LA FELICITA’, UN TIRANNO – 1

Per quanto si possa essere fortunati, e tanto saggi da rendersene conto, nessuno può dichiararsi interamente felice. Per essere interamente felici già bisognerebbe eliminare il pensiero della fine e questo è impossibile. Anche se il Cristianesimo ed altre religioni negano la morte e promettono la vita eterna, che la loro tesi sia poco credibile è dimostrato dal fatto che anche i credenti, malgrado ogni radiosa promessa, fanno di tutto per prolungare la vita terrena. Le gioie dell’altra vita saranno grandissime, ma intanto, se possibile, rinviamole.
Anche prescindendo dalla morte, cui tanti giovani non pensano neppure, l’esistenza comporta problemi, limiti, sofferenze. Che altro diceva Amleto, nel suo famoso monologo? E infatti innumerevoli persone una volta o l’altra sognano, sospirando, ipotesi che migliorerebbero la vita dell’umanità. “Oh, se tutti ci amassimo come fratelli!”, “Oh, se si ponesse un termine all’egoismo e all’avidità!”
Naturalmente chi parla così sa di sognare ma il fascino di quelle rivoluzioni è tale che l’“utopia” esiste da sempre. Già la Bibbia ipotizzava un Paradiso Terrestre, ed il fatto che sulla Terra non ne vediamo traccia non impediva la sua verosimiglianza. I dinosauri si sono estinti ma ciò non rende meno vero che essi siano stati ben vivi, un tempo.
Poi l’ipotesi è divenuta filosofico-politica con la Repubblica di Platone, con la Città del Sole di Tommaso Campanella, con l’Utopia di Tommaso Moro, col Capitale di Karl Marx. Ogni volta confermando che gli uomini non si rassegnano alla realtà com’è e in fondo pensano che, al posto di Dio, il mondo l’avrebbero progettato meglio.
Gli uomini normali non penserebbero mai di realizzare quei progetti, magari obbligando l’intera umanità a collaborare, perché li considerano inverosimili. Ma non tutti si sono limitati al gioco dell’ipotesi intellettuale. Mentre la maggior parte degli autocrati si è limitata ad usare il potere per soddisfare i propri piaceri, ce ne sono stati alcuni che dell’onnipotenza si sono serviti per cercare di realizzare i fantastici progetti di una riforma globale. Pol Pot, per esempio, per la sua riforma politica, non soltanto ha usato la forza contro i cambogiani, ha addirittura soppresso fisicamente coloro che si opponevano od anche semplicemente avrebbero potuto pensare di farlo. Gli uomini che portavano gli occhiali, per esempio, perché sapendo leggere avrebbero potuto avere idee differenti da quelle di Pol Pot. Né molto di meglio si può dire di Stalin, di Mao e di tanti altri, fra cui grandi leader religiosi.
La storia mostra comunque che tutti i tentativi di questo genere sono falliti e ciò indica qualcosa. Se – malgrado la loro diversità – nel passare dei millenni quegli sforzi non hanno avuto successo, la ragione deve essere che essi hanno cozzato contro una forza maggiore e invariabile. E questa forza non può che essere la natura umana: qualunque equilibrio che non sia conforme ad essa è inevitabilmente instabile e prima o poi si ritorna alla normalità.
Per natura umana non si deve intendere né ciò che essa ha di migliore, la generosità, la solidarietà, la razionalità, né ciò che essa ha di peggiore, la violenza, l’egoismo sfrenato, la criminalità, ma semplicemente ciò che costituisce la media. In materia di morale, per esempio, tutti sono più severi quando si tratta di applicarla agli altri che quando si tratta di applicarla a sé stessi. Ecco la natura umana. Un contadino che cura il suo orto o che è pagato per curare l’orto di qualcun altro, dovrebbe lavorare nello stesso modo: ma sappiamo benissimo che non è così. E anche questa è la natura umana. Le conseguenze sono imponenti. L’economia non è soltanto una materia universitaria. È, in tutte le direzioni e a tutti i livelli, il principio per cui si tende contemporaneamente allo sforzo minore e al massimo risultato. Questo comportamento si riscontra già nei ladri e perfino nei leoni, quando rubano la preda ai leopardi. E già questi principi spiegano il fallimento del marxismo.
Quella dottrina sogna che gli uomini lavorino per la collettività come lavorerebbero nel proprio interesse e non è così. Anche nelle democrazie libere i dipendenti dello Stato, essendo minore la sorveglianza, sono largamente meno produttivi dei dipendenti privati. Il marxismo sogna che almeno i dirigenti dell’organizzazione statale operino alacremente nell’interesse della collettività ma anch’essi sono umani come gli altri e peggio degli altri. Se nelle democrazie la corruzione dei dipendenti pubblici è una malattia, nel socialismo reale è stata addirittura un’epidemia. La bustarella, il bakshish, è divenuta la regola.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
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20 novembre 2017

LA FELICITA’, UN TIRANNO – 1ultima modifica: 2017-11-20T11:14:17+01:00da gianni.pardo
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