LA SEMANTICA DEMOCRATICA A BARCELLONA

L’onestà è un affare anche in campo intellettuale. Nel senso che a volte si appare intelligenti soltanto perché si è stati onesti. Onesti con le parole, innanzi tutto.
La prima regola è di non dire mai di avere capito se non si è veramente capito. La seconda è di non lasciarsi impressionare da ciò che non si è capito. È meglio non capire qualcosa di intelligente, che credere di avere capito qualcosa, e accorgersi poi di avere preso per buona un’enorme sciocchezza. E comunque, chi ha detto che si debba capire tutto? E soprattutto, chi ha detto che si debba avallare ciò che non si è capito?
Prendiamo la teoria della relatività. Dopo decenni di discussioni, oggi è considerata pura e semplice scienza. Anche perché è stata confortata da esperienze un tempo impossibili. A questo punto, se vi chiedono se avete capito la relatività, non bisogna rispondere: “Sì”. Non bisogna neppure rispondere: “Sì, qualcosa ho capito anch’io”. L’unica risposta è un onesto: “No”. E se vi chiedono se la considerate scienza, non dovete rispondere “Sì”: perché non avete l’autorità per farlo. Uno che ha difficoltà con l’aritmetica, figurarsi se può esprimere un parere su quella teoria. Al massimo può dire: “I competenti la reputano tale”.
Semplice prudenza. E a volte avviene che da principi semplici, addirittura banali, derivino sviluppi impensati. Per molti secoli l’umanità ha studiato per acquisire le nozioni delle persone colte e fu soltanto nel Seicento che un signore si chiese: “Ma è vero, ciò che dicono? Verifichiamolo”. Quel signore si chiamava Galileo, e quella verifica fece nascere la scienza sperimentale. L’orbe terracqueo ha sostituito il principio d’autorità con l’osservazione e l’esperimento, e il mondo non stato più lo stesso, da allora.
Ognuno di noi può migliorare la propria conoscenza del reale con l’analisi delle parole. La semantica è la scienza dei significati, e il suo corretto uso ha, su molte affermazioni, l’effetto di un filtro, di un solvente, di un depuratore. Le parole si spogliano della loro autorità e rivelano a volte la loro inconsistenza o, persino, la loro natura truffaldina.
In questi giorni abbiamo l’occasione di utilizzare questo metodo interpretativo con la crisi catalana. Stiamo tutti a chiederci che cosa avverrà, come si comporteranno i protagonisti, e tendenzialmente prendiamo sul serio ciò che dicono. Quanto meno crediamo che le loro parole esprimano concetti importanti. E non sempre è vero.
Dovendo fronteggiare i provvedimenti che Madrid prenderà sulla base dell’art.155 della Costituzione, Puigdemont, il leader indipendentista, ha annunciato che il popolo catalano attuerà una: “opposizione democratica”. Belle parole, indubbiamente. Ma in concreto, nella situazione reale, che significano? Se il governo di Madrid deciderà di usare la forza, per esempi sgombrando le strade dai manifestanti, per esempio impedendo ai ministri e ai funzionari rimossi di accedere ai loro uffici o arrestando chi inneggia all’indipendenza, in che consisterà l’opposizione? Se si risponderà alla violenza con la violenza, l’opposizione sarà violenta. E se alla violenza non si risponderà con la violenza, si sarà democratici, ma non ci si sarà opposti. Queste due parole, dal punto di vista semantico, non vanno d’accordo.
Ma è tutto un festival di dichiarazioni velleitarie. Puigdemont ha ancora detto: non dobbiamo “mai abbandonare l’atteggiamento civile e pacifico. Non vogliamo la ragione della forza, non noi”. Anche queste, belle parole. Ma i catalani hanno la scelta fra l’atteggiamento civile e la forza? È come se una pecora dicesse a un leone che considera volgare mangiare pecore.
“Andiamo avanti”, afferma su Twitter il ministro catalano Josep Rull. E uno gli chiederebbe: “Anche se un carro armato ti sbarra la strada?”
Inoltre leggiamo che il Governo catalano non si considera destituito. Come un pugilatore che, portato via in barella, si consideri il vincitore.
Vediamo invece che cosa può realmente fare la Catalogna, per opporsi ak giverno centrale. Per esempio, tutti i funzionari di Stato potrebbero attuare una sorta di sciopero costante, rallentando enormemente lo svolgimento del loro lavoro, e rendendo la vita difficile a chi viene nel nome di Rajoy. Anche qui, però, il boicottaggio avrà o no successo secondo la reazione di Madrid. Se quel governo licenziasse in blocco i dipendenti di un ministero, farebbe una sciocchezza. Perché il giorno dopo gli mancherebbe il personale per farlo funzionare. Ma se licenziasse non tutti i funzionari, ma a poco a poco, col contagocce, quelli che si spingono più lontano, senza mai smettere, presto tutti comprenderebbero che, continuando, rimarrebbero disoccupati. Si può star sicuri che il boicottaggio finirebbe presto. Senza dire che una volta Reagan, di fronte alla minaccia di un massiccio sciopero dei controllori di volo, li licenziò tutti in blocco, e sopravvisse. Sopravvisse lui, e sopravvisse anche l’aviazione civile.
Altro esempio. Ammettiamo che gli attivisti catalani si mobilitino per non fare entrare i nuovi funzionari negli uffici. Potrebbero creare un immenso sit in, una muraglia umana intorno a quegli edifici. Avrebbero vinto? Certamente no. Se soltanto Madrid fosse abile. Infatti basterà aspettare che si stanchino, che abbiano fame, o che piova, ed andranno via. Lo stesso vale per le manifestazioni di strada. Quelle non violente basterà lasciarle passare, finché gli indipendentisti non vedranno che non concludono niente. E quelle violente basterà reprimerle con una violenza doppia o tripla rispetto a quella dei rivoltosi.
Insomma, gli indipendentisti catalani, coscienti di non avere i mezzi per resistere, si gargarizzano con parole altisonanti. E inutili. La verità è che la vittoria di Madrid non è sicura, ma non perché possa essere battuta da Barcellona: semplicemente perché potrebbe essere battuta dalla propria vigliaccheria.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
28 ottobre 2017

LA SEMANTICA DEMOCRATICA A BARCELLONAultima modifica: 2017-10-29T06:48:49+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA SEMANTICA DEMOCRATICA A BARCELLONA

  1. Non sono un cattedratico,per quel che conosco la semantica è l’arte delle parole vuote. Si applica per apparire colti,intelligenti, in sintesi per fare “colpo” , praticamente un soliloquio ed è uno dei mali delle democrazie. Saluti Ciro

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