L’ILVA, IL CODICE, L’ECOLOGIA

L’articolo di Angelo Panebianco, dal titolo “Tanti saluti all’industria”(1), parte dal disastro della vicenda dell’Ilva e afferma che questa è l’“ennesima tappa di un processo di deindustrializzazione da tempo in atto nel Paese”. Processo che ha due cause principali: la prima è “l’esondazione del diritto penale” che, invece di essere “attivato solo in casi estremi”, è divenuto “il mezzo dominante di regolazione dei rapporti sociali”.  La seconda è un “orientamento anti-industriale, travestito da ecologismo, che punta alla decrescita, alla de-industrializzazione, perché tratta l’industria in quanto tale come una minaccia per l’ambiente”. La diagnosi è perfetta, l’eziologia è trascurata.

Gli italiani sono insofferenti alle regole. È da qualche decennio che hanno veramente imparato a fare la fila: prima era soltanto un’occasione per ridere degli inglesi. Come mai allora si è arrivati a questa idolatria del diritto penale? La prima spiegazione è che non si tratta di applicare la legge a tutti, cioè anche agli italiani qualunque, ma solo ai politici. E all’occasione (un po’ d’invidia è naturale) alle persone importanti. Dunque non è amore del diritto, ma uso strumentale di esso per vendette personali. Gli italiani sono così profondamente delusi dalla politica da giungere alla conclusione che i loro governanti sono non soltanto degli incapaci, ma anche dei profittatori. E se contro l’incapacità non c’è rimedio, almeno i ladri si possono mettere in galera. Il giudice penale non ci darà i governanti ideali ma almeno toglierà dalla circolazione i delinquenti. E dal momento che alcuni magistrati sembrano maneggiare il codice penale con lo stesso intento, si arriva alla conclusione generale che questo sia l’uso normale del diritto. Si pesano i grammi dei politici e si trascurano i quintali dei cittadini normali, in particolare con la prescrizione.

La convinzione di molti che il diritto penale sia equo, astratto, impersonale, incorruttibile ed infallibile è gravemente erronea. Non solo nella sua concreta applicazione esso corrisponde ben poco a questo ideale, ma non vi corrisponde quasi per nulla quando la sua azione, invece di applicarsi a cittadini qualunque, incrocia la politica. In questo caso la speranza dell’impersonalità e dell’infallibilità è temeraria. I magistrati sono esseri umani. Hanno le loro idee politiche e ne sono influenzati: dunque non sono “terzi”. Ma questo è il meno. 

Il più grave errore è dimenticare che mentre la giurisprudenza è chiamata a far osservare le leggi, la politica è chiamata a crearle. Il magistrato deve applicare la norma, anche se inopportuna, il politico deve adottare la decisione migliore, senza essere intralciato da troppi vincoli o regolamenti. Questo concetto deve essere molto chiaro. Ammettiamo che un governo abbia promesso di intervenire in un conflitto se si verifica una certa condizione e poi, nel momento in cui la condizione si verifica, ci si renda conto che mantenere la parola sarebbe rovinoso per il Paese. In punta di diritto (e perfino di onorabilità) bisognerebbe dichiarare lo stesso quella guerra; agendo da politici, invece, si inventa una scusa e si rimane neutrali, meritando l’eterna gratitudine della nazione. 

Nel caso dell’Ilva, ammesso pure che il magistrato abbia applicato il codice, il politico non può rassegnarsi a vedere migliaia di famiglie disperate perché improvvisamente ridotte alla fame. Infatti cercherà di far riprendere l’attività dell’impresa, rinviando a dopo il risanamento ecologico degli impianti. Si può anche non essere d’accordo: ciò che qui importa è distinguere il diritto dalla politica. Certo è che un magistrato non può dettare la politica economica del Paese. Se le leggi glielo consentono, quelle leggi bisogna cambiarle.

Quanto all’ecologia, è una passione che spesso si spiega con la mentalità infantile. Il bambino non tiene conto del futuro: se vuole una cosa, non ha una visione complessiva e pensa solo al presente. Analogamente, i fanatici dell’ecologia vogliono tutte le comodità della moderna tecnologia ma nel frattempo sono contro le industrie, contro tutto ciò che inquina (la vita è inquinante), contro tutto ciò che potrebbe essere pericoloso (per esempio gli ogm). Vagheggiano una sorta di ritorno rousseauista alla natura, ma con l’aria condizionata e il tablet in mano. E sognano soluzioni energetiche mirabolanti che non tengono conto dell’economia. Questa tendenza contemporanea aggrava i controlli e i costi al punto che la sua azione deleteria è una delle cause della nostra recessione. 

Non diciamo che si dovrebbe seguire l’esempio cinese – che pure ci ha economicamente massacrati – ma che bisognerebbe almeno contemperare le esigenze della salute di tutti con quelle dell’industria e dei suoi costi. Trattare l’ecologia come un idolo che non ammette compromessi è da dementi. Chiedete ai 1.400 nuovi disoccupati dell’Ilva se sono disposti ad inginocchiarsi dinanzi ad esso. 

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

16 settembre 2013

http://www.corriere.it/editoriali/13_settembre_15/tanti-saluti-industria_a1759114-1dcd-11e3-a7f1-b3455c27218c.shtml

L’ILVA, IL CODICE, L’ECOLOGIAultima modifica: 2013-09-16T13:11:15+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “L’ILVA, IL CODICE, L’ECOLOGIA

  1. Molti dei nuovi disoccupati che sventolano la bandiera rossa desiderano la chiusura dell’ILVA. Pretendono una cassa integrazione simile agli ex Alitalia e poi pretendono pure il salvataggio da parte dello Stato (nazionalizzazione)

  2. “Gli italiani non concludono mai una guerra con gli stessi alleati con cui l’hanno cominciata””Ammettiamo che un governo abbia promesso di intervenire in un conflitto se si verifica una certa condizione e poi, nel momento in cui la condizione si verifica, ci si renda conto che mantenere la parola sarebbe rovinoso per il Paese. In punta di diritto (e perfino di onorabilità) bisognerebbe dichiarare lo stesso quella guerra; agendo da politici, invece, si inventa una scusa e si rimane neutrali, meritando l’eterna gratitudine della nazione.”Non ne abbiamo azzeccata una.

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