L’OCCIDENTE NON È IL TUTORE DEL MONDO

Maurizio Molinari è un serio e apprezzato giornalista ma oggi sostiene una tesi molto discutibile(1). A suo parere le democrazie occidentali hanno il torto di tenere eccessivamente all’appeasement, tanto da lasciare troppo spazio ai dittatori. Egli cita tutta una serie di eventi in cui i governi occidentali hanno mancato al loro dovere. Quando, nel 1938, per amore della pace sacrificarono la (1)Cecoslovacchia agli appetiti di Hitler; quando hanno assistito senza intervenire all’arrivo dei carri armati sovietici a (2)Praga nel 1968; quando non hanno contribuito ad abbattere (4)Bashar el Assad in Siria; quando non hanno fatto nulla per l’indipendenza del (5)popolo curdo; quando non si sono attivati per la sopravvivenza dei trenta milioni di (6)venezolani in preda alla fame e dalla violenza, o dei 24 milioni di (7)nordcoreani sottoposti ad un’allucinante dittatura, che li affama anche per concedersi il lusso di minacciare il mondo. Molinari ha dimenticato la (3)Rivoluzione Ungherese del 1956, che aggiungo io. A suo parere, esiste il rischio che questo pacifismo ad oltranza – o questa inerzia, se vogliamo chiamarla così – “torni a spingere le democrazie nel vicolo cieco della trappola dei dittatori”.
Francamente, c’è da rimanere molto perplessi. La vastità dei compiti che il noto editorialista assegna all’Occidente Democratico è tale che nessuno mai avrebbe le disponibilità finanziarie e le forze per sostenere un simile sforzo. Per un singolo capitolo si sarebbe anche potuto discutere, ma dal momento che Molinari non fa eccezioni, e avrebbe voluto che si reagisse a tutto, di fatto ci assolve egli stesso da tutto. Perché nessuno è tenuto all’impossibile e l’esagerazione stessa della tesi ne dimostra l’insostenibilità.
Ma anche la teoria è infondata. Ammettiamo che la democrazia, le libertà occidentali e i nostri diritti umani siano il meglio che il mondo abbia prodotto: purtroppo, questa è soltanto la nostra idea. Come dimostriamo, a chi preferisce la dittatura (come in generale avviene nei paesi arabi) che la democrazia è un regime migliore? Come dimostriamo agli iraniani che le idee di Jefferson, in materia di politica, sono migliori di quelle di Dio, contenute nel Corano? Se dunque insistessimo a far accettare a tutti le nostre idee non lo faremmo in forza della loro validità, ma in forza delle nostre armi.
Inoltre, pure ad ammettere che l’Arcangelo Gabriele venisse a confermare che la democrazia è il miglior regime politico, chi ci ha nominati tutori del mondo? Per gli Stati sovrani la libertà consiste anche nel diritto di sbagliare. Quando nel 1948 la Cecoslovacchia si affidò ai comunisti, perdendo così per cinquant’anni la libertà, lo fece in piena libertà. E se poi la pagò veramente cara, imputet sibi, dia a sé stessa la colpa.
Noi occidentali bianchi non abbiamo nessun titolo per dare lezioni agli altri. Ai tempi di Kipling si parlava del white man’s burden, il fardello dell’uomo bianco, cioè il compito naturale dell’uomo più forte e civile di guidare i popoli meno forti e meno civili. Ma oggi quel burden farebbe ridere. Fra l’altro ha pessima fama. Da settant’anni e più l’Occidente si batte il petto per essere stato colonialista, e dimentica – o fa finta di dimenticare – che le cosiddette colonie molto spesso stavano meglio prima che dopo essere divenute indipendenti. Finché c’è stato l’uomo bianco non s’è mai visto un Bokassa al potere, in Africa. Chiedere agli interessati se avrebbero preferito vivere nella Rhodesia o nello Zimbabwe. E prima della partenza dei francesi non c’è mai stata una “guerra del pane”, in Algeria.
Fra l’altro, mentre i cechi e gli slovacchi si pentiranno per secoli di avere votato per i comunisti, molti popoli la democrazia la rifiutano anche quando gli viene regalata. Per questo bisogna tenere grande conto della traiettoria inerziale dei popoli. Ci sono Paesi che, in un modo o nell’altro, ricadono da sempre nella tirannide. O è la loro geografia, che l’impone, o è la loro religione, o è la loro ignoranza, poco importa. L’unica è lasciarli al loro destino. Non è nemmeno il caso di averne pietà perché, per così dire, se uno spezza le loro catene, loro se ne comprano altre. Questo punto di vista è tremendo, bisogna riconoscerlo, ma è frutto della riflessione: quell’attività per cui lo specchio non è responsabile di ciò che mostra. E sono buoni esempi, in questo campo, l’Iraq e la Libia. Una volte che degli incauti occidentali li hanno liberati da un orribile tiranno come Saddam Hussein o da un autocrate che non era certo il peggiore, come Gheddafi, sono ricaduti nel caos e nella tirannide. E lo stesso avverrebbe in Siria, se si cacciasse via Bashar el Assad.
Molinari vorrebbe che l’Occidente intervenisse a favore dei deboli e degli oppressi, ma dimentica la lezione della maggiore esperienza, in questo campo. Un governo dittatoriale ed oppressivo (quello del Vietnam del Nord) voleva conquistare il Vietnam del Sud, per una volta democratico, per imporgli la dittatura comunista. Gli Stati Uniti interveneroi, con costi enormi in termini di dollari e di sangue, e tuttavia non credo siano stati subissati dagli applausi. Soprattutto non quelli degli idealisti e delle anime belle. Perfin Obama questo l’ha capito.
Infine non sta in piedi nemmeno la conclusione di Molinari, secondo cui questa neutralità potrebbe spingere le democrazie nelle trappole dei dittatori. I guai non ci sono venuti dai mancati interventi negli affari altrui, ma da un insufficiente armamento e da una insufficiente risolutezza. L’errore di Londra non è stato quello di cedere a Hitler, nel 1938, è stato quello di non avere approfittato dei due anni, dal 1938 al 1940, per armarsi fino ai denti e schiacciare Hitler quando poi ha cominciato ad attaccarla. Se dovete discutere con un coccodrillo della fame che lo attanaglia, il vostro migliore argomento è un fucile da caccia grossa.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
14 gennaio 2018

(1) L’OCCIDENTE NELLA TRAPPOLA DEI DITTATORI
La lezione di Praga ’68
Il 5 gennaio di 50 anni fa Alexander Dubcek assumeva la guida del governo della Cecoslovacchia dando inizio a quella che sarebbe divenuta la Primavera di Praga ovvero la rivolta non violenta contro l’occupazione sovietica che Mosca schiacciò nell’agosto seguente con l’intervento dei carri armati del Patto di Varsavia mentre l’Occidente assisteva impassibile. La scelta degli Stati Uniti e dell’Europa di non tendere la mano alla Primavera di Praga trovò la sua giustificazione nella Guerra Fredda, che vedeva il Vecchio Continente diviso dalla «Cortina di ferro» con le superpotenze di Washington e Mosca protagoniste di un equilibrio atomico che minacciava il Pianeta. Ma nella Storia dell’Occidente, dei suoi valori e diritti generati dalle rivoluzioni britannica, americana e francese, quel momento resta uno dei più bui: voltare le spalle ai desideri di libertà dei cecoslovacchi fu un momento di cecità collettiva pari al tradimento con cui a Monaco nel 1938 Londra e Parigi avevano accettato di sacrificare proprio la Cecoslovacchia ai desideri di Hitler e Mussolini, spianando la strada alla Seconda guerra mondiale. A Monaco 1938 come a Praga 1968 fu la fede assoluta nell’appeasement che spinse le democrazie nella trappola dei dittatori, rinunciando a difendere diritti e libertà. Ricordare l’errore morale e politico compiuto con la Primavera di Praga serve oggi all’Europa ed all’Occidente per tentare di non incorrere nello stesso sbaglio, tenendo a mente ciò che distingue le democrazie: l’impegno per il rispetto dei diritti fondamentali degli individui alla vita, alla libertà ed alla prosperità. E ciò significa avere il coraggio di battersi – anche solo con la forza della ragione – quando vengono violati. Lo fece John F. Kennedy nel 1963 davanti alla Porta di Brandeburgo pronunciando le parole «Ich bin ein Berliner» per denunciare l’oppressione dei popoli dell’Est e lo fece Ronald Reagan, nello stesso luogo, nel 1987 chiedendo all’Urss di «abbattere» il Muro di Berlino, facendo capire che i regimi comunisti sarebbero crollati. Se tutto ciò riguarda la nostra generazione è perché ancora una volta l’Occidente appare tentennante, se non pavido, di fronte alle massicce violazioni di libertà individuali in più nazioni. Per sei anni non ha ostacolato in Siria un dittatore come Bashar Assad impegnato a massacrare il proprio popolo causando la maggioranza delle oltre 400 mila vittime della guerra civile. Da oltre tre mesi assiste immobile alla repressione del sogno dell’indipendenza del popolo curdo, che ha liberamente votato per rivendicarla e solo per questo è vittima di un asfissiante assedio economico-militare da parte di Iraq, Turchia ed Iran. Da due settimane esita ad esprimersi in soccorso della rivolta del pane dei più poveri fra gli iraniani, vittime di un regime che dilapida le risorse in avventure belliche tese a destabilizzare il Medio Oriente. Per non parlare del silenzio con cui si assiste all’agonia di 30 milioni di venezuelani, schiacciati da fame, povertà e violenza causate da venti anni di chavismo. O della fretta con cui si dimenticano le brutalità nei confronti di 24 milioni di nordcoreani da parte di un regime fondato sul culto della personalità che accumula ogive e missili nucleari al fine di ricattare la comunità internazionale. Ecco perché è legittimo chiedersi se milioni di siriani, curdi, iraniani, venezuelani e nordcoreani oggi non provino la stessa amarezza e delusione nei confronti dell’Occidente che ebbero i cecoslovacchi aspettando invano anche solo un cenno di sostegno delle democrazie davanti all ‘ava n z a re d e i cingolati con la Stella Rossa. Dobbiamo chiederci se non stiamo sbagliando oggi, come si sbagliò allora, a non tendere la mano verso chi anela alla libertà a Damasco e Teheran, Pyongyang e Caracas. Dobbiamo chiederci se l’appeasement di oggi – non più dovuto ai pericoli della Guerra Fredda ma a interessi assai prosaici – non torni a spingere le democrazie nel vicolo cieco della trappola dei dittatori. Il cui unico intento è dimostrare la caducità degli ideali di libertà di cui i Paesi occidentali, pur con tutte le loro contraddizioni e debolezze, sono portatori.

L’OCCIDENTE NON È IL TUTORE DEL MONDOultima modifica: 2018-01-15T09:45:58+01:00da gianni.pardo
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14 pensieri su “L’OCCIDENTE NON È IL TUTORE DEL MONDO

  1. Nell’elenco di Molinari mancano la Rivoluzione Francese e quella Russa.
    Colpa di una formazione culturale di parte ?
    Oppure gli stati canaglia di una volta non macinano più ?
    Saluto

  2. La Rivoluzione Francese – malgrado i suoi orrori – è alla base delle moderne democrazie. Non ho dimenticato che la democrazia inglese l’ha preceduta, e di molto, ma la Rivoluzione Francese, soprattutto con Montesquieu, ha fornito la struttura politico-filosofica dello Stato moderno.
    La Rivoluzione russa non ha nessuno di questi meriti, ma è la patria spirituale degli intellettuali fighetti di sinistra. Come dirne risolutamente male?

  3. “che le cosiddette colonie molto spesso stavano meglio prima che dopo essere divenute indipendenti.”

    Bisognerebbe anche verificare, secondo il loro metro di misura del valore e non il nostro, se i colonizzati stessero peggio prima del colonialismo.

    Hitler d’altra parte arrivo’ dopo Versailles che non peccava certo di “appeasement”, e dopo la crisi di borsa americana del ’29, non dopo Monaco, che e’ solo l’ultimo tentativo di pace con quella che peraltro continuava ad essere una temuta potenza militare nel mondo dell’epoca. Dopo la prima guerra mondiale, i vincitori non avevano nessuna voglia di farne un’altra (a differenza dei perdenti, comprensibilmente, per riprendersi cio’ che avevano perso con gli accordi vessatori di Versailles che Keynes, per una volta, previde gia’ dall’epoca esattamente a cosa avrebbero condotto).

    Riguardo l'”ich bin” di Kennedy, dopo la guerra, il mondo era stato diviso in due blocchi consensualmente dai vincitori, mentre ai tempi di Monaco la germania in fin dei conti reclamava, almeno all’inizio, solo la restituzione di territori che erano gia’ abitati da tedeschi da secoli (la prussia orientale diventuta russia-polonia e i sudeti divenuti cecoslovacchi). L'”appeasement” ci fu anche per questo, Hitler era un abile politico, in pubblico e nei colloqui diplomatici invocava solo pace e giustizia per il suo popolo, come si vede chiaramente dai cinegiornali dell’epoca, ora facilmente accessibili da tutti (anche dai giornalisti della Stampa ;). E non dichiaro’ mai guerra, invase sempre di sorpresa e col pretesto (come tutti temo, e come forse suggerisce la Stampa) di rispondere per scopo difensivo ad atti di guerra subiti. E poi ai polacchi, agli olandesi, disse sempre e solo che avrebbero subito violenze solo se avessero cercato di resistere all’invasione, aggiungendo che quindi in caso di resistenza, avrebbero avuto la responsabilita’ di aver scatenato la rappresaglia…

    Eccetera eccetera, non vale la pena dilungare ulteriormente la critica.

    Si vede che dalle parti di Torino, dove si pubblica la Stampa, hanno bisogno di rimettere in moto i macchinari delle fabbriche, proiettandoli in qualche nuovo avventurismo (e proiettandoci pure noi, volenti o nolenti, come si fa sempre in questo casi).

  4. Temo che lei sia troppo indulgente con Hitler. E non glielo dico tanto per stramaledire Hitler, temo che i fatti non siano tutti ed esattamente come lei li descrive. Ma da un lato potrei sbagliarmi io, dall’altro una discussione, per iscritto, sarebbe troppo lunga.
    Le ricordo comunque che, se ci si mette a rivendicare vecchi territori che un tempo si possedevano, ci sarebbe un’unica guerra, sul pianeta Terra: quella di tutti contro tutti.

  5. L’occidente è un “guappo di cartone” se ne sono accorti tutti, l’appeasement è un velo che si agita come faceva Salomè .L’occidente voleva stare bene e vuole continuare ancora, con buona pace della storia,del colonialismo e di tutte le contraddizioni.Praticamente senza ideali, applicando la massima:”addò vede e addò ceca”. Saluti Ciro

  6. Veramente avrei voluto essere indulgente non con Hitler ma con chi si e’ fatto da lui abbindolare, popolo tedesco e parte di quello italiano e francese compresi.
    Negli anni scorsi, approfittando della meraviglia di youtube e della “delinquenziale” condivisione “peer-to-peer” di materiale protetto da copywrite, invece di accontentarmi di giudizi di seconda mano gia’ ben noti, ho visionato tutto quello che ho trovato, decine se non centinaia di ore di documentari e videogiornali pubblici originali dell’epoca, nonche’ i filmati privati della sua corte, gli stessi che presumo vedessero i popoli e i decisori dell’epoca, da cui ho potuto desumere quanto affermato sopra: che Hitler e’ stato un abilissimo ingannatore, di popoli e di diplomatici professionisti, e che solo dopo, col senno di poi, si e’ rivelato, e ci e’ stato presentato, come un mefistofelico tiranno: lo e’ davvero stato e in modo particolare, ma proprio perche’ inganno’ tutti, usando la tecnica tipica del seduttore: la menzogna e la blandizia.
    E non e’ solo chi gli ha dato fiducia che e’ stato stupido: molti di quelli che all’epoca gli si opposero di piu’, lo fecero solo perche’ avrebbero voluto una dittatura di segno diverso, non perche’ non gli piacesse la dittatura in se’. Anche questo andrebbe affermato.

    Potremmo tranquillamente di nuovo fare gli stessi errori, senza minimamente rendercene conto, salvo poi tuonare moralisticamente contro l’aberrazione altrui.

  7. Caro Diaz,
    su ciò che Lei scrive oggi sono notevolmente d’accordo con lei. Hitler era assolutamente un incantatore, suggestionava chi aveva a che fare con lui, anche se era andato per protestare o per chiedergli di cambiare strategia, come ne fecero l’esperienza tanti generali. L’unico che assolutamente non subì minimamente il fascino di Hitler fu Francisco Franco. Cosa che mandò in bestia il tedesco, perché mai si era dato tanto da fare e mai i risultati erano stati del tutto inesistenti.

    Ma io contestavo soprattutto altro, appunto. In particolare la fondatezza delle sue pretese. Confronti il suo comportamento con quello della Germania dopo il 1945. Il fatto è che dopo il 1918 i tedesci non si erano convinti di avere perso la guerra, dopo il 1945 non ebbero dubbi.

  8. Vorrei dire qualcosa a proposito del colonialismo, visto che vivo in Sudafrica da 32 anni, e dunque ho visto da vicino sia il periodo dell’apartheid, che quello susseguente.
    Devo dire che quando arrivai qui (1985), il paese filava perfettamente. Era una potenza mondiale, il Rand era piu’ forte del Dollaro, vendevamo oro, uranio e diamanti a tutto il mondo. Avevamo un’industria siderurgica, miniere, un’agricoltura fiorente. Io trovai lavoro nel CSIR (al tempo il corrispondente del CNR italiano), e c’erano fior di scienziati da ogni parte del mondo. Eravamo all’avanguardia (mondiale) in parecchi campi, ricerche sulle miniere (le piu’ profonde del mondo – ricordo di essere stato a 4200 m sotto terra), in campo aeronautico (alcuni aspetti), medicina (trapianti), scienza dei materiali, estrazione di petrolio dal carbone, ricerche sull’Antartide, sugli allevamenti nel deserto. Eravamo un paese di cui essere fieri. La disoccupazione era al 9.8%. Gli studi per i neri erano gratuiti. E la scuola funzionava.
    D’accordo, c’erano (per fare un esempio) i gabinetti pubblici per i bianchi e quelli per i neri. D’accordo.
    Bene, veniamo ad oggi, 20 anni dopo che i “malvagi bianchi” sono stati allontanati dal potere. Il Rand e’ a meno di un decimo del dollaro. La disoccupazione al 30 %. L’economia e’ disastrosa, la corruzione rampante. La scuola non esiste piu’, tutti promossi. Chiusa l’industria siderurgica, e molte miniere. Il CSIR e’ un parcheggio per neri nullafacenti, la ricerca e’ finita. Delinquenza in costante aumento. Le farms assaltate, i farmers trucidati (spesso dopo tortura). Un inferno.
    Parlo spesso con i miei impiegati neri (ho una fabbrica di bilance) , e tutti concordano nel dichiarare che oggi siamo governati da una banda di ladri, e si stava molto meglio 20 anni fa.

  9. L’articolo di Molinari mi ha lasciato sorpreso e perplesso. Non nascondo che mi ha anche un po’ turbato, poiché non sono riuscito a trovare una spiegazione logica al fatto che si potessero sostenere simili enormità e che il Corriere, indirettamente, le avallasse.
    L’idea di un imperialismo armato messo al servizio del bene – di ciò che noi, che ci consideriamo moralmente superiori al resto dell’umanità, reputiamo sia il bene – è un’idea aberrante, anche perché tende ad annullare la Nazione, e oltre tutto è un’idea inattuabile (per tante ragioni).
    Il mio turbamento è nato anche dal fatto che l’assurdità del ragionamento di Molinari mi ha fatto sentire isolato, superato, così lontano dalle verità del nostro strano momento storico. Mi sono sentito un vero reazionario.
    Io non provo l’autocompiacimento che dà a taluni il sentirsi dalla parte della ragione, e inoltre non rigetto con leggerezza o sufficienza le idee altrui. Da qui anche un certo turbamento, poiché le idee altrui entrano in vivo contatto con le mie.
    Io penso che Molinari (che io non conosco ma che mi permetto di giudicare sulla base delle idee da lui espresse in quell’articolo) sia un dottrinario, ossia un fedele interprete e propagandista della religione dei diritti umani: la nuova religione mondialista i cui eccessi sono così’ visibili in Italia, con l’abusivismo immigratorio – solo per dare questo esempio – elevato ad articolo di fede.
    Un’ultima osservazione: non un accenno è fatto da Molinari, quando menziona la Praga del ’68, che in Italia, in quell’epoca, i nostri comunisti anelavano a trasformare l’Italia in una “democrazia popolare”. E dire che bastava attraversare il confine per vedere lo squallore creato da sistemi politici basati sulla paura, la menzogna, il conformismo, la miseria economica e morale. E basati sui privilegi della nomenklatura. Come avrebbero potuto gli italiani unirsi alle forze armate del bene per aiutare gli anticomunisti a Praga, se da noi interi settori della cultura erano asserviti alla bandiera rossa?

  10. Gianni , Claudio Antonelli
    qui ci si riduce all’amletico dubbio dell’essere, o non essere. Che cosa e’ piu’ giusto, restare inerti o intervenire? Certamente, tutto dipende dal nostro punto di vista, e da cio’ che noi reputiamo giusto. Faccio un esempio.
    C’e’ quella foto famosa di quel bambino negro nel deserto del Sahel, magrissimo, chino sulla sabbia in attesa della morte per fame. E a dieci metri da lui c’e’ un avvoltoio, in attesa che il bambino muoia. O forse non aspettera’ neanche la sua morte, comincera’ a beccare mentre il bambino e’ ancora vivo.
    Che fare, intervenire? O lasciare che la natura compia il suo corso? A pensarci, i bambini negri sono milioni e milioni, mentre gli avvoltoi sono in via di estinzione. La ragione ci direbbe di lasciar stare, non intervenire. Eppure.
    Davanti a certi spettacoli non si puo’ rimanere inerti. Certamente nessuna nazione al mondo puo’ arrogarsi il diritto di essere perennemente nel giusto, e pertanto di avere il mandato per intervenire negli affari altrui, per “raddrizzare i torti”. Certo, tutto e’ opinabile. Ma io credo che situazioni come oggigiorno quella della Corea del Nord, o del Venezuela, o di una parte dei paesi Africani, richiedano un intervento esterno. Paesi dove i diritti umani vengono calpestati, dove si muore di fame a causa di una dittatura, non possono semplicemente essere ignorati con una scrollata di spalle.

  11. Caro Nicola,
    io sono per la scrollata di spalle. Sei pediatri occidentali, che erano andati in Afghanistan solo per curare, gratis, dei bambini locali, sono stati trucidati anni fa dai Taliban. A me sarebbe bastato soltanto questo, per imparare a scrollare le spalle. Ma la vrità è che le scrollavo già da prima.
    Se ne sono dette troppe, contro l’uomo bianco. Dunque è bene che l’uomo bianco stia a casa sua.
    È l’unica cosa giusta che ha fatto Obama.
    G.P.

  12. Occorrerebbe, si’, intervenire per cercare di far cessare certe atrocità, ma non dichiarando guerra al dittatore di turno (ve ne sono tanti e forse ve ne saranno sempre). E se dichiariamo la guerra al mostro, cerchiamo di non trasformarci in una potenza d’occupazione. Accetterei io, nel mio Paese, una presenza straniera armata che si protraesse per anni? Confesso, che dopo un po’, anche se avessi accettato all’inizio la presenza di questi stranieri considerandoli «liberatori» e raddrizzatori di torti, la mia posizione cambierebbe. E forse mi rivolterei o comunque solidarizzerei con chi tra i miei connazionali, in nome di valori, sì, retrogradi ma dopotutto nazionali, decidesse di opporsi a questi stranieri. Il mio ragionamento non sarà certamente condiviso da chi crede nei meriti di un’inarrestabile globalizzazione del pianeta in nome di valori universali, quali, ad esempio, il rispetto dei diritti umani e la parità assoluta dei sessi (compreso il carattere sacrosanto del matrimonio omosessuale, la libera pornografia, e altro).
    È inutile negarlo, il tema è complesso ma una cosa è certa: occorre essere in guardia contro i pericoli che comporta l’aderire toto corde al travolgente spirito dei tempi. Dopo tutto, in un periodo non troppo lontano i colonialisti credevano di avere dalla loro l’ineluttabile civiltà occidentale, la storia, la verità, il futuro. Oggi ritroviamo uno spirito non troppo dissimile presso i «liberatori-occupanti». A dire il vero i discendenti dei colonizzatori di ieri trovano gratificante oggigiorno farsi colonizzare da gruppi di robusti africani. Inoltre, attenzione: l’abolizione dei passati nazionali per far trionfare una civiltà globale, coesa, parificata, omologata, forse non è altro che una nuova forma di social engineering, ovvero un’impresa utopica destinata al fallimento e che alimenta inoltre pericolosamente il terrorismo anti-occidentale.
    Per rimanere in Italia: i corpi scelti delle forze armate italiane dovrebbero intervenire contro la malavita organizzata che controlla intere aree della penisola intimidendo la gente onesta. È una vergogna nazionale. Inoltre è una palla al piede dell’economia. Questi militari dovrebbero cercare di rimettere un po’ d’ordine anche in certi posti dove l’abusivismo di ogni genere trionfa, e dove alla luce del sole spacciatori e altra gentaglia fanno il proprio comodo.

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