UN PO’ DI AUTO-ANALISI

Un gentile lettore mi scrive: “Tanta e tanto abituale difesa dei ricchi da parte sua, che so bene non interessata né ruffianesca né di matrice reazionaria, è davvero encomiabile in un mondo come il nostro, così pieno di invidie e rancori”. Si tratta indubbiamente di una corposa lode che dovrebbe farmi arrossire. E tuttavia.
I nostri difetti, come le nostre qualità, sono figli della nostra personalità e delle nostre esperienze. L’invidioso è qualcuno che pensa d’avere avuto meno riconoscimenti di altri, pur meritandolo di più. E può perfino essere vero. Ma ciò che qui importa è che egli soffre del successo altrui, e con ciò stesso lo ammette; come ammette che lui personalmente non è in grado di contrapporgli nessuna propria impresa che sia in grado di pareggiare i conti.
Se per umiltà si intende riconoscimento della propria modesta realtà, si potrebbe dire che l’invidioso è umile. È qualcuno che confessa la propria sconfitta. Anche se, per legittima difesa, cerca miseramente di negarla denigrando colui che l’ha battuto. Ma in fin dei conti usa un’arma spuntata. Comunque la si voglia mettere, all’altro è andata meglio che a lui.
Stranamente, può essere invidioso sia chi non è riuscito sia chi ce l’ha fatta: quest’ultimo infatti è capace di temere che il successo dei colleghi offuschi il suo oppure continua a sentirsi inferiore perché, per esempio, è rimasto un ignorante. E così si vendica scioccamente contrapponendo il suo grande reddito al misero stipendio del professore di filosofia: “Hai visto? Ha ancora lo stesso catorcio di dieci anni fa”. L’invidia non è sinonimo di fallimento.
La riprova dello sganciamento dell’invidia dal successo, si ha esaminando il caso del non invidioso. Questi, anche quando non ha combinato nulla nella vita, continua ad essere prodigo di lodi, rispetto e riconoscimenti per tutti: sia per quelli che eccellono in campi diversi dal suo, sia per quelli che lo hanno battuto nel suo stesso campo. Nessuno sembra fargli la minima ombra. L’unica spiegazione è che, in fondo al cuore, non ha bisogno del successo per stimare sé stesso.
Le ipotesi, per un simile fenomeno, sono fondamentalmente due. Alcune persone, anche raggiunta l’età adulta, conservano l’atteggiamento dei bambini a cui tutti dicono che sono belli. E loro si amano come le madri amano i loro figli, senza stare a discutere perché. “Sono i propri preferiti”: e dall’alto di questo imbattibile primato possono essere benevoli col resto del mondo.
Questo – se si vuole – è il trionfo dell’imbecillità infantile. Ma stranamente si giunge allo stesso risultato andando all’estremità opposta: il filosofo pensoso. Se non è invidioso per temperamento – perché in quel caso non c’è rimedio – questi trova facilmente buone motivazioni per la sua mancanza d’invidia. Non si può essere primi in tutto, e dunque non avrebbe senso che lui si metta ad invidiare il grande “tombeur de femmes”, l’atleta celebre o il Premio Nobel per la chimica. Non sa nemmeno che cosa sia la formaldeide! Se passa in rassegna tutti i pennacchi del mondo, alla fine è facile che li definisca “vanitates”. Non si può invidiare la bellezza, perché svanisce con la gioventù. E neppure il denaro, perché non migliora chi l’ha conseguito. Se, col successo certificato dal suo portafogli, l’arricchito cerca di introdursi nella classe superiore, rischia gli infortuni del Bourgeois Gentilhomme. Gira e rigira (non dimenticando l’argomento principe che alla fine tutti moriamo e tutti siamo dimenticati) arriva a non invidiare nessuno. Loda dunque tutti coloro che hanno anche un minimo merito, e passa per generoso e disinteressato.
Indubbiamente ha un comportamento molto gradevole. Ma la sua considerazione del successo altrui, nella sostanza, non è estremamente diversa da quello dell’invidioso. Costui vede la superiorità altrui e non la sopporta; il non invidioso è corazzato da un illimitato amore di sé, che lo pone soggettivamente al livello di chiunque altro, e per conseguenza, mentre l’invidioso soffre della superiorità altrui, lui quella superiorità non la vede neppure. Dunque considera gli altri con benevolenza: lasciamo che i ragazzi giochino con i loro balocchi, il denaro, la fama, il successo. Ambedue hanno rimosso il problema della propria effettiva valutazione, con l’unica differenza che l’invidioso è sgradevole ma umile, il non invidioso è gradevole ma presuntuoso.
Dopo questa serie di considerazioni arriva la domanda inevitabile: ed io, a quale categoria appartengo? Forse non sono invidioso, come riconosceva il benevolo lettore, ma quanto al confessarmi presuntuoso, mi avvalgo della facoltà di non rispondere e voglio un avvocato.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

12 febbraio 2015

UN PO’ DI AUTO-ANALISIultima modifica: 2015-02-12T11:25:12+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo