PUIGDEMONT STRAPAZZA LA LINGUA E LA LEGGE

La conferenza stampa di Carles Puigdemont, a Bruxelles, è appena finita e già, leggendo lo scarno comunicato dell’Ansa, si ha l’impressione che raramente si è sentita una tale serie di assurdità. Poiché non ho simpatia per le “piccole patrie”, per le dichiarazioni di indipendenza farlocche e per un signore che, come i bambini, rifiuta di andare a farsi tagliare i capelli, se qualche commento sarà sbagliato, sarò pronto a riconoscerlo. Purché mi si dimostri che è sbagliato.
“Venerdì pomeriggio – ha detto Puigdemont- ero alla Generalitat dopo la dichiarazione di indipendenza del parlamento e con una serie di dati che indicavano che il governo spagnolo stava preparando un’offensiva senza precedenti e anche una denuncia del procuratore che prevedeva pene che potevano arrivare a molti anni di detenzione. Abbiamo sempre voluto la strada del dialogo, ma in queste condizioni questa via non era percorribile”.
Anche quando si fa un discorso politico, bisogna avere rispetto delle parole e dei dati obiettivi. Se è reato attentare all’unità dello Stato, se è reato cercare di realizzare una secessione, se è reato violare apertamente il principio dell’unità dello Stato (come stabilisce anche il codice penale italiano), il governo spagnolo non preparava nessuna offensiva. Caso mai una difensiva, dal momento che il reato l’ha commesso una certa dirigenza catalana, non il governo di Madrid. Inoltre, il fatto che Puigdemont citi la denuncia del procuratore, per reati che prevedono molti anni di detenzione, dimostra che si sta parlando di legge penale; e in questo campo l’iniziativa non è mai dello Stato: è dei singoli.
Infine, che vuol dire che i catalani indipendentisti hanno cercato la strada del dialogo? Se il tentativo dell’indipendenza è reato, la strada del dialogo è assurda. Come sarebbe assurdo che i ladri pretendano di discutere con i carabinieri se il furto sia reato.
“Il governo spagnolo rispetterà i risultati, qualunque siano, delle elezioni del 21 dicembre?” chiede Puigdemont. Certamente, gli si può rispondere. L’Europa non ha mai messo in dubbio la correttezza delle elezioni spagnole. A meno che Puigdemont non si riservi di reputare veri i risulti che gli piacciono e falsi quelli che non gli piacciono.
Ma comunque – contrariamente a quanto lui sembra credere – le elezioni non potranno mai decidere se la Catalogna debba essere indipendente. Perché una simile materia è sottratta al giudizio dei cittadini almeno finché, con le normali procedure parlamentari, non sarà stata modificata la Costituzione spagnola. Se i catalani votassero per l’indipendenza al novanta per cento, non per questo avrebbero diritto ad essa. Se al contrario il trenta per cento di loro fosse capace di strappare la Catalogna alla Spagna con la forza, quel trenta per cento otterrebbe certo l’indipendenza, perché la forza è un ottimo argomento per avere ragione. Ma di diritto in questo caso non bisognerebbe parlare.
Le elezioni, con l’indipendenza, non hanno niente a che vedere. Neanche quando esiste un partito indipendentista. Un tale partito avrebbe soltanto una bandiera acchiappa-gonzi. Di certe cose si può anche parlare, ma provarci sul serio è un altro paio di maniche. Ed è la ragione per la quale in Italia si è tollerato un partito che si chiamava: “Lega Nord, per l’indipendenza della Padania”. Lasciamo giocare i ragazzi.
“Non sono qui per chiedere asilo politico ma per lavorare in libertà e sicurezza”. La Spagna intera è contenta che sia lì. Arrestandolo, Madrid ne avrebbe fatto un martire. E oltre tutto un serio lavoro è qualcosa che tutti augurano fervidamente ai politici.
“Se mi fosse garantito un processo giusto, allora tornerei subito in Catalogna per continuare a lavorare”.
Se teme che un processo in Spagna non sia giusto, perché mai ci ha vissuto fino ad ora? Doveva chiedere asilo politico decenni fa, perfino all’Italia, dove forse non abbiamo la migliore magistratura del mondo e tuttavia non l’accusiamo mai di celebrare processi programmaticamente ingiusti.
“Se lo stato spagnolo vuole portare avanti il suo progetto con la violenza sarà una decisione sua”. La violenza è contro la legge, e fino ad ora contro la legge sono andati alcuni catalani, non gli spagnoli.
“La denuncia del procuratore spagnolo persegue idee e persone e non un reato. Questa denuncia dimostra le intenzioni bellicose del governo di Madrid”. Un momento: il diritto penale non può che perseguire persone. E fin qui, Puigdemont sfonda una porta aperta. Poi, perseguire le idee? Innanzi tutto le idee si perseguono eccome. Sono reati l’istigazione al suicidio, la calunnia, l’ingiuria, l’istigazione al reato, la diffamazione, l’istigazione all’odio razziale, l’oltraggio a magistrato in udienza. La lista è lunga. E poi, Puigdemont reputa che la secessione di un’intera, grande regione, sia soltanto un’idea?
“Non sfuggiremo alla giustizia ma ci confronteremo con la giustizia in modo politico”. Arrivano i carabinieri per portarci in galera, e non gli rispondiamo in modo politico. Parliamone. Vi pare giusto che lo Stato abbia stabilito che quel tale comportamento è reato? In fondo, che male c’è a uccidere? È questione di opinioni.
“Il caso e la causa catalana mettono in questione i valori su cui si basa l’Europa”. Puigdemont però non mette, fra i valori su cui si basa l’Europa, il rispetto della legge.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
31 ottobre 2017

PUIGDEMONT STRAPAZZA LA LINGUA E LA LEGGEultima modifica: 2017-10-31T15:45:30+01:00da gianni.pardo
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