I GIGANTI MORTALI

 

“E se un giorno l’umanità si accorgesse che sono stato un immortale gigante del pensiero?”

Non è impossibile che ogni tanto la mente di Socrate sia stata sfiorata da questo interrogativo. Ma quell’uomo aveva un’acuta coscienza della vanità della vita: e infatti non ha lasciato scritto un rigo. È difficile immaginare che si sia fatto delle illusioni. La sua vita si svolgeva al presente, conversando con le persone per la strada, andando ad ubriacarsi con Alcibiade e gli altri amici, e sapendo che la stima che gli tributavano alcuni suoi concittadini era tutt’altro che universale. Come gli fu ampiamente dimostrato con la condanna a morte.

Perché dunque avrebbe dovuto pensare di essere un immortale genio del pensiero se in realtà come mestiere faceva lo scalpellino, come soldato era stato un semplice oplita, come sofista non guadagnava certo le cifre di altri e non ebbe mai una carica pubblica. Quando, durante il processo, chiese come “pena” di essere nominato l’equivalente attuale di senatore a vita, dimostrò soltanto il suo coraggio e il suo senso dell’umorismo. Un simile uomo non avrebbe mai potuto prevedere che oltre duemila anni dopo il suo nome sarebbe stato sinonimo di moralità, di riflessione, di dialettica: in una parola d’incomparabile grandezza umana ed intellettuale.

Probabilmente, se invece di essere stramorto, potesse ancora oggi usare il suo garbato umorismo per sfottere il prossimo, potrebbe farci il seguente discorso: “Tu dici che io sono un gigante del pensiero e pensi che mi sia sbagliato nel non averlo capito. E potresti avere ragione, potrei essermi sbagliato. Ma ora parliamo di te. Tu pure non pensi di essere un gigante del pensiero. Non presumi affatto che fra mille anni si rimasticheranno ancora le cose che hai detto e quelle che hai scritto. Dunque ti comporti come io mi comportai allora. Ed io ti chiedo: non potresti sbagliarti anche tu? Non potrebbe addirittura essere che io, a suo tempo, non mi sia affatto sbagliato, e la mia fama attuale sia usurpata, mentre tu ti sbagli nel crederti insignificante e in realtà sarai considerato per millenni quel gigante del pensiero che dopo tutto io non fui? È stato l’amico Platone che ha fatto di me un quadro troppo lusinghiero”.

Personalmente gli avrei risposto così: “Caro Socrate, il tuo umorismo è tanto brillante che l’apprezzo anche quando ridi di me. E apprezzo talmente la tua dialettica da riconoscerla valida anche quando sostiene una tesi assurda. Lascia che ti dica perché lo penso”.

Lui, gli direi, spiccava su tutti i suoi concittadini, tanto da essere notissimo e rispettatissimo; io non sono nessuno; per lui era improbabile, avere fama dopo la morte, per me è impossibile. E comunque – su questo insisterei – la questione è del tutto futile. Ognuno di noi è vivo finché è vivo. Mozart, per noi postumi, è uno dei più grandi doni che l’Onnipotente abbia fatto al pianeta Terra, ma nella sua vita Amadé è stato un compositore di qualche successo, magari migliore di altri, ma non tanto straordinariamente superiore come pensiamo oggi. Nemmeno lui avrà mai previsto la sproporzione fra la sua fama postuma e quella dei suoi contemporanei. Nella sua personale realtà, è dunque stato un uomo afflitto da un insufficiente buon senso, un poveraccio che s’è ammazzato di lavoro come pochi, che ha avuto sempre problemi economici e che una malattia ha stroncato a trentacinque anni. Non solo non ha saputo nulla, di tutta la sua fama successiva, ma non ha nemmeno potuto immaginare nulla. E allora, che differenza fa, essere Mozart ed essere me?

Per la verità, qualche differenza c’è. Lui almeno fruiva di una notevole fama, tanto da avere a che fare con l’imperatore, io non ho abbastanza amici nemmeno per evitare la fila all’ufficio postale. Il sindaco, in confronto a me, è una celebrità, mentre io non sono noto neanche nella strada in cui abito. E dal punto di vista economico, mentre Mozart non ha saputo gran che amministrare ciò che otteneva, ed è stato molto, io non ho questo problema: conosco professionisti che guadagnano in un giorno ciò che lo Stato mi versa come pensione ogni mese. Riconosciuto tutto questo, vorrei far cambio con Socrate e con Mozart? Francamente no.

In primo luogo, se è vero che Santippe era una peste, come moglie, la mia è tutto l’opposto. Non è vantaggio da poco, vivere in paradiso piuttosto che all’inferno. E poi vorrei tanto morire di morte naturale.

Per quanto riguarda Mozart, con tutta la stima che ne ho, non posso nascondermi che – a parte l’essere un miracolo ambulante dal punto di vista musicale – per il resto fu uno sciocchino. E comunque non rinunzierei affatto ai cinquant’anni in più, rispetto a lui, che è probabile io viva.

Di ciò che ne sarà di me, dopo la mia morte, non m’importa nulla. Per me, da morto è lo stesso essere un gigante del pensiero o l’insignificante ospite di un cimitero ignorato. E poi neanche quello. La vanità del tutto ricopre la Terra con un bellissimo mantello azzurro chiamato cielo che in realtà è un sudario.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

26 dicembre 2013

 

I GIGANTI MORTALIultima modifica: 2013-12-27T09:16:36+01:00da gianni.pardo
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