CONTRO GLI INTELLETTUALI

 

Il pamphlet potrebbe essere inelegante già nella sua essenza. Scrivere contro qualcuno ha qualcosa di negativo, qualcosa di acre, al limite qualcosa di rancoroso. E tuttavia a volte si dispone di imponenti giustificazioni. Non solo il male che può aver commesso l’oggetto della reprimenda può gridare vendetta, ma può essere irresistibile il bisogno di sottolineare l’arroganza di chi si è sentito importante, di chi ha considerato un diritto essere riverito, di chi ha avuto la pretesa di indicare agli altri la via da seguire e si è regolarmente sbagliato: stiamo parlando degli intellettuali.

Per molti secoli i veri valori sono stati la nascita e la spada. Cioè nascere nobili o avere acquisito tali meriti militari da divenirlo o addirittura da impossessarsi del potere. La cultura ha sempre contato poco, anche perché non era tecnologica ma umanistica. La Rivoluzione Francese, che del resto coincideva cronologicamente con la rivoluzione industriale, sulla scia dell’Encyclopédie affermò invece, per la prima volta, il valore della conoscenza e della sua applicazione. E infatti presto gli intellettuali e gli scienziati divennero più importanti sia dei nobili sia dei militari. Ecco perché quell’imbecille del presidente del Tribunale rivoluzionario che commentò la condanna a morte di Lavoisier con le parole “La République n’a pas besoin de savants!” (la Repubblica non ha bisogno di scienziati) non sapeva quello che diceva. Come se non bastasse, furono degli intellettuali che elaborarono i principi della democrazia moderna. Sono loro che hanno progettato lo Stato quale lo conosciamo e quale venne ad esistenza nei neonati Stati Uniti.

E tuttavia la vittoria ha minato il carattere di questi benemeriti della storia. Finché gli intellettuali hanno lottato per le loro idee, essendo all’opposizione come Voltaire o Diderot, abbiamo visto uomini dalla schiena diritta. Quando poi, con la democrazia, le loro idee hanno prevalso, si sono sentiti in dovere di fiancheggiare l’opera dei titolari del potere come suggeritori e padri nobili. E sono divenuti servi del regime.

Questa vocazione a sentirsi parte della classe dominante, anche senza esserlo, ha prevalso sui principi di libertà e di indipendenza di pensiero che furono cardini dell’Illuminismo. Ciò spiega come in Italia non solo gli intellettuali, come classe, siano stati conformisti dall’unità nazionale in poi, ma si siano adattati ad incensare anche il regime fascista. Né si può dire che ciò sia avvenuto per caso: caduto Mussolini, essi si sono subito adattati a divenire comunisti. Il comunismo appariva come il nuovo Principe da servire perché dispensava favori ed era destinato, loro pensavano, ad ereditare l’intero potere del fascismo. Insomma salivano sul carro del vincitore prima ancora che si mettesse in moto.

Malgrado questi limiti imperdonabili, in un tempo in cui studiavano in pochi (e quei pochi seriamente) da noi il rispetto degli intellettuali è stato grande. Fino alla Seconda Guerra Mondiale avere scritto “un’altro” avrebbe provocato una capitis deminutio, un passaggio in serie B. Col passare del tempo invece si sono verificati dei fenomeni che, pur avendo origini diverse, hanno agito concordemente. Il primo è stato il decadimento della cultura. Dopo l’allargamento delle maglie della scuola, il livello di competenza dei laureati è divenuto molto mediocre. Oggi i giornalisti che appaiono in televisione fanno errori d’italiano che un tempo avrebbero provocato le risa in una classe di Scuola Media. La stessa televisione, inoltre, ha involgarito il dibattito facendo prevalere il demagogo e il battutista sul vero intellettuale. Infine c’è stata la sconfitta del comunismo, che ha costituito pure la squalifica di intere generazioni di intellettuali. Prima è stato necessario perdonare ad Eugenio Scalfari – per fare un nome – il suo giovanile entusiasmo per il fascismo, poi è divenuto difficile perdonargli il suo sinistrismo. E quando anche questa tendenza si è sgonfiata, gli intellettuali sono stati percepiti come semplicemente soporiferi. Una fine ingloriosa. E quando impugnano la spada, come il prof.Rodotà, rischiano di apparire patetici. Del resto, non perdiamo molto. Troppo spesso il teorico vale poco, quando si confronta con la pratica. Basti vedere dove ci hanno condotti i supremi tecnici dell’economia europea.

Nel dibattito siamo approdati ad un’epoca filistea in cui si prevale se si è capaci di sintesi e di slogan. In questo, applausi a Matteo Renzi. Il vero intellettuale esiste ancora, è naturale, ma sta chiuso a casa sua. È uno spettatore come gli altri. E ciò è un bene sia per la realtà politica sia per lui stesso. Di intellettuali che si degnerebbero di guidare la cosa pubblica o, peggio, che firmano petizioni e appelli, non abbiamo bisogno. Abbiamo già dato.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

29 settembre 2014

CONTRO GLI INTELLETTUALIultima modifica: 2014-10-04T11:42:15+02:00da gianni.pardo
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