LA SOLUZIONE DEL SIGNOR NESSUNO

L’attuale stallo politico indica che i partiti non sono ancora riusciti ad identificare i loro veri interessi. Oppure che quelli che sono riusciti ad identificarli non riescono a conciliarli con gli altri, per formare una maggioranza. Così, non rimane che aspettare. Ma mentre aspettiamo possiamo chiederci: che faremmo, al posto dei partiti?
Si può partire da una considerazione generale: che cosa ci promette il futuro? Se non ricordo male, ci è già richiesta dall’Europa una manovra da quattro miliardi per aggiustare i conti. Poi, le cosiddette “Clausole di salvaguardia” potrebbero imporci un notevole aumento dell’Iva ed altre misure che potrebbero costarci una ventina di miliardi di euro o più. Inoltre, dal momento che la Banca Centrale Europea a poco a poco diminuirà gli acquisti di titoli pubblici italiani, avremo un drammatico aumento della bolletta per interessi sul debito pubblico. E qui andiamo sulle decine di miliardi. In altre parole, mentre si parla di sussidi, regalie e sgravi di tasse, c’è da tenere presente che, anche senza la necessità di fondi per finanziare i nuovi impegni, non sapremmo dove sbattere la testa per finanziare i vecchi impegni. La pressione fiscale è insopportabile. Economicamente il Paese non riesce a scollarsi dall’ultimo posto fra le nazioni europee e insomma già non sappiamo come fare per sopravvivere.
La verità è che da quarant’anni spazziamo la polvere sotto il tappeto. Prima abbiamo aumentato fino all’inverosimile il debito pubblico, poi abbiamo chiesto strappi alla regola, rinvii e tolleranze varie alle autorità europee, ma alla lunga tutti i nodi vengono al pettine. E questa legislatura pare proprio quella in cui incontriamo il pettine. Qualunque governo, anche a non fare nulla di nuovo, si troverà ad affrontare problemi che potrebbero obbligarlo a chiedere ulteriori sforzi a dei cittadini che già non ne possono più. E non si vede che cosa potrebbe fare per non farsi odiare a morte, pur non avendo nessuna responsabilità per quanto riguarda il passato.
Purtroppo, nella “realtà percepita” (è di moda “percepire”), non si tratta di amministrare l’esistente. Nessuno considererebbe un notevole successo il semplice galleggiamento. Usciamo da un’accesa campagna elettorale e moltissimi elettori hanno votato per un radicale cambiamento, un new deal, un nuovo riscatto. Una ripartenza nella direzione della prosperità e della solidarietà verso i più disagiati. Basti pensare a quanto si è parlato di redditi di solidarietà, distribuiti a pioggia, che costerebbero decine di miliardi (che non abbiamo) senza considerare i costi aggiuntivi della Pubblica Amministrazione che dovrebbe amministrare quei redditi (altri miliardi). Per giunta, un partito come La Lega ha parlato di una utopica flat tax al 15% che, se fosse possibile e desse risultati positivi, li darebbe dopo anni. Magari quando il governo che l’ha voluta è già caduto.
La sintesi è drammatica: il mantenimento dello statu quo si presenta molto difficile e per giunta gli italiani si aspettano grandi e costose riforme. Vaste programme? No, impossibile. E allora da queste premesse si può trarre una conclusione inevitabile. Chiunque andrà al governo andrà a caricarsi di una impopolarità devastante e la pagherà carissima. Più cara di tutti la pagheranno quelli che hanno fatto le promesse più allettanti: infatti cumulerebbero l’impopolarità dei provvedimenti resi necessari dai “nodi che vengono al pettine” e quella delle promesse non mantenute.
Dunque il Pd ha assolutamente tutto l’interesse a rimanere all’opposizione. Lucrerà così il vantaggio di non essere colpevole dell’azione di governo e quello di sottolineare che, essendo un partito serio, non aveva fatto promesse mirabolanti.
Forza Italia e Fratelli d’Italia avrebbero interesse a riconoscere che nel centrodestra il massimo vincitore è Salvini e per questo merita di andare al governo. Dunque, dimostrando disinteresse e magnanimità, in nome del dovere di dare una guida al Paese, i due partiti “non vincenti” dovrebbero invitare la Lega ad andare al potere insieme con il M5s, mentre il centrodestra, in occasione della fiducia, generosamente si asterrebbe.
Così si manderebbero Lega e Movimento a raccogliere la tempesta che hanno seminato. E probabilmente si avrebbe un successo quando, ben prima della fine della legislatura, si dovesse tornare a votare. Purtroppo non è sicuro che Salvini sia abbastanza stupido per andare al governo coi “grillini”. Anche se l’esperienza insegna che, puntando sull’imbecillità del prossimo, ci sono molte più probabilità di vincita che putando sulla sua intelligenza.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
18 marzo 2018

LA SOLUZIONE DEL SIGNOR NESSUNOultima modifica: 2018-03-19T07:03:47+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “LA SOLUZIONE DEL SIGNOR NESSUNO

  1. “”L’Italia ora deve riconquistare una visione lunga, a vent’anni. La sfida è cambiare il sistema culturale, il modo di pensare. Siamo rimasti alle idee e alle parole di mezzo secolo fa. Anche i meccanismi di comunicazione, dei media e della gente, sono gli stessi. Penso che dopo quello è successo sia tempo di uscire in mare aperto e di rovesciare gli schemi”.

    https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2018/03/18/news/beppe_grillo-191637807/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1

    Finalmente un programma chiaro e ben definito: la fantasia al potere.

  2. LASCIATE CHE GLI UNTI DEL POPOLO GOVERNINO
    Di Mario Seminerio 20/03/2018
    A tre giorni dall’insediamento della nuova legislatura, e sedici dopo le elezioni, i giornali sono resi pressoché illeggibili da psicopatologici resoconti sui negoziati tra partiti per assegnare la presidenza di Camera e Senato. Un turbine di sovrainterpretazioni, inferenze fallaci, messaggi in bottiglia tra fazioni, di cui al paese non può fregar di meno. E infatti oggi non parliamo di quello, quanto di eventuali scenari di governo e governabilità.
    Il mio scenario centrale, come ho scritto all’indomani delle elezioni, è quello che (in una prima fase) vede il tentativo di aggregare partiti sconfitti ai cosiddetti vincitori; fallito il quale assisteremo in sequenza al tentativo di aggregazione di spezzoni di partito (le celebri “correnti”, alcune delle quali nasceranno allo scopo), e da ultimo, a quello di catturare singoli parlamentari, per il quale servono tuttavia numeri non contenuti.
    Fallita questa sequenza, si porrà il tema di nuove elezioni e dell’immancabile riforma elettorale, che tuttavia si schianterà sugli scogli di un “dettaglio”: meglio premio di maggioranza alla singola lista (M5S) o alla coalizione (Lega)? E amen. Oggi potremmo definire ormai archiviato il tentativo piuttosto demenziale di molti organi di stampa ed editorialisti, di aggregare a forza il Pd ad un monocolore Di Maio. Un giorno bisognerà tornare su questa pulsione autoritaria, di cui hanno dato prova sia noti esagitati che figure considerate moderate.
    Abbiamo letto sproloqui su referendum tra gli iscritti Pd, di parallelismo col contratto CDU-Spd in Germania, di intemerate di giovani democratici idealisti contro “il marcio” del partito degli adulti, e quant’altro. Il tutto a servizio di una ed una sola tesi: il Pd deve “credere, aderire, combattere” per un governo monocolore grillino guidato dal giovine statista di Pomigliano. Il quale statista ha reiterato per giorni il “diritto” del M5S a fare un governo in splendida solitudine, dall’alto del suo 32% di voti, che hanno prodotto il 36% di deputati. Resta il problema di fondo che stiamo parlando del 32% del 70%, cioè di un voto ai pentastellati che è stato dato da poco più del 20% degli aventi diritto. Non esattamente un plebiscito epocale, ma che tale è considerato da molti che hanno trascorso la passata legislatura a gridare al golpe per il premio di maggioranza dell’Italicum.
    Discorsi ancor più surreali, se possibile, per la posizione di Matteo Salvini e del 17% della Lega. O forse non tanto surreali, se si considera già acquisita l’annessione alla Lega di Forza Italia, e la tumulazione politica di Silvio Berlusconi. Ma il punto vero sta altrove. I due partiti che hanno “vinto” le elezioni sono considerati due partiti “populisti”, qualunque cosa ciò significhi. Per me significa una cosa sola: proporre soluzioni semplici, ed in quanto tali irrealizzabili, a problemi complessi. In questo risiede la loro “diversità” antropologica dai partiti che hanno sconfitto. In questo risiede anche la non coalizzabilità con gli stessi. In questo risiede l’unico esito possibile: che questi due partiti, singolarmente o in coalizione tra loro, governino il paese e la complessità del reale.
    Se il Pd si assoggettasse alla chiamata alle armi dei poteri morti e dei Robespierre della carta stampata, e fornisse appoggio esterno alla totalità del programma, perinde ac cadaver, avremmo che ad ogni sussulto di dignità (umana prima che politica) e resistenza degli eletti del Nazareno, i grillini avrebbero davanti l’autostrada del “non ci fanno lavorare, golpe!”, ed al prossimo turno elettorale il Pd si estinguerebbe. Se invece vi fosse “obbedienza cieca, pronta ed assoluta” (come diceva Giovannino Guareschi dei comunisti trinariciuti) al programma grillino, il Pd si estinguerebbe comunque, per manifesta inutilità, magari dopo la transumanza di suoi esponenti nel Movimento.
    Per questo serve che M5S e Lega, individualmente dopo aver risucchiato correnti e spezzoni “responsabili” di altri partiti oppure in coppia, entrino nella stanza dei bottoni di questo paese, e tentino di applicare il loro programma, per le parti ampiamente sovrapponibili. Che poi sono tutte quelle dove il collante è la spesa pubblica ed il deficit, quindi molte ed ampie.
    Si è detto che il successo del voto ai grillini ha tra le determinanti principali il ricambio radicale della classe politica ed una disperata “domanda di welfare”, per usare un morbido eufemismo che serve a non tirarsi addosso accuse di razzismo. E sia. Ora è tempo che i nostri eroi procedano. Se non a questa legislatura, alla prossima. Serve davvero un monocolore grillino, a cui magari arrivare con più rispetto della democrazia, ma quello deve essere l’esito. Raggiunto il quale, il Movimento potrà misurarsi con la realtà, e rimangiarsi tutte le mirabolanti promesse di nuovo deficit. Oltre, secondo un classico schema italiano, incolpare qualche “agente ostruente esterno” per gli insuccessi che il governo Di Maio andrà a mietere. Spoiler: quell’agente è la realtà, ovviamente. Discorso pressoché identico per una Lega mangiatutto di Matteo Salvini.
    L’unica terapia, per un paese che ha deciso maggioritariamente di applicare l’antico motto sessantottino “siate realisti: chiedete l’impossibile” è la prassi del governo in solitaria. Con questo non intendo negare che nel paese esistano ampie e forse crescenti aree di disagio, a cui bisognerà dare risposta. Ma è del tutto evidente che in Italia si è formato un processo perverso di ipertrofia delle aspettative che non potrà che finire male, o molto male.
    Quella è stata la fine di Matteo Renzi: legato alla realtà del governare, i suoi proclami panglossiani si sono scontrati contro l’evidenza di miglioramenti ben inferiori a quanto rivendicato ma soprattutto contro una macchina propagandistica inesorabile, quella grillina, che ha lavorato per un’intera legislatura a gonfiare in modo patologico le aspettative dell’elettorato contando (ripetiamolo) sulla deprivazione (culturale prima che economica) del medesimo, cioè su un altrettanto patologico tasso di credulità popolare. Per questo motivo, l’unico approdo possibile è un governo monocolore grillino o lepenista salviniano. Ma anche un bicolore di queste due forze anti-realtà andrà benissimo.
    https://phastidio.net/2018/03/20/lasciate-che-gli-unti-dal-popolo-governino/

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