PIOTR ILJICH CHAIKOVSKIJ

Nell’ambito della musica, c’è un solco incolmabile fra i competenti e non competenti. Quando si affacciano sul panorama della musicologia i non competenti si rendono conto di essere degli analfabeti che non sanno che cosa hanno ascoltato, per anni ed anni. Anche se per caso hanno imparato a suonare uno strumento. Da ciò bisognerebbe dedurre che in materia di musica nessuno deve aprire il becco, se non è adeguatamente attrezzato, teoricamente, e se non è capace di seguire l’esecuzione tenendo sotto gli occhi lo spartito.
Ma è possibile un diverso punto di vista. È vero che dietro la musica vi è una sapienza tecnica enorme, ma è anche vero che il compositore non parla tanto ai suoi colleghi, quanto agli ascoltatori normali. Quelli che non sanno niente di contrappunto e dello “schema sonata”. Ascoltatori che proprio per questo sono felici quando possono chiamare una sinfonia di Beethoven “Eroica” o una sinfonia di Schumann “Romantica”.
Un paragone irriverente si può fare con i ristoranti. Il grande gourmet può apprezzare al di sopra di tutti i piatti cucinati da un piccolo cuoco in un ristorante medio, ma il ristorante di grande successo è quello che incanta il maggior numero di consumatori danarosi. La gastronomia infatti si rivolge piuttosto a questi ultimi che al solitario intenditore. Ed è appunto con tutta l’umiltà del semplice consumatore che mi permetto di dire la mia su un autore, Piotr Iljich Chaikovskij, che pure, fra i compositori, pongo ai livelli più alti.
La grande musica – quella che riempie i teatri e manda in visibilio il pubblico – non è astrusa. I capolavori dispongono invariabilmente di grandi melodie. Ecco perché fra i più grandi autori ci sono i più fortunati inventori di melodie: Bach (per esempio il Bach dei Brandeburghesi), Beethoven, Brahms, per non parlare dell’inesauribile Mozart o del fanciullo prodigio Schubert. Altri autori, magari maestri di composizione, non sono stati amati dalla Musa della melodia. La loro musica, pure gradevole, quella melodia sembra cercarla disperatamente, a volte senza trovarla, a volte trovandone un mozzicone su cui costruire l’intera opera. Si pensa a Bruckner, a Wagner, a molta parte di Mahler e a tanti altri. Il principio è confermato dal fatto che esistono compositori che hanno scritto, come tutti, un grande numero di ore di musica, e tuttavia fanno parte del pantheon musicale per un’opera o due. Rimksij Korsakov non ha composto nulla che sia all’altezza di Scheherazade, ma quell’opera è così bella e melodiosa che basta, da sola, a fargli un grande posto nella storia della musica. E la stessa cosa può dirsi di César Franck, che merita un proprio altare per la Sinfonia in Re Minore e per la celebre sonata per violino e pianoforte o di Berlioz e della sua “Sinfonia Fantastica”.
Così si viene a Chaikovskij, indubbiamente un genio che in materia di melodia può rivaleggiare con Schubert. Inoltre, le sue orchestrazioni fastose e “flamboyantes” lasciano un’impressione indelebile. Trascinano l’ascoltatore fino a rapirlo in un universo diverso fatto di note e di suoni che turbinano nell’etere come un tornado. Da giovane, uscivo dall’ascolto della “Patetica” spossato, come avessi scalato una montagna, fatto l’amore per un’ora, bevuto una bottiglia di cognac. E non faccio paragoni con l’eroina soltanto perché non l’ho mai provata. Chaikovskij nella musica non è soltanto ascolto, è un’invasione sonora, è un’emozione violenta, è un piacere carnale.
E tuttavia. Tuttavia c’è un problema di misura che non si riesce ad eliminare. Se una donna è bella, molto bella, anzi, bellissima, a che scopo vestire in maniera provocante, eccedere nel trucco, assumere pose lascive per sottolineare quanto è attraente? Perché non accettare il semplice fatto che gli altri hanno occhi per vedere e cervello per capire? Chaikovskij disturba la sua stessa musica perché ciò che ha da dire non lo dice, lo grida. Il coinvolgimento che Bach realizza con una bellezza e purezza di livello divino (si pensi alla cantata “Die Himmel erzälen die Ehre Gottes”) Piotr ce l’impone con i timpani, i piatti, la piena orchestra, un frastuono che a volte fa quasi dire, mentalmente: “Guarda che non sono ancora sordo”.
Una volta, avendo io definito “retorica” la sua musica, fui acutamente corretto dal mio interlocutore che la definì piuttosto “enfatica”. Ed è l’enfasi, che disturba. La Guerra del Peloponneso di Tucidide è piena di discorsi di ambasciatori e di uomini politici, e tutti cercano di convincere gli ascoltatori. E tuttavia nelle loro parole la retorica è praticamente assente. Usano i loro argomenti, non semplici suggestioni, lasciando agli ascoltatori il compito di soppesarli. Come fa Mozart, che anche per questo sarà costantemente più in alto di Chaikovskij. Il suo livello è il massimo senza che lui alzi mai la voce, senza che – come Wagner – abbia bisogno di molte decine di esecutori per dire ciò che ha da dire. La bellezza della sua musica non ha bisogno di sottolineature, di accentuazioni, di suggestioni. In una parola di enfasi.
Chaikovskij mi incanta, ma nello stesso tempo, mentre l’ascolto, vorrei tanto potergli fare, con la mano, il gesto di abbassare il tono. Ma lui non mi ascolta.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
29 luglio 2015

PIOTR ILJICH CHAIKOVSKIJultima modifica: 2015-07-30T08:08:27+02:00da gianni.pardo
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