (quando producono qualcosa) e milioni di dipendenti privati ipergarantiti con licenza di battere la fiacca, invece di chiedere di porre un termine a tutto ciò, l’ideale di tutti rimane il posto “sicuro”. E allora opera la seconda caratteristica: i cittadini furbi fanno carte false per ottenere quel genere di impiego e i politici furbi, pur di farsi degli amici, il “posto” lo inventano. Si spiega così la pletora di dipendenti della Regione Sicilia, pagati (più degli impiegati dello Stato) per fare tutti insieme il lavoro che potrebbe fare un terzo o un quarto di loro.

Da un lato ci sono molti italiani che producono poco, dall’altro, al di fuori dell’ambito dei privilegiati, ci sono coloro che non fruiscono di nessun particolare vantaggio. Quelli cui nessuno pensa se non riescono a trovare un’occupazione o se sono licenziati; che non hanno mai il diritto di guardare l’orologio per dire che è finito l’orario di lavoro; che devono dare al fisco la metà e più di quello che producono. Che dopo tutto questo o sono dimenticati – come i lavoratori nelle imprese con meno di sedici dipendenti – o sono additati all’odio e al disprezzo della nazione in quanto evasori fiscali. E dire che è questa la parte della popolazione che tira la carretta. Se la Lega Nord è così forte, in Lombardia, è perché lì la sensazione appena descritta è divenuta comune sentire. 

Ora siamo al dramma nazionale. Si ventilano proposte che per decenni sono state impensabili e malgrado le proteste che si alzeranno fino al cielo probabilmente saranno inutili. Non sono le riformette che salveranno il nostro Paese. L’enorme macigno del debito pubblico non ci è caduto addosso come un meteorite proveniente dallo spazio siderale, è stato realizzato da un altro difetto italiano: la disonestà di chi ha chiesto allo Stato più di quanto meritava e la disonestà di una classe politica che glielo ha concesso a credito. Mettendolo sul conto delle incolpevoli generazioni future.

Ecco perché il bicchiere non è affatto mezzo pieno. E non è neppure mezzo vuoto: è vuoto. E potrebbe riempirlo solo una serie di provvedimenti che riuscirebbe ad imporre solo Stalin, buonanima. Per esempio il blocco delle assunzioni della Regione Siciliana, a tempo indeterminato. E quando infine il personale fosse così ridotto da non permettere il funzionamento della Regione, chiuderla. Anche pagando ai residui impiegati due terzi dello stipendio vuoto per pieno: si risparmierebbe ancora moltissimo. E naturalmente il sistema dovrebbe essere applicato a tutte le regioni e a tutte le province. 

Non è più tempo di palliativi. Lo Stato dovrebbe spogliarsi di tutto, salvo l’esercito, la scuola, la giustizia, le strade e poco altro. Dovrebbe abolire le ferrovie. Dovrebbe rendere liberi i contratti di lavoro. Dovrebbe imporre l’assicurazione contro le malattie ma chiudere la sanità pubblica. Insomma dovrebbe dire a tutti gli italiani che, da domani, si mangia quello che si è prodotto. Allora sì riusciremmo a vedere il bicchiere mezzo pieno. 

Si fa notare al passaggio che fra tutte queste misure draconiane non ce n’è una che corrisponda ad un aumento della pressione fiscale. Ecco perché queste ipotesi possono essere definite fantascientifiche ma non recessive. Ed anzi esse provocherebbero quel rilancio di cui tanto si parla e che non otterrà l’attuale governo.

Ma nessuna riforma del genere prospettato sarà mai realizzata. Sono fortunati i vecchi che hanno vissuto nell’Italia di ieri e non vivranno nell’Italia di domani. 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

3 dicembre 2011

CIO’ CHE SALVEREBBE L’ITALIAultima modifica: 2011-12-03T09:50:06+01:00da gianni.pardo
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