IL MILLEPIEDI IN CATTEDRA

Un millepiedi mi stava attraversando la strada e gli ho dato precedenza. Inutile lodarmi, non sono un animalista e neppure un’anima sensibile. In realtà queste bestioline, se schiacciate, fanno un’orribile puzza. E non volevo che mi rimanesse attaccata alle scarpe.

Poi ho guardato quel miriapode che, con la sua aria di supertreno transcontinentale, andava verso l’altro lato della strada, ed ho innanzi tutto ammirato, ancora una volta, l’organizzazione delle sue zampette. Non si muovono tutte insieme. Quando arriva il loro turno fanno volenterosamente il loro passettino, senza mai interferire con le altre, un po’ come se, usando un pianoforte a quattro mani, due pianisti facessero le scale insieme, a salire: prima quattro do, poi, quattro re, poi quattro mi, poi quattro fa. Le quattro o cinque onde di movimento scorrono in avanti lungo i lati, instancabilmente, e quel piccolo Orient Express procede risoluto verso la sua meta.

Ma è difficile immaginare quale possa essere la meta di un millepiedi. Oltre tutto, avendo necessità di umidità, che ci faceva lì, sull’asfalto asciutto? Ed eventualmente chi gli aveva detto che nella terra incognita, dall’altra parte della strada, l’ambiente sarebbe stato più propizio? Ma uno che ha già la fama d’essere un po’ strano è bene che non stia a lungo accoccolato in mezzo alla carreggiata a guardare un millepiedi. Sicché ci siamo salutati e ciascuno per la sua strada.

Il pensiero di quell’artropode però continuava a seguirmi. Chissà che la puzza che fanno, se sono schiacciati, non sia un modo di scoraggiare qualche predatore: “Non mi mangiare, faccio schifo”. Anche i millepiedi, come tutti gli esseri, passano il loro tempo a lottare per la sopravvivenza. Evitano di essere eliminati e cercano, se serve, di eliminare gli altri. E in tutto questo trambusto ovviamente non dimenticano di riprodursi. Diversamente il pianeta Terra sarebbe privato della loro presenza.

Ma forse questo è un modo di ragionare razzista. Il leone, simbolo di nobiltà e di coraggio (qualità del tutto leggendarie, in quella bestiaccia pigra e maschilista) non fa nulla di diverso. E neanche noi esseri umani siamo un’eccezione. Da un lato, essendo onnivori, facciamo strage di vegetali e di animali, dall’altro cerchiamo di non farci mangiare da lupi, leoni, squali e, versione modernissima, dai microbi e dai virus. Né si può dire che ci disinteressiamo della riproduzione. Ché anzi ce ne occupiamo con tale scrupolo che l’antropizzazione del mondo è divenuta eccessiva. Dal punto di vista del pianeta ricordiamo anzi una nota proliferazione anomala di cellule. E comunque siamo colleghi dei millepiedi e dei leoni, se pure con la differenza che mangiamo con coltello e forchetta e parliamo d’amore.

La riflessione si è allargata. Il pianeta può essere visto come un immenso palcoscenico dove – in terra, in mare o in cielo – va continuamente in scena la tragedia della disperata lotta per nutrirsi, all’occasione a spese degli altri, dove il più piccolo cerca di non farsi mangiare dal più grosso e impera la stolida pulsione alla riproduzione, anche quando è pericolosa o si conclude con la morte dei genitori. Basta pensare alla faticosa e suicida odissea finale dei salmoni.

In ogni momento c’è un essere che lotta, soffre, perisce nella totale indifferenza di tutti. E ancora una volta tutto ciò riguarda anche noi esseri umani. La maggior parte pensa che siamo più “importanti” dei millepiedi o delle lattughe ma, se i millepiedi potessero fornirci la loro opinione, ben difficilmente la loro scala degli esseri sarebbe identica alla nostra. Se gli raccontassimo qual è lo scopo della nostra vita, e quali sono i nostri valori, amore e arte inclusi, l’artropodo forse ci risponderebbe che no, la cosa più importante è essere un bel millepiedi che sopravvive e mette al mondo tanti bei millepiedini.

Se si riesce ad abbracciare mentalmente questo verminaio brulicante che copre il pianeta, è difficile evitare lo scoramento dell’assurdità di tante vicende, di tanti sforzi, di tanti dolori, di tanta morte. Tanto che la parola vita, invece di destare un’eco di letizia, può suscitare una sorta di disgusto. Tanta pena per niente. E in più il dolore cosmico di sapere che la vicenda esistenziale di quel millepiedi non ha senso. Non più della nostra.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

5 ottobre 2014

IL MILLEPIEDI IN CATTEDRAultima modifica: 2014-10-06T14:30:19+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo