IL SERPENTE CHE SI MORDE LA CODA

L’immobilismo induce i cittadini all’astensionismo. Ma sono i cittadini che producono l’immobilismo. Sicché, a conclusione di questo anomalo sillogismo, può dirsi che i cittadini prima producono l’immobilismo, poi ne sono disgustati, ne danno la colpa ai politici e per questo si astengono dal voto.
Non è un gioco di parole. È vero che, se A è causa di B, non può essere che B è causa di A. Ma esiste un concetto che concilia l’inconciliabile: l’interazione, quella che lo Zingarelli definisce “influenza reciproca di persone, fenomeni, sostanze”. Quella che gli anglosassoni chiamano “feedback”. Ed è proprio questo il caso.
L’Italia appare immodificabile. Nel corso degli anni, soprattutto dalla scomparsa della Democrazia Cristiana, abbiamo visto rinnovarsi i partiti, mutare i governi, addirittura per qualche tempo abbiamo avuto un sostanziale bipartitismo, che è il tipo di regime che assicura il massimo ricambio. E tuttavia, nel cambiare dei programmi e delle teorie politiche, si è avuta la sensazione che le cose sono sempre rimaste come prima. Se la congiuntura è favorevole, l’Italia va bene e l’economia tira. Se c’è una crisi come quella cominciata nel 2008, la politica – non i partiti politici, la politica tutt’intera – non sa che farci. Tanto che votare per questo o per quello non serve a niente e non fa differenza. E appunto, se non fa differenza, a che scopo votare? Dunque l’immobilismo produce l’astensionismo.
Ma il colpevole dell’immobilismo è la classe politica? Forse no. Perché attualmente è impossibile cambiare molti dogmi degli italiani. Ecco un esempio: gli italiani pensano che lo Stato debba occuparsi di tutto e risolvere ogni problema. Così gli assegnano mille compiti. Ma lo Stato da un lato li assolve malissimo, dall’altro, per svolgerli, sarà costretto a imporre una pesante tassazione, che a sua volta deprimerà ulteriormente l’economia. Ma a questo punto la gente pensa che lo Stato debba intervenire nella produzione per salvare l’economia, gli assegnerà ulteriori compiti, che lo Stato assolverà male, e per svolgerli aumenterà ancora la pressione fiscale, col risultato di peggiorare le cose. Loop.
L’immobilità dell’Italia nasce dal fatto che, per vincerla, bisognerebbe che gli italiani fossero disposti a cambiamenti cui non sono disposti. Infatti sono loro che vogliono l’Italia com’è. Sono loro che rifiuterebbero – assolutamente indignati – i provvedimenti che rappresenterebbero la soluzione.
La legislazione sul lavoro tende a rendere costosissimo il lavoro a tempo indeterminato, e a rendere pressoché impossibile licenziare i dipendenti, anche quando se lo meritano, anche quando l’impresa sta per andare in rovina. Il risultato è che ci sono lavoratori privilegiati e un mare di precari e di disoccupati. I privilegiati, rischiando poco, producono poco. Soprattutto quando sono dipendenti pubblici. E tutto questo crea discriminazione, rabbia, mancato ricambio del mercato del lavoro, bassa produttività ed altro ancora. Ma gli italiani non sono affatto disposti a mettere in discussione il sistema. Ognuno desidera far parte dei privilegiati, non abolire il privilegio. Dunque, anche per questo verso, ci si tiene stretto l’immobilismo.
Lo stesso vale per la sanità, per la scuola, per le ferrovie, per tutto. Gli italiani sono attaccati come cozze allo statu quo. Gli immobili rimproverano ai politici di lasciare l’Italia immobile. Gli rimproverano di non far correre l’automobile di cui loro tirano il freno. E questo spiega l’affermazione circolare con cui si è cominciato.
Si reputa insopportabile il livello di disoccupazione italiano, ma quanti sarebbero disposti a permettere che il datore di lavoro paghi una miseria il lavoratore? Eppure, la concorrenza fra i richiedenti un’occupazione farebbe da prima abbassare le paghe, ma poi le paghe più basse farebbero ripartire la produzione, questa richiederebbe una più grande forza lavoro, e questa maggiore richiesta farebbe aumentare i salari, riportando la situazione in equilibrio. Ma quale politico avrebbe successo, se proponesse questo programma?
L’Italia preferisce l’immobilità della morte agli spasmi di una crisi da cui si potrebbe uscire andando verso la guarigione. Per questo bisognerebbe smetterla di prendersela con i politici. I colpevoli siamo tutti noi, che abbiamo preso per buone le sciocchezze che ci hanno predicato per decenni . Che ci hanno predicato perché ci piaceva che ce le predicassero. Così si è parlato continuamente di diritti e mai di doveri, di conquiste sindacali e mai di collaborazione col datore di lavoro. Si è maledetto il profitto invece di benedirlo, perché profitto significa produzione di ricchezza. Abbiamo preferito lo statalismo, l’invidia, l’uovo oggi alla gallina domani, dimenticando che, se si mangiano tutte le uova, alla fine non ci saranno né uova, né pulcini, né galline.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
7 novembre 2017

IL SERPENTE CHE SI MORDE LA CODAultima modifica: 2017-11-07T13:00:31+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “IL SERPENTE CHE SI MORDE LA CODA

  1. Da questo ragionamento si potrebbe concludere che importando una certa quantità di lavoratori a basso salario garantito ( …per il capitalista…s’intende…) si potrebbe far saltare il blocco dei lavoratori “felicemente” impiegati che le sinistre, ed alcuni sciagurati liberali, hanno creato ed anche ricominciare a produrre ed a vendere.
    A chi vendere non mi è ben chiaro; ma secondo le leggi dell’economia si dovrebbe arrivare a ciò..
    Con il meccanismo che si rimette in moto si possono rispolpare nuovamente i settori produttivi ed il gioco ricomincia.
    Si tratta solo di mettere alla porta una decina, non di più, di milioni di lavoratori (.. absit inuria verbis… ) italiani con le relative ed esose famiglie a carico.
    Senza problemi …tanto sono rimasti soli e non si potranno lamentare troppo.
    Alle brutte un salario di cittadinanza che una Bad Society chiamata Italia2 elargirà in una moneta da Monòpoli evitando scene imbarazzanti all’uscita di teatri e chiese.
    La politica ha già cominciato a fare, timidamente, questo…
    Saluto Ancora

  2. “Si tratta solo di mettere alla porta una decina, non di più, di milioni di lavoratori (.. absit inuria verbis… ) italiani con le relative ed esose famiglie a carico”.
    Non so se Lei voglia fare dell’ironia. ma a me l’argomento non da nessuna voglia di ridere, e nemmeno di sorridere. Soprattutto se si trattasse veramente di “mettere alla porta una decina di milioni di lavoratori”. In realtà, l’Italia ha bisogno di un fisco meno opprimente (dunque di uno Stato che eroga meno servizi) e di un costo del lavoro più basso, in modo da essere competitivi sui mercati. Per la prima parte, non bisognerebbe lamentarsi se si ha qualche servizio in meno, per la seconda non bisogtnerebbe lamentarsi se si hanno un po’ di soldi in meno. Non il licenziamento, ma un riallineamento dei salari dei privilegiati (non i lavoratori del call center, per esempio) ai salari realmente corrispondenti all’attuale economia italiana. Oggi come oggi c’è il rischio che un po’ tutti viviamo al di sopra dei nostri mezzi. Il che – fra l’altro – produce il debito pubblico e il rischio del fallimento dell’intero Paese. Inutile dire che è “troppo brutto” ipotizzarlo. Anche il cancro è troppo brutto, ma non per questo ha smesso di esistere.
    Non sono riuscito ad inserire questo commento, la captcha me l’ha sempre impedito. Alla fine l’ho inserito da amministratore, ma non posso aiutare i lettori. Ho segnalato tante volte il problema che ormai mi conoscono. Come un rompiscatole, immagino. Lo farò ancora una volta. Tanto, ormai sarò stato etichettato come un rompi.

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