BUON SENSO E POLITICA

Capita a chi scrive di politica di ricevere lettere da lettori pieni di buon senso che non si capacitano che la nostra democrazia sia così poco efficiente. Perché non funziona come le imprese? chiedono. Perché non è diretta con razionalità?  Propongono dunque le soluzioni che adotterebbero loro e sono stupiti nel vedersi accolti con un sorriso scettico. Non capiscono. Hanno avuto da fare con imbroglioni, con concorrenti senza scrupoli, con un mercato che non perdona nessuno e sono convinti di essere “worldly-wise”, cioè navigati  e con i piedi ben piantati per terra: come mai qualcuno può guardarli come degli ingenui?

Effettivamente, le loro proposte sono ragionevoli. Il punto è che il mondo cui si rivolgono non segue le stesse regole e gli stessi principi cui essi sono abituati. 

Se si ha da fare con un perfetto farabutto che cerca di fregarci dieci, e riusciamo a prospettargli un accordo che gli farà guadagnare venti, il farabutto accetterà con entusiasmo. Perché la produzione e il commercio sono dominati dall’economia. In politica invece si lotta per il potere: in vista di esso il farabutto può anche preferire non guadagnare niente e danneggiare l’avversario. Per non parlare della collettività, che pesa pochissimo.

Immaginiamo che un tecnico proponga ad un ministro una soluzione che non solo migliora il servizio ma permette di ridurre il personale facendo risparmiare molto denaro. Mentre un’idea del genere sarebbe accolta con giubilo da un imprenditore, il ministro si dice che, diminuendo il personale, si farà molti nemici, vedrà calare il proprio consenso e la sua carriera politica ne risentirà. Anzi, forse ne risentirà addirittura il suo partito. E allora la risposta sarà no. È questa la ragione, per dirne una, per la quale non si tagliano i “rami secchi” delle ferrovie. 

Probabilmente di questa illusione prospettica è stato vittima lo stesso Silvio Berlusconi. Nel 1993 avrà sperato di fare il bene dell’Italia come aveva fatto il bene delle sue imprese, senza pensare che in Parlamento ognuno mette al primo posto il proprio interesse e poi quello del suo partito: nient’altro. L’esperienza gli avrà insegnato parecchio, da allora. Anche quando il rischio è quello di rovinare l’intero Paese, per i politici il dato economico è secondario: diversamente non avremmo l’enorme debito pubblico che abbiamo.

Un secondo elemento che rende la politica incomprensibile per i privati cittadini è il fatto che essi operano in un sistema stabile e si destreggiano fra le regole vigenti. I politici invece non hanno come guida l’essere (Sein, le cose come stanno) ma il dover essere (Sollen, le cose come dovrebbero stare). Se pensano che tutti gli uomini dovrebbero essere uguali anche dal punto di vista economico, sono pronti ad imporre “patrimoniali”, cioè a togliere con la forza il suo a qualcuno per darlo a qualcun altro: con l’unica motivazione che il primo ha ciò che il secondo non ha. E se questo progetto sembra assurdo ai liberali, le idee dei liberali sembrano assurde alla controparte. Chi pensa che ognuno deve ricevere secondo il proprio merito (un’evidenza per i tecnici) non va esente da critiche. Per gli idealisti chi è più capace o più fortunato – sempre che non lo sia perché ha rubato, un sospetto costante – ha solo più doveri degli altri. Nella Russia sovietica gli ingegneri guadagnavano più o meno come gli operai. I principi che gli imprenditori considerano evidenti non sono evidenti. In politica è lecito sognare società nuove e diverse, magari con provvedimenti che al pragmatico sembrano demenziali. 

Nella storia è costante lo scontro fra il realismo che accetta la natura umana com’è e l’idealismo che questa natura è disposto a contraddire. Quando Francesco distribuisce i suoi beni ai poveri e diventa “il poverello di Assisi” fa forse una scelta economica? Il seguace di Adam Smith vede i comunisti come dementi ma questo non impedisce che essi possano essere in buona fede. Anche quando predicano soluzioni che fanno a pugni col buon senso e l’economia. I risultati si sono visti in Unione Sovietica. Ma non per una stagione o due: per settant’anni.

I privati non capiscono che  in politica l’economia, la piatta razionalità, e a volte perfino l’onestà, non hanno cittadinanza. E può anche prevalere il fanatismo. Se i capi comunisti sono divenuti dei dittatori è proprio perché il popolo avrebbe preferito la prosperità all’ideale, e dunque l’ideale bisognava imporlo con la forza. 

Tutto questo sembra assurdo alle persone di buon senso, mentre specularmente ai politici sembra assurdo il loro buon senso.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

25 dicembre 2011

 
BUON SENSO E POLITICAultima modifica: 2011-12-25T10:24:43+01:00da gianni.pardo
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