SVILUPPO A FONDO CORSA

La crisi economica, ha detto Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, rischia di essere grave come quella degli Anni Trenta del secolo scorso e stavolta sarebbe globale: non vedremmo “nessun Paese immune dalla crisi”.

La cosa si spiega. Dal punto di vista della prosperità e dello sviluppo industriale, tra gli Anni Trenta del secolo scorso e il mondo attuale ci sono molte differenze. Basta considerare il numero di telefoni o di automobili: attualmente Paesi come il Marocco sono più ricchi dell’Italia di quel tempo. Allora la crisi americana riguardò solo le nazioni ad alto livello di sviluppo, e non toccò i Paesi poveri: perché poveri erano e poveri rimasero. Oggi invece, se gli europei e gli americani cominciassero a comprare meno prodotti dei Paesi emergenti, anche questi Paesi soffrirebbero della recessione.

Le economie di molti Stati sono interdipendenti. Se improvvisamente si trovasse una soluzione per la fusione nucleare, si disporrebbe di elettricità in quantità praticamente infinita e questo renderebbe se non superfluo, certo molto, molto meno necessario il petrolio. L’aria delle nostre città – riscaldate elettricamente e piene di automobili silenziose – sarebbe più pura, ma si annuvolerebbe il cielo dei Paesi esportatori di petrolio. Per loro sarebbe una catastrofe. L’Arabia Saudita farebbe un salto all’indietro di molti decenni, gli Emirati Arabi si accorgerebbero che è ben triste non avere una buona terra da coltivare, l’Iran perderebbe molta della sua baldanza. E cambierebbe il quadro anche per Paesi impensati come il Venezuela, la Nigeria, il Kazakhstan. Ma torniamo al presente.

Se la crisi attuale durasse, da un lato l’Occidente acquisterebbe di meno, creando problemi ai Paesi esportatori, dall’altro, con l’aumento della disoccupazione e la conseguente probabile diminuzione dei salari, aumenterebbe la sua competitività. Campo in cui ci siamo messi volontariamente nei guai. Siamo fieri dell’euro a poco meno di 1,35 $ e non ci accorgiamo che così rendiamo care le merci che esportiamo e a buon mercato quelle che importiamo. Con difficoltà per i nostri produttori. 

L’Italia è uno dei Paesi in cui la crisi economica è più grave. La sua situazione è resa particolarmente difficile, oltre che dal cambio dell’euro, dal peso degli interessi sul debito pubblico. Ma neanche gli altri stanno benissimo. A parte il fatto che anch’essi hanno un notevole debito pubblico, un po’ tutti siamo forse arrivati alla totale maturazione di un certo tipo di società. Non si può andare oltre. Il mondo era stato organizzato per un’umanità che lavorava molto e si contentava di poco, oggi l’Europa e l’America hanno una società che vuole molto lavorando poco. Per qualche tempo è andata bene ma ora il sistema mostra la corda. 

Con l’aumento della vita media non si possono più concedere ai vecchi le pensioni di una volta. Col costo delle cure mediche molto aumentato, diviene un enorme fardello assicurare il servizio sanitario a tutti. E si potrebbe continuare. Lo Stato moderno ha il fiato grosso. Chissà che la crisi, che tuttavia speriamo non si verifichi, non ci induca un po’ tutti a più miti consigli, sia in materia demografica, sia in materia di benessere.

Potremmo disegnare un nuovo modello di società che mira non ad uno “sviluppo sostenibile” ma, più umilmente, alla “sostenibilità della situazione”, a uno sviluppo che sa di essere già “a fondo corsa”. Ci si rivolgerebbe a Dio con parole nuove. Non: “Signore, ti prego, dammi di più” ma “Signore, ti prego, non mi dare di meno”.

Il concetto dell’infinito progresso, nato nel Settecento, col tempo è divenuto un dogma. I fatti lo hanno giustificato a lungo, perché avevamo molta strada davanti a noi: ma ormai ne abbiamo percorsa tanta che dobbiamo chiederci se non siamo andati troppo lontano. 

Per decenni Malthus è stato ridicolizzato sottolineando che i progressi dell’agricoltura hanno permesso di nutrire – molto meglio che in passato – un’umanità che per il suo numero, secondo i calcoli, sarebbe dovuta morire di fame. Ma mentre si rideva, si dimenticava il principio di partenza della teoria: le dimensioni della Terra sono invariabili. Anche quando avremo reso fertile il Sahara, se l’umanità sarà composta da cinquanta o cento miliardi di persone, si rischierà la fame.

Questo schema vale in tutte le direzioni. L’infinito progresso non è un dato scientifico e dobbiamo preoccuparci della situazione reale. Poco importano i principi, inclusi quelli dell’Illuminismo, e tanto per rimanere a quel tempo dovremo dire, come Candide a Pangloss: “Quello che dici è bellissimo, ma intanto dobbiamo coltivare il nostro giardino”.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

18 dicembre 2011

 
SVILUPPO A FONDO CORSAultima modifica: 2011-12-18T11:26:15+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “SVILUPPO A FONDO CORSA

  1. Abito da 40 anni circa in un condominio di 16 appartamenti modestissimi dai 50 agli 80/85 metri e tutti forniti di acqua, luce, gas e telefono ma privo ascensore.
    Quattro sono vuoti (ma qualcuno paga le bollette).
    Quattro sono abitati saltuariamente (bollette regolarmente pagate)
    Tre abitati da una sola persona ultra 80.
    Nei restanti 5 gli occupanti totali ammontano a circa 18 persone
    Quando venni ad abitarci, 1965/66, eravamo un centinaio circa.
    Che ne deduce?
    grazie

  2. Sembra un gioco di società ma non lo è. Per i tre ottantenni, c’è poco da dire: si muore più tardi e spesso si rimane soli. I cinque appartamenti in cui abitano diciotto persone sono normali: in media, 3,6 persone per appartamento. Interessanti sono gli otto sostanzialmente vuoti, il cui significato è chiarissimo. I loro proprietari sonno disposti a pagare vuoto per pieno le bollette, il condominio e le imposte, pur di non farci entrare un inquilino. La nostra giurisprudenza, sinistramente a favore dell’inquilino, lo trasforma in un castigo di Dio. Rimane in casa anche se il contratto è scaduto, se è moroso ci possono volere mesi e anni (anni!) per buttarlo fuori, e non si ricuperano nemmeno lo spese legali, e se si ha da fare con il migliore degli inquilini, che paga l'(equo) canone locativo, il proprietario tra spese, imposte, registrazione del contratto ecc. finisce col consegnare tutto allo Stato. La lezione è chiara: se avete un appartamento che non vi serve personalmente, vendetelo. Oppure, appunto, tenetelo vuoto. Vi costerà l’iradiddio, ma almeno rimarrà vostro.

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