LA “CONCORDIA” NON CI SALVA

Il tempo passa per tutti e spesso si perdono i punti d’eccellenza. Non si è più famosi, non si è più potenti e comunque non si è più giovani. C’è di che essere investiti dalla malinconia. Ecco perché le favole si interrompono quando tutto va per il meglio. Se proseguissero mostrerebbero il Principe Azzurro che mette su pancia e magari sopporta Cenerentola solo per Ragion di Stato.

Il tempo ammazza ogni presente. E anche le civiltà sono mortali (P.Valéry). Dei faraoni, dei greci, dei romani parliamo sempre al passato. Ma dal momento che non sono spariti né l’Egitto, né la Grecia, né Roma, ci sono dei popoli che ereditano il suolo e l’orgoglio di quelle grandi epoche, e in confronto appaiono discendenti degenerati. L’uomo colto si commuove dinanzi ai monumenti della Grecia, ha un tuffo al cuore perfino vedendo che le insegne dei negozi sono scritte nel nobile alfabeto con cui un giorno si accostò ai dialoghi di Platone, ma dei greci contemporanei alla fine vedrà soprattutto la limitatezza: l’età di Pericle è piuttosto nei suoi libri che ad Atene.

I contemporanei sono spietati, con i nobili decaduti. L’omaggio al grande passato si accoppia spesso con il disprezzo del presente. Gli italiani – che pure sono afflitti da un certo complesso nei confronti della Francia – non fanno che irriderla accennando alla sua “grandeur” e dimenticano che questa grandeur c’è veramente stata, fino a tempi recenti. In compenso gli stessi francesi dimenticano a volte che quella grandeur non c’è più e dovrebbero smetterla con l’idea che l’Italia sia un Paese da operetta o, peggio, da costante Commedia dell’Arte. Ma nessuno perdona nessuno. I discendenti delle grandi civiltà non fanno che beccarsi.

In questo gioco crudele noi italiani siamo un bersaglio particolarmente ghiotto. Da un lato abbiamo il privilegio – unico, forse – di avere fornito al mondo non una ma due grandi civiltà, quella romana e quella rinascimentale, e dunque cadiamo più dall’alto di tutti; dall’altro, non essendo stati uniti, non abbiamo mai avuto una reale importanza, né politica né militare. La Germania si è unificata più o meno nello stesso periodo, e se non è riuscita a farsi amare, è almeno riuscita a farsi temere. Invece nel nostro passato non c’è nessuna Sadowa, nessuna Sedan, e le famose guerre d’Indipendenza, su cui abbiamo sudato ragazzini, in realtà sono una serie di sanguinose sconfitte. Dell’Italia si ha tendenza a parlare con un sorriso di divertito compatimento. E se qualcuno ha la gentilezza di considerarci “simpatici” e “cordiali”, c’è il rischio che lo faccia come parlasse di un oste. 

Purtroppo la storia è contro di noi. Coscienti della nostra debolezza e quasi insignificanza, abbiamo sempre cercato di prevalere con la furbizia, facendoci una fama di imbelli e di traditori. Fino a far nascere il detto: “Gli italiani non concludono mai una guerra con gli stessi alleati con cui l’hanno cominciata”. Abbiamo dichiarato guerra all’Austria quando sembrava che fossimo alleati degli Imperi Centrali; abbiamo dichiarato guerra alla Francia quando già era vinta (la famosa “coltellata alla schiena”) senza nemmeno riuscire a batterla sul nostro fronte; nel ’43 siamo riusciti a non far capire a nessuno – neanche al nostro esercito – chi erano i nemici e chi erano gli amici; poi abbiamo dichiarato guerra alla Germania quando non avevamo affatto i mezzi per combatterla e quando comunque tecnicamente gli Alleati avevano già vinto. Da questa parte delle Alpi ci raccontiamo leggende sulla Resistenza, al di là ricordano la storia vera e questa ci condanna inesorabilmente. 

A tutto ciò si pensa a proposito della notevole impresa di rimettere in piedi la “Costa Concordia”. Qualcuno ha pensato al comportamento del capitano Schettino prima e durante la notte del naufragio ed ha inopportunamente parlato di “riscattare l’onore italiano”. Meglio non parlarne. Nessuno, all’estero, ci considera stupidi. L’essere capaci di un’impresa tecnologicamente notevole non stupisce nessuno. Purtroppo invece, mentre ciò che va contro i pregiudizi è facilmente dimenticato, ciò che li asseconda, fino a favorire un filone di barzellette, come il comportamento del capitano Schettino, ottiene una audience mondiale.

Non basterà il raddrizzamento della “Costa Concordia”, per l’Italia. Dovremmo per molti decenni studiare la storia vera, non quella che ci conviene; dovremmo vincere qualche guerra senza cambiare campo; dovremmo un po’ più spesso preferire l’onore all’interesse. Fino ad allora, non abbiamo alcuna seria ragione di lanciare trionfali chicchirichì.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

17 settembre 2013

LA “CONCORDIA” NON CI SALVAultima modifica: 2013-09-17T18:51:40+02:00da gianni.pardo
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