L’AUTOPSIA DELL’ITALIA

I giornali parlano con totale, distesa serenità di un bollettino mensile della Banca Centrale Europea. In esso leggiamo che l’Italia è tra gli unici sei Paesi aderenti all’euro che non hanno sforato il limite d’inflazione del 3% del Pil. Applausi. E chi sono gli altri? Attenzione alla lista: Austria, Estonia, Finlandia, Germania e Lussemburgo: cioè i Paesi che non hanno affatto i problemi che hanno l’Italia, la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo, la Grecia e perfino la Francia. Insomma sono citati sei Paesi che stanno bene, e uno solo – forse il più ingenuo – con le pezze sul sedere; cinque che sono snelli perché badano alla linea e uno che è snello perché sta morendo di fame. Non basterebbe già questo per dire che ciò che va bene per l’Austria o per la Finlandia non va bene per l’Italia? Se la Francia, che non è mai stata considerata un Paese a rischio, oggi non rispetta il limite del 3% del Pil, non è segno che rispettarlo, per i Paesi che vivono enormi difficoltà economiche, potrebbe essere un errore? Sorge il dubbio che l’equilibrio italiano tra deficit e pil, invece che dalla prosperità e dalla virtù, dipenda dal fatto che la gente non ha più denaro da spendere.

La Bce tuttavia, bontà sua, si accorge che l’Italia ha dei problemi. Ci riconosce un pil in diminuzione e una bassa crescita. Crescita! Noi non abbiamo una bassa crescita, noi abbiamo una drammatica contrazione. Di questo passo torneremo all’economia curtense. Per la stessa Banca infatti abbiamo la “flessione più cospicua delle quote di mercato delle esportazioni calcolate a livello mondiale”. In altri termini, siamo tagliati fuori dal mercato, le imprese chiudono e i lavoratori sono licenziati. Che cosa dovrebbero produrre, se le cose prodotte poi non si vendono?

Naturalmente, penserà il lettore, una volta che in alto loco si sono accorti delle sabbie mobili in cui è impantanata l’Italia, ci porgeranno una mano per aiutarci. Niente di più falso. L’Italia,  per la Bce,  deve “attenersi con rigore al percorso di moderazione del disavanzo specificato nell’aggiornamento per il 2013”. Traduzione: non importa se per pagare la rata il debitore sta morendo di fame: deve attenersi con rigore alle scadenze previste. La sua sopravvivenza non conta.

Ogni giorno sentiamo che il Pdl chiede l’abolizione dell’Imu, il Pd il rilancio dell’economia, la Confindustria la riduzione del carico fiscale, i sindacati provvedimenti per l’occupazione. E il governo balbetta: “Ora vediamo, lasciateci studiare il problema, fra qualche giorno vi faremo sapere…” E come se non bastasse, condisce il tutto facendosi eco di ciò che hanno detto il Presidente della Repubblica, il Pdl, il Pd, la Confindustria e tutti gli altri. Per tutti i programmi si richiedono somme enormi e il governo è d’accordo che bisognerebbe adottarli. Unico neo, in questa bella concordia, è ciò che finalmente hanno detto Saccomanni e Zanonato, ora che si è arrivati al dunque: per cominciare, non ci sono i soldi per rinviare il rincaro dell’Iva. E naturalmente per realizzare tutti gli altri sogni. 

La situazione dell’Italia è allucinante, nel senso che molti vedono ciò che non c’è: la soluzione di un problema insolubile. Con l’euro siamo chiusi in una camicia di forza. L’Italia potrebbe salvarsi se per qualche anno potesse non pagare il suo debito pubblico; se il costo del lavoro potesse essere legalmente dimezzato; se il governo cominciasse a ragionare come Atene, liquidando i troppi carrozzoni di Stato, a cominciare dalla Rai. Letta e i suoi amici non dovrebbero rassicurarci, promettendoci l’impossibile. Dovrebbero confessare semplicemente: amici, la cassa è vuota, e invitarci a ricominciare da capo, col liberismo selvaggio, come la Cina all’inizio del suo sviluppo. Poi dovrebbero andare a Bruxelles e dire che non ci stanno, solo per “attenersi con rigore al percorso” previsto, ad essere i becchini della loro Patria. La sintesi è facile: “O ci date una mano o sfasciamo tutto”.

Invece in Italia gareggiamo a chi è il bambino più obbediente, cercando di battere Monti in servilismo europeo. Al governo sperano che la tragedia si abbatta su qualcun altro, dopo che loro sono usciti da Palazzo Chigi. Ma ciò che può andare bene per loro non va bene per l’Italia. Loro avranno comunque una bella pensione, mentre i disoccupati, i commercianti falliti, i pensionati al minimo non sapranno a che santo votarsi. Questa crisi, è noto, è peggiore di quella del 1929.

Non si può più essere moderati. È vero che questa Penisola non è mai stata capace di una vera rivoluzione, ma non bisogna dimenticare che la fame è cattiva consigliera. Come si diceva una volta, quando si tratta di difendere la vita anche il coniglio mostra i denti.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

13 giugno 2013

L’AUTOPSIA DELL’ITALIAultima modifica: 2013-06-14T08:02:00+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “L’AUTOPSIA DELL’ITALIA

  1. Perche’ siamo degli “squagliati” (sciolti, molli ed anche un po’ informi), altrimenti sa che bello sarebbe piantarla coi giochetti, organizzarci e fare il mazzo a tutti gli altri paesi d’Europa?

    Con calma.

    Per poi andare dalla Merkel e dirle: “Angela, la prossima volta, nella limonata mettici un po’ piu’ di ghiaccio. Per stavolta passi.”

    Riproduciamo il legame malato con l’autorita’ che abbiamo in Italia anche a livello continentale. Ed e’ questa prevedibilita’ che io trovo insopportabile…

    Cordialmente
    Gianfranco.

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