ALLEATI IN RIVOLTA

Questo è un editoriale http://www.nytimes.com/2013/10/30/opinion/allies-in-revolt.html?emc=eta1 del New York Times che merita traduzione e commento. Ne è autore l’Ufficio Editoriale dello stesso giornale, composto da una ventina di autorevolissimi giornalisti: rappresenta dunque nel modo più solenne l’opinione del grande quotidiano. In coda ci si permette tuttavia qualche notazione.

ALLEATI IN RIVOLTA

Non capita ogni giorno che l’America si trovi a fronteggiare una aperta ribellione dei suoi alleati, e tuttavia è ciò che sta avvenendo con l’Arabia Saudita, la Turchia e Israele. L’Amministrazione Obama ha smentito che ci siano gravi problemi. Ma chiaramente ci sono dei contrasti, alcuni forse inconciliabili.

Ecco un veloce riassunto. L’Arabia Saudita e Israele sono profondamente preoccupati per la decisione dell’Amministrazione Obama di negoziare un accordo nucleare con l’Iran, il loro mortale nemico. L’Arabia Saudita e la Turchia sono irritate per il rifiuto del Presidente Obama di lasciarsi coinvolgere militarmente nella cacciata del Presidente siriano Bashar al-Assad, in particolare per la sua decisione di non rispondere con attacchi militari all’uso che Assad ha fatto di armi chimiche. Obama invece ha scelto un accordo diplomatico secondo il quale le armi chimiche della Siria saranno smantellate. 

I sauditi sono anche molto scontenti del fatto che Obama abbia ritirato il suo sostegno a Hosni Mubarak, il deposto Presidente egiziano, ed abbia in seguito collaborato con Mohamed Morsi, un membro della Fratellanza Musulmana che fu eletto per sostituire Mubarak ma è stato in seguito detronizzato.

Tutti e tre i Paesi hanno fatto ricorso a minacce e atti di ripicca per sottolineare le loro opinioni. L’Arabia Saudita ha rinunciato ad un seggio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per ottenere il quale aveva tanto lottato perché, ha detto, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite non sono stati capaci di ottenere un accordo di pace nel Medio Oriente o di risolvere la crisi siriana; come se uno qualunque dei due risultati fosse stato facile da raggiungere, per l’America da sola. Benché sia difficile vedere come altri Paesi come la Cina e la Russia potrebbero costituire alternative migliori, le autorità saudite si sono spinte fino a dolersi del fatto che sono costrette a considerare gli Stati Uniti come inaffidabili tanto che rivolgeranno altrove lo sguardo per la loro sicurezza.

Nel frattempo, la Turchia, un membro della NATO, ha detto che avrebbe comprato un sistema di missili a lunga gittata del valore di 3,4 miliardi di dollari dalla Cina, perché l’offerta della Cina era più bassa di quella degli Stati Uniti e dell’Europa. La decisione potrebbe anche riflettere, tuttavia, lo scontento della Turchia per la politica di Obama riguardo alla Siria. (Ma è anche uno accordo stupido e infatti i dirigenti turchi ora sembra che se ne stiano pentendo; il sistema della Cina sarebbe difficile da integrare con l’equipaggiamento della NATO: e ciò minerebbe l’efficienza delle difese dell’alleanza e della Turchia).

Per quanto riguarda Israele, Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu sta facendo del suo meglio per silurare ogni accordo nucleare con l’Iran, incluso il fatto di spingere in ogni modo il Congresso ad imporre ulteriori sanzioni economiche all’Iran che potrebbero portare ad uno stop gli iniziali negoziati fra il nuovo governo dell’Iran e le grandi potenze.

Una gran parte di questa collera contro gli Stati Uniti è mossa da una sorta di crisi di nervi. Le sollevazioni della Primavera Araba hanno scosso il vecchio ordine, hanno immerso la regione nel caos, hanno creato per l’Iran occasioni per estendere la sua influenza sulla Siria e sull’Iraq ed hanno minacciato di peggiorare la frattura fra sunniti e shiiti. L’Araba Saudita, un Paese a maggioranza sunnita, in particolare teme un ravvicinamento americano con  l’Iran a maggioranza shiita.

Ma la prima responsabilità di Obama è nei confronti dell’interesse nazionale americano. Ed egli ha avuto perfettamente ragione nel rifiutarsi di essere spronato ad entrare nella guerra siriana o di essere costretto con la forza a sprecare una rara, ancorché remota, possibilità di negoziare un accordo nucleare con l’Iran.

Parlando alle Nazioni Unite, il mese scorso, Obama ha riaffermato la sua intenzione di restringere la sua attenzione diplomatica all’accordo nucleare iraniano e alla pace israelo-palestinese. Alcuni hanno letto tutto ciò come debolezza e come una marcia indietro, piuttosto che come pragmatismo. Noi avremmo desiderato che egli mettesse piuttosto l’accento sull’Egitto e l’Iraq. Ma le sue priorità sono plausibili. Il suo compito ora è quello di rassicurare gli alleati che gli Stati Uniti rimangono impegnati nella difesa della loro sicurezza.

30 ottobre 2013

Trad. di Gianni Pardo

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L’articolo – come è naturale, vista la fonte – ha grandi pregi di chiarezza e di sintesi. Tuttavia non si può sfuggire alla constatazione che su 563 parole (in inglese) 453 sono di critica all’operato del Presidente e 113 di apprezzamento, se pure con dei distinguo e in forma dimessa: We wish he had put more emphasis on Egypt and Iraq. But his priorities make sense. Noi avremmo desiderato che mettesse piuttosto l’accento sull’Egitto e l’Iraq. Ma le sue priorità hanno un senso. Si direbbe che nella Redazione del New York Times siano profondamente delusi dai risultati ottenuti dal “loro” Presidente in materia di politica internazionale e non trovino sufficienti argomenti per difenderlo.

Effettivamente, nel corso degli anni sembra che egli sia riuscito nell’ardua impresa di giocarsi i vecchi amici senza conquistarne di nuovi. Il suo entusiasmo per la Primavera Araba è stato tanto superficiale quanto disinformato. La linea scelta per l’Egitto, negli anni scorsi, è apparsa demenziale, per chi ha una vaga idea della regione. Il tentativo di accordo con l’Iran, desiderabilissimo in sé,  sembra audace se non utopico. E nel frattempo il tentativo concede tempo agli ayatollah per preparare la bomba atomica ed irrita profondamente l’alleato più serio che gli Stati Uniti abbiano nella regione. Unico suo reale merito, a nostro parere, è il non essersi lasciato invischiare nella guerra civile siriana. Tuttavia ha commesso una gaffe monumentale quando ha promesso di intervenire in caso di uso delle armi chimiche. Così si è messo in un’alternativa terribile: verificandosi il caso, o faceva intervenire l’America controvoglia in un conflitto in cui non ha molto da guadagnare, magari a favore di quelli che avevano usato quelle armi per provocarne l’intervento, oppure faceva perdere la faccia all’America, rendendo poco credibili le sue minacce. Come è avvenuto.

Se è vero che il NYT, secondo i nostri standard, è un giornale di sinistra, l’articolo sembra costituire la controprova delle opinioni severe e pessimistiche da molti espresse sulla politica americana, da quando è guidata da un idealista poco preparato come Barack Obama.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

30 ottobre 2013

 

ALLEATI IN RIVOLTAultima modifica: 2013-11-01T12:47:00+01:00da gianni.pardo
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