IL DOPO-TREGUA A GAZA

 

Finalmente abbiamo una tregua a tempo indeterminato a Gaza. Ma una tregua non è una pace. Bisogna dunque capire che cosa ci ha guadagnato Israele e che cosa ci ha guadagnato Hamas, prescindendo totalmente dalla propaganda di quest’ultima, che a Gaza comanda anche sulla verità. I capi hanno deciso che hanno ottenuto una vittoria e i cittadini devono sfilare esultanti per le strade. Se necessario scansando le macerie. La scena ricorda l’atteggiamento di Yasser Arafat che, scacciato dal Libano insieme con tutti i suoi, salendo sulla nave faceva il segno della vittoria.

Badiamo dunque soltanto ai fatti e prescindiamo anche dalla stampa occidentale, ingenua come un bambino di quattro anni, o che fa finta di esserlo. Incontestabile è che Israele, con precisi scopi di dissuasione riguardo ai razzi palestinesi, ha voluto far soffrire gli abitanti di Gaza. Naturalmente non poteva ottenere ciò uccidendo bambini, sia perché ne avrebbe ricavato soltanto una pessima pubblicità senza per questo commuovere Hamas (che i bambini li userebbe volentieri come scudi umani) sia perché è impossibile mirare ai bambini risparmiando gli adulti. A meno che non si vada a fare una strage in un asilo, ma la cosa è piuttosto nello stile dei musulmani fanatici (qualcuno ricorda Beslan?).

Lo scopo di Israele è stato quello di colpire, quanto più duramente era possibile, i militanti islamici, o uccidendoli, o distruggendo le loro case. Inoltre si volevano distruggere le basi di partenza dei razzi, i depositi di armi e i tunnel con cui i terroristi progettavano di entrare in Israele per commettere attentati. Ovviamente i soldati non si sono privati di rispondere con violenza ad ogni tentativo di ucciderli o di resistere alla loro azione. Posto che la lezione di Cast Lead (Piombo Fuso) non è bastata, i militari con la Stella di Davide stavolta avranno avuto la mano ancor più pesante. I danni e i dolori devono essere stati proprio ingenti.

Il monito per il futuro doveva essere chiarissimo. I media occidentali hanno inghiottito come vangelo le notizie e i numeri riguardanti i bambini palestinesi morti e non hanno pensato che se il più forte esercito della regione si è mosso con l’intenzione di dare una severa lezione, è a questa lezione che bisogna badare. È dunque inutile che i palestinesi fingano di esultare. Anche se i miliziani hanno violato più di una tregua, col gesto d’ orgoglio di riprendere il lancio dei razzi, non sappiamo quanto la popolazione sia interessata a tali gesti: soprattutto se il prezzo è la vita di un congiunto o la perdita della casa.

Ora Hamas accetta una tregua a tempo indeterminato, evidentemente per leccarsi le ferite. Mentre Israele invece è sempre stata pronta a firmarla, questa tregua, perché il messaggio che voleva recapitare è stato abbastanza tonante per essere udito anche dai sordi.

Miope è pure l’idea – naturalmente corrente nei nostri media – che le eventuali concessioni di Israele (apertura di valichi, porti o aeroporti, allargamento della zona di pesca) siano altrettante prove della sua sconfitta. È più ragionevole pensare che si tratti da un lato di aperture che non costano nulla, se Hamas accetta la pace, dall’altro di concessioni che è facilissimo revocare, se Hamas riprenderà i lanci di razzi. Dunque di un’arma in più, senza bambini di mezzo, nelle mani di Gerusalemme.

Lasciando da parte il bla bla, il problema è ora il seguente: Hamas vuole veramente la pace? Il prezzo infatti lo paga il popolo, e il popolo non conta. E che avverrà, se l’organizzazione riprenderà il lancio di razzi?

Per puro esercizio intellettuale si può immaginare una linea di condotta. Se i palestinesi riprenderanno i lanci di razzi e Gerusalemme sopporterà la provocazione, i razzi saranno sempre più numerosi, senza che i giornali si strapazzino a dare la notizia. Se infine Israele penserà di nuovo a rispondere per le rime sembrerà che stia attaccando i poveri palestinesi. Dovrebbe invece reagire già ai primi due razzi con un’immediata revoca delle concessioni e un  pesante raid aereo. La notizia sarebbe allora unica: due razzi da un lato, una rappresaglia dall’altro.

Se la risposta fosse costante e non discontinua, alla minima provocazione i palestinesi ci penserebbero due volte ad attaccare un leone che morde sul serio. Per un razzo caduto nel deserto, un intero palazzo demolito – se pure avvertendo prima gli abitanti – è un prezzo troppo caro.

Le autorità israeliane pensano a questo problema giorno e notte e non è il caso di dar loro dei consigli. Ma sarebbe interessante fare l’esperimento.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

27 agosto 2014

 

IL DOPO-TREGUA A GAZAultima modifica: 2014-08-28T12:12:55+02:00da gianni.pardo
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