IL SILENZIO SU GAZA

Parlare di silenzio su Gaza, nel momento in cui in quel minuscolo territorio si è assordati dalle bombe, dai missili e dalle cannonate, sembra grottesco. Eppure, se ci si riferisce al silenzio di chi assiste a questa tragedia, si tratta dell’unico atteggiamento possibile.

Tutto ciò che si poteva commentare è stato già commentato. L’atteggiamento eccessivamente longanime di chi, dal momento che i razzi palestinesi non rischiano di cadere sulla sua casa, vorrebbe che Israele subisse senza reagire. L’esortazione alla preghiera, anche se non siamo sicuri che tutti pregherebbero lo stesso Dio, chiedendo le stesse cose. I famosi, eterni negoziati, come se si fosse fatto altro dal 1948 ad oggi. Né è stato taciuto l’assurdo di un debole che provoca ed attacca un forte, del tutto incurante dei danni, delle sofferenze e delle morti che ciò può provocare alla propria popolazione.

Si ha voglia di prendersi la testa fra le mani e piangere, dinanzi a tanta stupida e autolesionistica criminalità. Si tratta di criminalità, perché la fervida speranza è che i razzi facciano delle vittime civili. Questa tecnica di guerriglia è comunque stupida perché gli israeliani non sono come i francesi in Algeria: non se ne possono andare, semplicemente perché non hanno dove andare. Il progetto di ucciderli tutti – perché è l’unico modo di far sì che spariscano – è anch’esso stupido perché irrealizzabile in tempi prevedibili. Ecco perché in fin dei conti l’operazione è autolesionistica. Pur se è vero che Gerusalemme mira ai siti da dove partono i razzi, e in generale ad obiettivi “militari”, i danni per la popolazione civile di Gaza sono immensi e i lutti infinitamente superiori a quelli degli israeliani.

Qualcuno di quelli che sono disposti ad arrampicarsi sugli specchi per schierarsi con i terroristi, dirà che questo attacco, per quanto assurdo e autolesionistico, è l’unico che i palestinesi di Gaza possono permettersi: solo così possono attirare gli occhi del mondo sulla loro infelice condizione e sullo scandalo di Israele (la sua stessa esistenza). Ma nemmeno questo ha il minimo valore: perché della situazione sono informati tutti, da molti decenni. Anzi, da mezzo secolo. Hamas non può ottenere nulla che già non abbia, neanche una “nuova” pubblicità, e non può ottenere nulla di ciò che vorrebbe ottenere, perché l’avversario non è disposto a suicidarsi.

Questa vicenda ne ricorda un’altra in cui hanno brillato odio, ferocia e massacri: la crisi dell’ex Jugoslavia. Anche in quel caso si trattava di gruppi etnici diversi, spesso anche per religione, che si contendevano lo stesso territorio. Tutti erano poco disposti a tollerare la presenza dell’altro e fu in quel momento che il noto Edward Luttwak espresse un agghiacciante e innegabile principio: in questi casi, scrisse, la pace è al prezzo che uno dei due gruppi se ne vada o sia sterminato. Diversamente, il problema è soltanto rinviato. Poco importa quando “immorale” sia il principio, bisogna soltanto chiedersi se sia fondato sui fatti. E purtroppo sembra di sì.

In Palestina un atteggiamento di tolleranza dalla parte degli arabi non dovrebbe nascere da un principio di umanità, da un alto livello di civiltà o da una qualche eroica virtù, ma da una semplice domanda: e se fosse il mio, il gruppo che viene mandato via? e se fosse il mio, il gruppo che viene sterminato? E queste domande dovrebbe porsele in primo luogo il più debole, colui che rischia la sorte peggiore. Nessuno può dimenticare che Gerusalemme ha abbastanza forza per scacciare dai loro territori tutti i palestinesi, oppure per ucciderli tutti come Hamas sogna di uccidere tutti gli israeliani. Discorsi orrendi, ma mentre stamani Israele era disposta ad accettare la tregua – lei, di gran lunga la più forte e la meno ferita dai recenti avvenimenti – Hamas l’ha rifiutata, dicendo “che corrisponderebbe ad una resa”. Mentre da un lato Gaza è quella che soffre di più per lo scontro, dall’altro non ha nessuna possibilità di vittoria.

Una volta Golda Meir disse che la guerra fra palestinesi ed israeliani sarebbe finita quando le madri palestinesi avrebbero amato i loro figli quanto li amavano le madri israeliane. Quel momento non è ancora arrivato. Hamas tratta i palestinesi come carne da macello, li invita a non abbandonare le loro case e “morire da martiri” quando Israele preannuncia gentilmente un bombardamento, e spera effettivamente che lo facciano, per poi indignarsi per la morte di donne e bambini.  Alcuni europei piangono sui palestinesi, ma proprio Hamas è lungi dal farlo. Per questa organizzazione terroristica essi sono semplice spazzatura da esibire per ottenere pubblicità.

E così si giustifica il silenzio. Perché tutte queste cose le abbiamo viste troppe volte. Possiamo dirne qualcosa di nuovo soltanto a chi ha cominciato ad interessarsi del problema appena da qualche mese.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

15 luglio 2014

IL SILENZIO SU GAZAultima modifica: 2014-07-16T07:47:36+02:00da gianni.pardo
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