PROBLEMA SIRIA: UNA SINTESI

Il problema della Siria è complesso e tuttavia si può comprenderne l’essenziale osservandolo dal punto di vista interno e dal punto di vista internazionale.

Mentre la maggioranza del Paese è sunnita, il regime siriano attuale è composto prevalentemente da alawiti, membri di una setta shiita. Il governo, socialmente minoritario, ha dunque avuto l’accortezza di mantenere tutte le leve dell’esercito e il monopolio della forza militare. Ciò malgrado si è avuta una sollevazione che somiglia molto da vicino a una guerra civile ma non bisogna interpretarla secondo i nostri schemi ideali. Non è uno scontro fra democrazia e dittatura, fra laicismo e oppressione religiosa: ambedue le fazioni sono mosse dall’amore del potere; ambedue hanno motivazioni religiose e non c’è da sperare che, vincendo gli insorti, le cose migliorino. Basti dire che fra di loro ci sono notevoli infiltrazioni jihadiste e qaediste. 

Più interessante è il punto di vista internazionale. Essendo l’attuale regime sostanzialmente shiita, l’Iran – il principale Paese shiita – è il suo alleato naturale. Tehran ha ambizioni egemoniche sul Vicino Oriente e in questo ambito è pronta a difendere l’attuale governo siriano in tutti i modi. Tiene infatti a preservare l’asse Iran, Iraq (Paese a forte componente shiita)  e Siria, conservando così un piede nel Mediterraneo. Altro alleato della Siria è la Russia, cui Damasco offre il porto di Tartus per la sua flotta. Anche in questo caso la Siria costituisce una porta sul Mediterraneo cui i russi non rinuncerebbero facilmente: è ben nota da sempre la loro voglia di accedere al Mediterraneo senza sottostare alla dogana turca. Tutto ciò esclude che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu avalli un’azione militare contro al-Assad, perché Mosca sicuramente interporrebbe il suo veto.

Anche gli insorti hanno i loro alleati. In primo luogo sono finanziati dall’Arabia Saudita. Questo Vaticano dei sunniti dispone di immense risorse finanziarie e non esita ad usarle per contrastare i piani dell’Iran. Ancora a favore dei ribelli sono gli Emirati, che hanno tutto da temere dalle ambizioni di Tehran, e la grande Turchia sunnita. Ankara, a parte le motivazioni religiose, ha le stesse ambizioni egemoniche di Tehran e più riesce a tenere lontani gli iraniani, più è contenta. Infine ci sono i Paesi occidentali che favoriscono i ribelli, chi per smania di menar le mani (Francia), chi per fedeltà agli Stati Uniti, e un po’ tutti per il timore di veder affacciarsi sul Mediterraneo una potenza atomica terrorista.

L’opinione pubblica statunitense è tuttavia stufa del costo in dollari e in vite umane degli impegni militari all’estero, del resto di scarso successo. E infatti Obama, da quando è al potere, ha limitato all’assoluto minimo l’interventismo americano. Ma esiste anche il lato morale e idealista. Molti, negli States come altrove, invocano un intervento che faccia cessare i massacri ed Obama – democrat e idealista – è molto sensibile a questa voce. Infatti tempo fa ha detto che l’America sarebbe intervenuta se si fosse attaccata la popolazione civile con armi di distruzione di massa, come i gas. Una colossale idiozia, per parecchi versi. Infatti essa corrisponde a delegare a terzi la decisione su un’operazione militare: chiunque voglia provocare l’intervento degli Stati Uniti contro Damasco non ha che da far morire qualche centinaio di persone col gas. Proprio per questa ragione, prima di affermare che sappiamo quello che non sappiamo, e cioè chi sia il colpevole, dobbiamo chiederci: cui prodest? A chi è utile, quel crimine? I giornali dicono che i governativi attualmente sembrano avviarsi alla vittoria. Dunque essi non hanno nessun interesse a provocare gli Stati Uniti. Una simile mossa conviene soltanto a chi rischia di perdere: che ciascuno tragga le sue conseguenze.

Ma non bisogna credersi troppo furbi. Per quanta bassa possa essere la stima che si ha dei politologi di Washington, è certo che i ragionamenti sopra svolti li avranno fatti anche lì. Nasce così il sospetto che i consiglieri di Obama possano essere più cinici del previsto. Non sanno chi ha usato i gas, sanno anzi che probabilmente li hanno usati i ribelli, ma dal momento che a loro conviene che Assad non vinca, fanno finta di essere sicuri che egli sia il colpevole del crimine. Così, anche per evitare che la Commissione dell’Onu eventualmente li smentisca, non le danno il tempo di arrivare a delle conclusioni e attaccano subito. Forse faranno già partire i missili il 29 agosto, commettendo un’imprudenza che potrebbe innescare le reazioni di Damasco, di Tehran e di altri, senza ottenere nulla di positivo. Ma non ci si può stupire: l’intera storia è una serie di piccoli e grandi errori.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

28 agosto 2013 

PROBLEMA SIRIA: UNA SINTESIultima modifica: 2013-08-28T16:47:57+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “PROBLEMA SIRIA: UNA SINTESI

  1. “Non è uno scontro fra democrazia e dittatura, fra laicismo e oppressione religiosa: ambedue le fazioni sono mosse dall’amore del potere; ambedue hanno motivazioni religiose e non c’è da sperare che, vincendo gli insorti, le cose migliorino.”

    Mah, religione o no, democrazia o dittatura, io ci vedo una costante: la tendenza irrefrenabile delle comunita’ umane a dividersi per poi lottare. Si’, in questo rapporto di causa: si dividono per lottare, non lottano perche’ sono divise. Che e’ il motore del “progresso”, appunto (qualcuno, piu’ intuitivamente, l’ha chiamata igiene dei popoli, altri “dialettica”).
    L’unico eventuale vantaggio della democrazia e’ che forse, all’interno dello Stato democratico, le tensioni si scaricano prima di arrivare al sangue (come insegna Popper: poter cambiare governanti senza spargimento di sangue). Oppure che le tensioni si caricano fino ad esplodere in modo ancora piu’ cruento, spostate fuori invece che dentro i confini dello Stato. Oggigiorno le guerre piu’ sanguinose sono quelle “democratiche”, quelle in cui tutto il popolo e’ convinto della loro sacralita’ (e ci vuole cosi’ poco a convincere qualcuno che non aspetta altro che di esserlo, per avere il pretesto di far esprimere il motore che lo muove, l’amore (ovvero la sua inevitabile controparte, l’odio).

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