L’ILLUSIONE DEL DIRITTO MONDIALE

Il diritto nasce dall’esigenza di un ordine nei rapporti umani tra privati. Non importa se si saluti più o meno cortesemente, ma non bisogna passare a vie di fatto; non importa se si sia generosi o avari, certo bisogna pagare i debiti; la legge si occupa insomma di ciò che Kelsen, un filosofo del diritto, ha chiamato il “minimo etico”. 

Nei rapporti umani, quando si è implicati in una vicenda, si è influenzati dai propri interessi e dai propri pregiudizi, anche in perfetta buona fede, e la giurisprudenza nasce dalla necessità di applicare il diritto, stabilendo in concreto chi abbia ragione e chi abbia torto. Facciamo il caso che Tizio debba a Caio cento, e Caio debba a Tizio duecento. Venuto a scadenza il suo debito, si può comprendere che Tizio dica a Caio: “Non ti do nulla e poi, quando verrà a scadenza il tuo debito, tu mi darai cento invece di duecento”. E Caio risponda: “A me i cento euro servono oggi, e tu oggi me li devi dare. Quando poi verrà a scadenza il mio debito, ti darò duecento, secondo i patti”. Ammesso che i due si irrigidiscano nelle loro posizioni, a chi dare ragione?

   Si ricorre dunque a un terzo il quale, avendo quel minimo di obiettività che nasce dal non essere interessato alla vertenza, dice “come la sente” (da cui la parola “sentenza”) e la lite è evitata. Col tempo si stabiliscono regole generali, valevoli per tutti, e nascono i codici. Mentre i profani nella vicenda ipotizzata potrebbero impegnarsi in una lunga discussione, il diritto ammette la compensazione fra debiti “omogenei, liquidi ed esigibili”. Qui i debiti sono omogenei, sono liquidi, ma non sono ambedue esigibili. Dunque la compensazione non è ammessa e Tizio deve subito pagare cento.

Da questo miracolo – la soluzione prestabilita di un problema umano – nasce una sorta di venerazione per il diritto. Molta gente pensa che, mentre nella realtà tutto si discute e tutto è opinabile, se si fa intervenire il giudice tutto rientra nell’ordine e si ottiene una superiore giustizia. Cosa che è effettivamente vera, nelle minute controversie, ma diviene discutibile quanto più grande è l’importanza della vertenza e l’implicazione emotiva dei giudicanti. Di questo si sono avuti infiniti esempi. Ogni volta che nei giudizi della Corte Costituzionale o della Corte di Cassazione la decisione ha avuto conseguenze politiche, una parte dei cittadini ha percepito la sentenza come una prevaricazione. 

Un esempio di proporzioni ancora maggiori è quello della Corte Penale Internazionale. L’ideale di molti è stato quello di ottenere giustizia contro i crimini commessi in occasione di guerre o addirittura da uno Stato a danno dei cittadini di un altro. Purtroppo, da un lato i fatti sono a volte opinabili (i Turchi hanno sì o no massacrato gli Armeni, nel 1912? Loro lo negano), dall’altro le tendenze politiche possono anche operare nel senso di dichiarare colpevoli cittadini innocenti, e in particolare militari, appartenenti a nazioni che la maggioranza degli Stati ha in antipatia. Questo spiega che mentre 120 Stati hanno aderito alla Corte Penale Internazionale, hanno detto no la Cina, la Russia, la Siria, gli Stati Uniti e Israele. Con una indefettibile “maggioranza automatica” contro di sé, all’Onu, come potrebbe quest’ultimo piccolo Paese aspettarsi giustizia? E gli Stati Uniti, che tanta ombra fanno nel mondo, come sfuggirebbero a qualche ingiustificata vendetta contro singoli loro cittadini? E come potrebbero inchinarsi a un giudizio fazioso contro di loro giganti come la Russia o la Cina? E se tanto dubitano di potersi aspettare giustizia Stati che messi insieme arrivano intorno ai due miliardi di esseri umani, che senso ha, quella Corte?

Viviamo in un’epoca di mitizzazione del diritto e si dimentica la saggia, disincantata massima di Tucidide secondo cui nessuno, potendo ricorrere alla forza, ricorre alla giustizia: e ciò che domina la politica internazionale – anche quella del numero all’Onu – è la forza. Bisognerebbe dunque lasciare il diritto fuori dai rapporti internazionali per non ammantare di “imparzialità giuridica” vicende dominate da una faziosità più o meno cosciente e a volte dalla più smaccata malafede. 

La Corte si sarebbe sentita di condannare l’Unione Sovietica, ai tempi di Stalin, per il massacro di Katyn? Durante il processo di Norimberga, è storico,  l’U.r.s.s. vietò che fosse sollevata la questione. E i magistrati di un Paese massacratore, ma vincitore, giudicarono i massacratori di un altro Paese massacratore, ma vinto.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

7 marzo 2012

 

 

L’ILLUSIONE DEL DIRITTO MONDIALEultima modifica: 2012-03-07T07:18:29+01:00da gianni.pardo
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