INTERPRETANDO GLI AVVENIMENTI CATALANI

A Barcellona e a Madrid si gioca una partita più drammatica di quanto molti pensino. Ma non è ad armi eguali: è come se Madrid avesse tutte le briscole e Barcellona soltanto la voce dei suoi indipendentisti che poi, ovviamente, non sono la totalità dei catalani. In questo campo è significativo il modo in cui si è votato per l’indipendenza. Si è usato lo scrutinio segreto e i voti a favore sono stati la totalità, salvo dieci contrari e due schede bianche. E bisogna anche segnalare le assenze. Nell’aula non c’erano i partiti contrari alla dichiarazione d’indipendenza. E già questi dati, da soli, dicono parecchio.
I catalani anonimi, in piazza, brindano e si dichiarano orgogliosamente per l’indipendenza. I parlamentari catalani, anche se indipendentisti, preferiscono avere un alibi. Se domani Madrid decidesse di processare tutti i parlamentari che hanno votato sì, si scoprirebbe che tutti, guarda caso, facevano parte dei dieci no. Ecco una semplice domanda: come mai non si è proceduto per appello nominale? O la dichiarazione d’indipendenza era legale, e sarebbe stato un onore “firmarla” a viso aperto. Oppure era illegale e pericolosa, e dunque non vale niente. L’indipendenza si dichiara dopo aver vinto la guerra, non apprestandosi a perderla.
Esiste la riprova della natura demenziale di quel voto. I favorevoli all’indipendenza hanno lanciato la pietra e nascosto la mano, i partiti contrari invece, per eliminare i dubbi che il voto segreto avrebbe creato anche riguardo a loro, si sono astenuti dal voto.
Il potere centrale è risoluto a ristabilire la legalità, anche con la forza. Secondo le previsioni, applicherà l’art. 155 della Costituzione, sospenderà l’autonomia della Catalogna, destituirà il potere locale ed invierà dei commissari governativi con pieni poteri. Ed anche a questo riguardo – salvo smentite – c’è un’osservazione da fare.
Era sembrato che Puigdemont propendesse per la convocazione di nuove elezioni e non per la proclamazione unilaterale d’indipendenza. In questo caso – si diceva – Madrid non avrebbe applicato l’art.155 e si sarebbe comunque guadagnato tempo. Ma gli estremisti devono avere vinto, e Puigdemont si è rassegnato a trovare una scusa per la sua marcia indietro. Ma perché mai la convocazione delle elezioni avrebbe dovuto essere sufficiente a scongiurare l’applicazione della Costituzione? Fra l’altro visto che, già ieri sera, queste elezioni le ha convocate il governo centrale per così dire subito, il 21 dicembre? O le elezioni avevano il preciso valore legale di impedire l’applicazione dell’art.155 o non l’avevano. E allora perché prima avevano ventilato quella ipotesi? A questa domanda risponde un ragionamento “dietrologico”, che potrebbe anche non valer nulla.
Ammettiamo che le colombe dei rispettivi campi abbiano prospettato le elezioni come una mossa concordata per far calare la tensione e prendere tempo ma Madrid, si lamenta Puigdemont, non ha promesso nulla, dunque non rimane che la proclamazione dell’indipendenza. Quasi come se Barcellona attuasse una minaccia. In realtà, non prendendo in considerazione l’ipotesi accarezzata da Puigdemont il governo centrale dimostra che ha soltanto l’intenzione di agire: ed è per farlo senza che ci possano essere equivoci, né nazionali né internazionali, che per essa è un bene che Barcellona commetta l’errore di proclamare l’indipendenza. Questa sedizione autorizza qualunque intervento, incluso quello dell’esercito. La Costituzione infatti non pone limiti. Parla di “adottare i provvedimenti necessari per obbligare la detta [Comunità] all’adempimento forzoso dei detti obblighi”. E chi giudica quali provvedimenti sono necessari?
Il cielo di Barcellona è nuvoloso e i festeggiamenti in piazza sono patetici. Mentre la gente brinda in strada ed è convinta di avere vinto, il Parlamento catalano sa di avere perso e ad ogni buon conto adotta il voto segreto.
L’interpretazione dei fatti politici nazionali è estremamente difficile. Infatti in essi si ha un inestricabile intreccio di interessi, ideologie, opinione pubblica, magistratura, giornali, denaro ed altre cose ancora. Una volta chiesero a Henri Kissinger un parere su un fatto accaduto in Italia, e lui rispose più o meno: “Non credo di essere abbastanza intelligente per capire la politica italiana”.
L’interpretazione dei fatti internazionali è invece più semplice. Qui gli interessi sono brutalmente contrapposti e non c’è nessuno spazio per la retorica. Soprattutto è facilissimo capire “chi ha ragione”: perché ha sempre ragione il più forte. E appunto, nel momento in cui una regione dichiara la propria indipendenza, trasforma il problema da nazionale in internazionale. A quel punto non deve più aspettarsi che la controparte abbia scrupoli. Il governo centrale ha soltanto l’interesse a non mettersi contro tutti – per vincere più facilmente – e quello di lasciare spazio alla successiva riconciliazione, perché tutte le guerre finiscono, una volta o l’altra. Ma nulla più di questo. Nel momento in cui si tratta di vincere o di perdere, chiunque si pari davanti va eliminato. In Catalogna farebbero bene a ricordarselo. Se sulla bandiera Italiana c’è scritto idealmente “Tengo famiglia”, come diceva Leo Longanesi, in quella spagnola forse c’è l’immagine di un enorme toro, capace di caricare a testa bassa.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
28 ottobre 2017

INTERPRETANDO GLI AVVENIMENTI CATALANIultima modifica: 2017-10-28T06:40:40+02:00da gianni.pardo
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