DIRITTO E POLITICA

La Corte Costituzionale, su ricorso della Fiom, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di un articolo dello Statuto dei Lavoratori che dava ragione alla Fiat(1) in una vertenza sindacale. Naturalmente si potrebbe discutere del fondamento giuridico di una simile decisione, soprattutto perché la Carta certo non può essere andata ad interessarsi di una simile minuzia legislativa: ma in questa sede è più semplice dare per assodato che la Corte Costituzionale abbia avuto perfettamente ragione, nell’interpretazione delle norme. Il punto è infatti un altro.

La funzione del giudice non è né quella di adottare la decisione più opportuna, né quella di raddrizzare i torti e non è neppure quella di fare giustizia: la sua funzione è quella di applicare la legge. Se così non fosse, ammesso che la legge dica che ha ragione l’attore, e il giudice pensi che ha ragione il convenuto, sarebbe lecito dare ragione al convenuto – per ragioni di giustizia – checché stabilisca il codice. Ché anzi il codice a questo punto sarebbe inutile. La giustizia è un ideale e per ciò stesso è soggettiva. La legge positiva al contrario si pone come un dato che prescinde dal sentimento di giustizia degli interessati e di chi deve emettere la sentenza. 

Tutto ciò significa che la legge non tiene conto dei risultati della propria applicazione – risultati che sono stati ampiamente presi in considerazione nei lavori preparatori e nella discussione in Parlamento –  ma esclusivamente della coerenza fra la premessa maggiore (il dettato della legge) e la premessa minore (il fatto concreto) nel “sillogismo della sentenza”.

Nel campo della politica e dell’economia le cose vanno in maniera del tutto diversa, rispetto all’ambito giuridico. Qui non importa la coerenza con qualche principio prestabilito, importa il risultato concreto. Ammettendo che un uomo politico abbia in buona fede promesso qualcosa, durante la campagna elettorale, se una volta al governo si accorge che mantenere quella promessa danneggerebbe gravemente perfino quelli che l’hanno gradita, sarebbe sciocco se solo per coerenza realizzasse quel programma rovinoso. E passando all’economia: se si è sicuri di fabbricare un ottimo prodotto ad un ottimo prezzo, e tuttavia quella merce non si vende, non bisogna produrla per riempire i magazzini e continuare a pagare i lavoratori per niente: bisogna piuttosto chiedersi dove si è sbagliato. La certezza di avere ragione, economicamente, non vale nulla contro la risposta del mercato. Quella fabbrica, quand’anche si fosse attenuta alle migliori regole teoriche, ha imboccato un vicolo cieco. 

Il diritto tiene alla coerenza con il dettato delle leggi e non si interessa delle conseguenze; la politica e l’economia al contrario non hanno obblighi di coerenza con nessun tipo di sillogismo e badano solo ai risultati: quali che siano gli imperativi teorici di ogni altro genere.

Tutto ciò è ovvio ma non in Italia. Da noi – anche a causa di una totale sfiducia nel prossimo – impazza il pregiudizio che la regolamentazione giuridica sia sempre la cosa migliore. E proprio per questo si desiderano delle norme per ogni branca dell’attività umana provocando una proliferazione legislativa demenziale e un’altrettanto demenziale tendenza di tutti ad aggirare le leggi. 

Un secondo pregiudizio, non meno dannoso del primo, è che l’applicazione della legge sia comunque cosa positiva, quand’anche l’evidenza dicesse che non è così. I fatti vanno presi in seria considerazione: anche ad avere una sorta di venerazione, per il diritto, come del resto l’ha chi scrive, non si deve arrivare ad avere l’illusione che esso crei la realtà. Non basta che il giudice dica: “A deve un milione a B”. Se A non ha di che pagare, B non riceverà nulla. Come dice un proverbio meridionale: “Cento ladri non riuscirono a spogliare un uomo nudo”. 

Il caso da cui si è partiti è perfetto, al riguardo. La Corte Costituzionale, con soddisfazione dei sindacati e in generale del popolo italiano, per dar torto alla Fiat ha dichiarato incostituzionale una parte dello Statuto dei Lavoratori; e qui si è ipotizzato che giuridicamente abbia fatto bene. Se però la Fiat, inseguita da giudizi che le dànno costantemente torto e stanca di vedere che la vita delle sue fabbriche è resa sempre più difficile, se ne andasse dall’Italia, poi chi pagherebbe il salario agli operai, la Fiom o la Corte Costituzionale? Ci basterebbe la soddisfazione di sapere che la legge è stata applicata nel modo più rigoroso e più coerente ai migliori principi ideali?

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

4 luglio 2013

(1)http://www.affaritaliani.it/economia/fiat-la-consulta-d-ragione-alla-fiom030713.html

DIRITTO E POLITICAultima modifica: 2013-07-05T10:18:27+02:00da gianni.pardo
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