UN UOMO DEGENERE

 

 

“Le moi est haïssable”, ha detto Pascal, “l’io è odioso”. Ragione per la quale non bisogna parlare di sé. La regola è stata poi elevata a canone artistico da un Flaubert che, stanco dei personalismi del romanticismo, ha voluto l’autore assente dai propri libri. Qualche anno fa abbiamo visto la regola esemplificata in modo molto brillante da Dino Risi, quando ha reagito ai film di Nanni Moretti incentrati su Nanni Moretti col famoso invito: “Nanni, spostati, ché non vedo il film”.

La regola presenta delle eccezioni. Sarebbe stupido andare dal dottore e non descrivere ciò di cui si soffre, per non parlare di sé. Ci si comporterebbe come un cane dal veterinario. Poi, scrivendo un’autobiografia, non si può certo parlare in terza persona. Anche se Charlie Chaplin fece sorridere quando intitolò il suo libro: “La mia autobiografia”. Come se si potesse scrivere l’autobiografia di un altro.

Oddio, oggi avviene anche questo. Se un tizio è abbastanza famoso per pensare che la storia della sua vita possa interessare gli altri, non essendo capace di scrivere un libro, se lo fa scrivere da un ghost writer. Ma anche in questo caso, falsamente, in prima persona.

Ulteriore eccezione si ha se ci si assume la responsabilità di una testimonianza. Quando non è una vanteria (come nel caso di Rousseau) la confessione è un atto d’umiltà, o almeno un’occasione di riflessione.

Parto dal pretesto. Dopo la morte di Robin Williams ho letto un titolo di giornale in cui qualcuno diceva che la visione del film “L’attimo fuggente” l’aveva indotto a divenire professore. La mia reazione è stata di indignazione. Come ci si può entusiasmare per una professione che è sostanzialmente servile?

Intendiamoci, se il docente è Uto Ughi, non esercita certo una professione servile. Il discente lo stima, vuole imparare da lui e lo considera un modello di concertista. Ma se lo stesso grande violinista andasse ad insegnare in una Scuola Media, sarebbe forse la stessa cosa? I ragazzi non capiscono un’acca di musica e spesso neanche del resto. Non hanno voglia di imparare, non sono sensibili all’arte e, se studiano, è soltanto per essere promossi. Anche al liceo, quanti alunni, su trenta, sono veramente interessati alla letteratura, alla storia, alla filosofia? E se lo fossero, si interesseranno con uguale passione alla chimica, alla fisica, al latino?

Di norma il docente di scuola secondaria si trova a fronteggiare persone che preferirebbero non essere lì. La loro è l’età dello sport, del sesso, del gioco, dell’amore, non dello studio. Il professore, quando le possiede, si trova a distribuire perle di cultura a gente che non desidera riceverle. Una situazione peggiore di quella del cameriere che almeno vede facce contente, quando porta le pizze.

Un uomo normale ed equilibrato fa lezione perché è pagato per farla. La fa al meglio che può, perché ha stima di sé, ma non si aspetta né grandi risultati, né grandi soddisfazioni. Se invece si impegna allo spasimo per coinvolgere e per entusiasmare i ragazzi (e quante probabilità di riuscirci ha il professore di matematica?) il suo è l’atteggiamento volenteroso di chi svende la sua dignità pur di fare il bene degli altri. La sua gloria, se ci riesce, è quella di essere pervenuto a far sì che gli altri accettassero i suoi regali. È francamente troppo. La cultura, come una bella signora, non può abbassarsi a sculettare.

Ho pensato a tutto questo, nell’attimo fuggente della lettura di quel titolo. Poi mi sono detto che forse l’incomprensione nasce dal mio essere degenere. Non un degenerato (“un pervertito, psichicamente e moralmente”) ma, secondo lo stesso Devoto-Oli, qualcuno che “presenta una profonda alterazione, totale o parziale, rispetto alle prerogative consuete della specie, della stirpe, dell’ambiente, della tradizione”.

La specie umana è caratterizzata da lunghe cure parentali ed è sociale. Per istinto, siamo pazienti e generosi con i piccoli, anche se non sono figli nostri, e tendiamo alla solidarietà. Inoltre, riguardo ai più giovani, sentiamo il dovere di prepararli alla vita. Saremmo felici di vederli raccogliere l’eredità della nostra esperienza. Ciò spiega la devozione di tanti docenti alla loro professione, anche se normalmente pagata con l’incomprensione e a volte, quando sono deboli, con l’umiliazione. Costoro dimostrano un forte istinto di socialità e fanno cose che un gatto – che non appartiene a una specie sociale – non farebbe mai.

A questo punto ho capito che non dovevo criticare chi ha firmato quell’articolo. Uno che s’innamora di un film come “L’attimo fuggente” appartiene più di me alla specie umana. Io non sento una speciale tenerezza per i bambini, li trovo soprattutto rumorosi; non sono felice di insegnare a chi non vuole imparare; non tengo particolarmente ad essere utile alla società e non provo alcun interesse per ciò che sarà del pianeta Terra dopo la mia morte. Sono un individuo, non un membro della mia specie. Dunque sono degenere. Dante era un poeta ma era iscritto alla corporazione dei medici e speziali; io proverò a farmi accogliere in quella dei gatti.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

13 agosto 2014

UN UOMO DEGENEREultima modifica: 2014-08-14T15:03:00+02:00da gianni.pardo
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