LA VOLGARITA’ COME FORMA DI DEMOCRAZIA

A commento di un articolo, in cui era criticata la volgarità contemporanea, un lettore faceva notare che “i giovani di fine Ottocento sarebbero inorriditi di fronte al modo di vestire, parlare, pettinarsi e comportarsi dei loro coetanei cinquant’anni dopo”. L’obiezione è di peso. Se infatti si trattasse di un’illusione prospettica, se cioè costantemente i giovani di cinquant’anni dopo sembrassero volgari ai giovani di cinquant’anni prima, nel frattempo divenuti settantenni, il fatto di trovare l’epoca presente volgare significherebbe soltanto che chi lo afferma è vecchio. Ed è un’ipotesi da prendere seriamente in considerazione. Ma ce n’è una seconda, non meno importante.
Come mai la Spagna, l’Italia, la Francia parlano lingue romanze, cioè derivate dal latino, quando è evidente che gli stessi Paesi, prima della conquista romana, parlavano certo un’altra lingua? La spiegazione è semplice. Il latino era la lingua del potere, della politica, della cultura. In una parola del prestigio in tutte le direzioni. I romani avevano come stabile prassi quella di non interferire con la civiltà delle regioni conquistate, alle quali lasciavano la libertà di avere la religione di loro preferenza e tutti i costumi che non contrastassero con le leggi romane. Ma ciò che essi non imponevano con la forza infine l’imponevano col prestigio: non molto tempo dopo essere stati conquistati, quei popoli volevano sentirsi anche loro “romani”. Parlavano latino, le loro città avevano spesso lo schema delle città romane (ricavato a sua volta da quello dell’accampamento militare), appena potevano si costruivano un Foro, delle Terme, un teatro, dal Marocco (Volubilis) all’Inghilterra. Mentre i popoli sottomessi dai sovietici, dopo la Seconda Guerra Mondiale, hanno vivamente desiderato dimenticare questa oppressione ed anche ogni parola di russo appresa, Roma effettuò una conquista che fu anche definitiva dal punto di vista culturale.
Da tutto questo si può dedurre un principio generale: il comportamento e la lingua ritenuti “corretti” e “di prestigio” sono quelli di chi domina la nazione, sia dal punto di vista politico che dal punto di vista culturale. A lungo il miglior francese fu quello della Valle della Loira, perché era lì che risiedevano i re di Francia con la loro corte, mentre quando la reggia è stata spostata a Parigi, il francese di Parigi è divenuto il modello per tutta la Francia. E se a corte non era di bon ton essere maleducati, la moda era a cercare di mostrarsi beneducati. Se a corte si mangiava con la forchetta e non si usava il turpiloquio, non bisognava infilzare il cibo col coltello e dire parolacce. Non si dimentichi, l’aggettivo “cortese” deriva da corte.
Finché il potere è appartenuto al re e ai nobili, il modello di comportamento è stato il loro. Il Bourgeois Gentilhomme di Molière esagera soltanto: per il resto è un normale rappresentante della borghesia. Qualcosa è però cambiato con la Rivoluzione Francese. Da prima l’affermazione che il sovrano è il popolo è stata soltanto nella Costituzione, poi, scomparendo le monarchie assolute, scomparendo i nobili. e scomparendo persino i ricchi per eredità, è divenuta una realtà effettiva. Prima soltanto le persone molto volgari usavano la parola “cazzo”, e comunque mai in presenza di signore, poi la volgarità è stata sentita come accettabile perché appartenente al sovrano: la maggioranza del popolo. Prima il borghese affettava una raffinatezza superiore alla sua, perché così ci si comportava a Corte, oggi si toglierebbe la cravatta e direbbe parolacce perché così fa il nuovo sovrano. Ciò facendo l’uomo pubblico non vuole divenire più elegante, vuole soltanto dire ai molti: “Badate che io sono uno di voi”. Voltaire nell’abbigliamento era assolutamente indistinguibile dai nobili, perché ne contestava i privilegi, non la superiorità. La suggestione del potere e del modello era ancora la loro. E tale è rimasta a lungo, forse fino alla fine dell’Ottocento, come diceva quel lettore. Ma da allora, a poco a poco, il modello è cambiato, perché sempre più il volgo è stato padrone della nazione.
Oggi siamo alla resa totale. Non soltanto si parla una lingua da trivio, commettendo errori, ma si arriva a vestirsi di stracci – si pensi alla moda dei jeans laceri – e anche la scuola ha accettato il diritto all’ignoranza, reclamato dal volgo. Sembra una grande conquista se dei tredicenni che hanno scaldato i banchi per otto anni sono in grado di leggere con stento qualche insegna di negozio. La stessa laurea non è affatto garanzia di un minimo di cultura generale. Abbiamo una massa sterminata di persone che non esiterebbe a confondere l’Ariosto con l’arrosto.
L’attuale imbarbarimento dipende dal momento storico. Se invece, in seguito, avverrà che i giovani di cinquant’anni prima troveranno sempre volgari i giovani di cinquant’anni dopo, allora avrà avuto ragione quel lettore.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
21 febbraio 2015

LA VOLGARITA’ COME FORMA DI DEMOCRAZIAultima modifica: 2015-02-22T10:40:28+01:00da gianni.pardo
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