RENZI VA AVANTI COME UN TRENO

Che cosa spiega l’incompressibile voglia di parlare di Renzi? Il fatto che il personaggio sia paradigmatico. Il personaggio è tale quando corrisponde a un tipo umano e quando la sua rappresentazione ha un notevole livello artistico. Per esempio, l’idealista in buona fede ma non del tutto sano di mente, un po’ imbecille e privo di senso pratico ma generoso, si è incarnato una volta per tutte in Don Chisciotte. Al punto che in italiano esiste anche l’aggettivo, donchisciottesco. Tutti ci siamo innamorati, una volta o l’altra, ma l’innamorato paradigmatico è Romeo, così come l’ipocrita religioso sarà per sempre il Tartufo di Molière. Anche lì c’è l’aggettivo: tartufesco.
Matteo Renzi è paradigmatico di un tipo umano che purtroppo non ha avuto il suo personaggio eponimo, anche se sin dalla remota antichità se ne sono avuti esempi. Indimenticabile quel Cleone di cui parla Tucidide nella “Guerra del Peloponneso”, quello che passava il tempo a criticare ferocemente la condotta della guerra, perché gli ateniesi non riuscivano a conquistare Sfacteria, finché Atene non gli conferì la carica di stratega e l’incaricò di realizzare lui stesso quell’impresa. Cleone, che per mestiere faceva il cuoiaio (e per vocazione il demagogo senza scrupoli) si schermì ma alla fine non poté dire di no. Partì e – oh stupore – ebbe successo. Così si convinse di essere un grande stratega, affrontò con fiducia la successiva battaglia e non soltanto la perse, ma rimase lui stesso ucciso.
Anche Renzi non ha cominciato la sua carriera come un rocciatore che sale metro dopo metro. È partito come un razzo, in verticale, e presto si è trovato fra le nubi. Questo gli ha fatto credere di essere imbattibile. Invulnerabile, protervo e spietato con i vinti come Achille. Del resto, la sorte beffarda ha a lungo confermato questa sua prima convinzione. Per almeno due anni l’ha fatto passare di successo in successo, fino al momento in cui – accecato da una furiosa hybris – ha provato a cambiare la Costituzione e la legge elettorale, prefigurando una sola camera, dominata da un solo partito, dominato a sua volta da un solo uomo: un uomo che non poteva chiamarsi che Matteo Renzi. Ed in Parlamento ha imposto questi cambiamenti a colpi di voti di fiducia. Traduzione: “O votate come dico io o ve ne tornate a casa tutti”.
Al momento della conferma della riforma col referendum popolare era talmente sicuro del risultato da dire che, se non avesse avuto il “sì” richiesto, si sarebbe ritirato dalla politica. Attenzione: non intendeva dire che l’eventuale delusione l’avrebbe indotto a tornare alla vita privata, intendeva dire che avrebbe privato il popolo italiano della sua insostituibile guida.
Fu a quel punto che la Sorte si stancò di tenergli bordone e la ruota girò al contrario. Gli italiani gli dissero “no” e lo invitarono a lasciare la politica. Lui non lo fece – insomma fu tanto generoso da non attuare la minaccia – ma da quel momento cominciò a perdere colpi. Non gliene andava bene una. Il suo stesso partito, in odio a lui, si spaccò, la sua aura di invincibilità andò in pezzi e tutti i nemici che si era fatti col suo atteggiamento sprezzante si coalizzarono contro di lui. Prima era stato l’uomo del destino, ora era la testa di turco.
Ma questo non era il peggio. Il peggio fu che da quel momento cominciò ad inanellare sconfitte elettorali. Naturalmente queste fanno parte della vita politica, ma nel suo caso pesarono di più, perché lui svillaneggiava chiunque non gli desse ragione perché pensava di avere il sostegno dei cittadini. E così, nel momento in cui le elezioni si dimostrarono tutt’altro che dei trionfi, Renzi si sentì sguarnito, si ritrovò senza amici, e in fin dei conti si aggrappò alla carica di Segretario: l’ultima grande vittoria alle primarie di partito, frutto autunnale prima di un inverno arido e improduttivo. Dimenticò così la lezione di chi l’aveva preceduto, e in particolare di Gianfranco Fini, per cui una carica tenuta con la forza, e non col consenso, non fa che incrementare negli altri la voglia di annientarlo.
Purtroppo, di tutto ciò che si è detto Renzi ha capito poco. Crede che il suo destino di vincente sia inattaccabile e dunque di non dover cambiare cifra di comportamento. Va avanti come un treno, senza chiedersi se le rotaie ci siano ancora. Le sconfitte le cancella con un sorriso. Continua a vantare i successi del suo governo, anche dopo che, nel dicembre del 2016 gli italiani gli hanno detto che non li avevano visti. Continua a non cercare alleati, convinto di potercela fare da solo, perché sostenuto dagli italiani, mentre gli italiani votano per Grillo o per Berlusconi. Continua a trattare con albagia anche gli alleati, e non si accorge che la fila di coloro che lo hanno abbandonato è talmente lunga che si perde nella nebbia. Il Pd prende una tremenda legnata in Sicilia, ma lui ha l’aria di dire che la cosa non lo riguarda.
Francamente, non c’è modo di sentire umana compassione per qualcuno così. Dio sa che cosa deve capitargli, perché capisca quel che gli sta succedendo.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
9 novembre 2017

RENZI VA AVANTI COME UN TRENOultima modifica: 2017-11-08T16:55:26+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “RENZI VA AVANTI COME UN TRENO

  1. Pare brutto ripeterlo (passerà? non passerà? che dice la policy del sito? non è che sia politically tanto correct… e se poi arrivano i carabinieri? mah… “Je suis Charlie”, e ci provo…) ma sembra che Libero, in effetti, ci abbia azzeccato: “Per stendere Renzi bisogna sparargli”. L’ha scritto Libero, eh, non me lo sono inventato io…

  2. Feltri voleva soltanto dire che, a termini di statuto, bisogna tenersi per forza Renzi fino alla fine del suo mandato. Nient’altro. Bastava leggere l’articolo.
    Riesco ad inserire questo commento – dopo ripetuti inutili tentativi sul blog direttamente – in quanto amministratore. Ho ancora una volta scritto al gestore supplicandolo di eliminare questa stramaledetta captcha.

  3. ” Feltri voleva soltanto dire che, a termini di statuto, bisogna tenersi per forza Renzi fino alla fine del suo mandato. Nient’altro. Bastava leggere l’articolo. ”

    Lo statuto non c’entra nulla, al contrario :
    “ Il problema è che Matteo ha vinto le primarie dopo aver perso il referendum, il che significa che il partito lo ha in ogni caso scelto quale capo da qui alle prossime consultazioni interne. Scacciarlo vorrebbe dire rinnegare le metodologie democratiche di cui i progressisti si sono vantati dal momento del varo delle medesime. “
    Questo ha scritto Feltri. Una motivazione tutta politica e di sostanza perché a norma di statuto la Direzione Nazionale del partito può sostituire Renzi quando vuole .
    Anche sulle responsabilità per la crisi interna al PD , che Lei addebita in toto a Renzi con un livore degno di miglior causa, Feltri è di tutt’altro parere :

    “ Il fatto che il Pd si sia decomposto a causa dell’ ala sinistra non può essere attribuito a Matteo bensì a chi, pur di mandarlo a casa, non ha esitato a demolire la compattezza del gruppo. “
    http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13277419/feltri-renzi-stendere-sparargli-editoriale-libero-pd-impazzito-.html

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