IL GOVERNO DEL PRESIDENTE

Se, dopo le prime difficoltà, il Presidente Mattarella avesse cercato di costituire il cosiddetto “governo del Presidente”, tutti avrebbero detto che non aveva voluto esplorare tutte le strade. Allo stato attuale, invece, se deciderà di proporlo, nessuno potrà rimproverargli nulla.
Va segnalato che, malgrado il parlare che si fa di governi di transizione, governi balneari, governi ponte, governi di garanzia, governi di scopo e governi del Presidente, si tratta soltanto di immagini giornalistiche. La Costituzione prevede soltanto un governo che abbia ottenuto la fiducia di ambedue le Camere. Formalmente il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato si presenta alle Camere, espone il suo programma e, se questo programma piace, i parlamentari gli concedono la fiducia. Sostanzialmente – è ovvio – la musica è del tutto diversa.
Il Presidente incaricato in tanto si presenta alle Camere, in quanto abbia già ottenuto la promessa della fiducia. Addirittura, già prima, il Presidente della Repubblica in tanto gli ha affidato l’incarico in quanto egli abbia già dimostrato, salvo sorprese, di essere sostenuto da una maggioranza. Detto di passaggio, è questa la difficoltà contro cui va incontro Salvini, quando chiede l’incarico per “andare a cercarsi i voti in Parlamento”.
Il problema attuale è che non si riesce a mettere insieme una maggioranza. E allora come mai questa maggioranza si dovrebbe costituire, per miracolo, per sostenere il “governo del Presidente”?
Qui si apre il grande libro delle ipotesi. Il Presidente Mattarella potrebbe offrire ai vari partiti un programma minimo; potrebbe proporre di nominare dei ministri di tutti i partiti coinvolti, in proporzione dei loro parlamentari, e chiedere infine, per il bene del Paese, che tutti votino la fiducia a questo governo e lo sostengano per il tempo necessario a portare a termine il programma concordato.
Naturalmente ci si può chiedere se sia possibile formulare quel programma minimo. Se cioè gli attuali partiti in Parlamento siano d’accordo su qualcosa. Bisogna infatti stabilire come comportarsi con l’Unione Europea, quale linea di politica internazionale seguire, come far fronte agli impegni finanziari, come tener fede ai patti sottoscritti e come evitare che scattino le clausole di salvaguardia (in particolare l’aumento dell’Iva fino al 25%). È un’ipotesi ottimistica ma, come si dice, non bisogna porre limiti alla Divina Provvidenza.
Facciamo ora il caso che il Presidente non riesca a mettere d’accordo i partiti. Ci sarebbe un’ultima mossa, da fare? Anche qui, bisogna distinguere l’apparenza dalla sostanza.
Apparentemente, non essendoci un accordo neanche per un “governo istituzionale” (ancora una denominazione!) il Presidente dovrebbe sciogliere le Camere e avviare il Paese verso nuove elezioni. Ma nella sostanza gli rimarrebbe ancora una soluzione: potrebbe incaricare una persona di sua fiducia di costituire un governo, con un programma minimo, e mandarlo a chiedere la fiducia delle Camere. Sembra una mossa senza speranza, e tuttavia con essa egli passerebbe il cerino acceso ai partiti. Questi infatti si troverebbero a doversi assumere dinanzi alla nazione la responsabilità di avere provocato lo scioglimento delle Camere, con i possibili danni, anche a livello internazionale, per il Paese. Inoltre, mentre le direzioni dei partiti parlerebbero di politica, i singoli parlamentari penserebbero che, o votano la fiducia a quel governo, o vanno a casa. E non hanno nessuna garanzia di essere rieletti. Ciò li renderebbe molto proclivi a parlare della saggezza del Presidente, della ragionevolezza del programma, delle necessità del Paese e di ogni altro sacro principio che gli consenta di mantenere il seggio in Parlamento.
Queste considerazioni pragmatiche consentirebbero inoltre di creare una maggioranza. Infatti le due grandi formazioni, il M5S e il centrodestra, non potrebbero che dire di sì, per non assumersi la responsabilità dello scioglimento delle Camere. E sarebbero la maggioranza di fatto. Esse si direbbero obbligate dal destino e dal rispetto dovuto al Presidente della Repubblica a questa alleanza innaturale e temporanea, ma intanto saremmo usciti dal guado. Il governo, in un modo o nell’altro, farebbe fronte alle scadenze improcrastinabili, e accompagnerebbe la nazione verso una nuova legislatura. Male che vada, ci terrebbe compagnia fino al gennaio dell’anno venturo.
Pd e – forse – Fratelli d’Italia potrebbero cavarsi lo sfizio di votare contro, ché tanto, i loro parlamentari non rischierebbero di perdere il seggio.
Che tristezza, che la guida di un grande Paese debba dipendere da considerazioni di bassa bottega come queste. Ma ci possiamo consolare con l’idea che attualmente, in Turchia, cose del genere non si potrebbero verificare.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
3 maggio 2018

IL GOVERNO DEL PRESIDENTEultima modifica: 2018-05-03T14:37:16+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “IL GOVERNO DEL PRESIDENTE

  1. Fra l’altro, il governo si forma, col giuramento dei ministri, PRIMA del voto di fiducia. Se non ottiene la fiducia, non è che il governo automaticamente “sparisce”: rimane in carica, continua a svolgere le sue funzioni fino alla formazione di un nuovo governo (con calma…). E la limitazione agli “affari correnti” non la vedo né nella Costituzione né nella legge 400/1988: semplicemente un fatto di “delicatezza istituzionale”? Di “prassi costituzionale”? Anche gli specialisti battibeccano fra di loro, ad esempio per l’ammissibilità di “decreti legge”. E poi, vai a vedere che cosa è e che cosa non è “affare corrente”, se non caso per caso.
    E il Parlamento, dopo averlo “sfiduciato”, nel frattempo che fa? Sta lì a girarsi i pollici, aprendo la finestra di tanto in tanto per trarre auspici dal volo degli uccelli? Ma neanche per sogno: è regolarmente costituito e funzionante (dopo che ha costituito le varie “Commissioni”) e non si vede perché non dovrebbe “lavorare” a produrre ciò che serve alla Nazione, se ci riesce anche con maggioranze “a geometria variabile”: l’iniziativa legislativa non spetta mica solo al Governo.
    E lo spoil system (art. 19 D.Lgs. 165/2001) si può attuare o no?
    Quindi, se Mattarella decide di attribuire l’incarico a Tizio e Tizio accetta, giura e con lui i ministri, il governo è fatto.
    Poi, potrà succedere di tutto. Il caos. Ma a quel punto chissà che dal caos non emerga qualche meraviglioso ircocervo che porti il Paese a luminosi destini?
    Certo, è tutto da vedere come la prenderebbero i “partner europei”….

  2. Quanto agli affari correnti, potrei sbagliarmi, ma credo che sia il principio generale del “regime di prorogatio”,che forse fa parte dei principi del diritto amministrativo.
    Comunque la distinzione comincia già nel condominio, dove delle spese correnti rispondono gli inquilini, mentre le spese eccedenti l’ordinaria amministrazione ricadono sui proprietari.

  3. “In questo periodo dover scrivere di politica e raccontare ciò che accade nel Palazzo è allettante come buttarsi dal terzo piano. Abbiamo votato due mesi fa e ancora non sappiamo di che morte morire. I partiti litigano e ovviamente non combinano niente né potrebbero combinare qualcosa di utile per un paese spaesato. Personalmente da oltre un anno ho ripetuto fino alla noia che dopo il fallimento del referendum renziano sarebbe stato peggio che pria. Prediche inutili. In quel dicembre andammo ai seggi con l’intento di far secco Matteo Renzi accusato di essere un bullo e anche un po’ pirla. Ci riuscimmo alla grande costringendolo a sloggiare da Palazzo Chigi, sostituendolo con Gentiloni. Sai che affare. Eravamo persuasi, una volta eliminato l’odiato premier fiorentino, di poter votare subito e di vivere felici e contenti. Col cacchio. A un anno e mezzo dal fausto evento siamo qui a bestemmiare poiché le stelle fetenti, pur avendo avuto il 33 per cento dei consensi, non sono capaci di costituire una maggioranza. Abbiamo giubilato un presidente del Consiglio e ci ritroviamo tra le palle Di Maio, un pistolino senza qualità benché ricco di arroganza partenopea. Da spararsi. “ ( Vittorio Feltri )

    Ma il peggio deve ancora arrivare. Secondo Piero Fassino il sistema politico ha smesso di funzionare quando da bipolare è diventato tripolare. Quindi per farlo ripartire la soluzione è semplice : tornare al bipolarismo. L’idea è di un’alleanza di governo del PD con il M5S per costituire il nuovo polo di centro sinistra da contrapporre al polo di centrodestra. La speranza, o l’illusione, è che il PD riesca ad addomesticare e poi ad assorbire il movimento di Grillo. Un’operazione simile a quella fatta dalla DC con l’Uomo Qualunque nel ’48. Fassino è una persona perbene, i suoi toni sono pacati, ha stile, non è arrogante e sono certo che è spinto dalle migliori intenzioni, ma la sua rimane una proposta demenziale.

  4. Pardo, sugli “affari correnti”: non è così semplice (sempre che sia semplice per quanto riguarda il condominio). Veda in
    http://www.lavoce.info/archives/7590/governo-dimissionario-e-affari-correnti/
    https://www.ilpost.it/2013/03/08/affari-correnti-governo/
    http://www.lastampa.it/2018/05/02/italia/che-cos-lordinaria-amministrazione-di-un-governo-SzBHO8KbaPbbUuHpWZN1KK/pagina.html
    https://books.google.it/books?id=E82-i9m_rVAC&pg=PA55&lpg=PA55&dq=%22affari+correnti%22+definizione+governo&source=bl&ots=cAXFUgLCzR&sig=8Z_SfdrelnpCxZ7zM2341Zsn_IU&hl=it&
    sa=X&ved=0ahUKEwj169G9oOraAhVGwxQKHZKXBK0Q6AEIrwEwFA
    Discussa in dottrina la possibilità o meno che un Parlamento possa legiferare, o per meglio dire che un governo “sfiduciato” possa rifiutare la firma su una legge approvata dal Parlamento, impedendone quindi la promulgazione da parte del Presidente Repubblica. Non tutto è esattamente dettagliato nel diritto costituzionale, conta molto la “prassi” e il “rispetto per le istituzioni”. Quanto sarebbe considerato “eversivo” un rifiuto di firma su una legge approvata dal Parlamento, magari anche “leggermente oltre” gli “affari correnti” e tuttavia condivisa dal “popolo”, dalla “necessità”?

  5. Il punto è, caro Roberto, che il problema non riesce a turbarmi non perché non esista, ma perché è un problema generale, connaturato all’applicazione della legge. Da un lato c’è la norma che, per sua natura, è astratta, dall’altro c’è l’applicazione concreta, cioè l’inrterpretazione della norma e la sua applicazione al caso concreto. È ciò che dà luogo alla giurisprudenza. Nel diritto penale, secondo il sistema della Common Law, la giurisprudenza è sufficiente a creare un ordinamento giuridico, sunque – se è seria – non è un cattivo sistema.
    In Italia rischiamo di usarla malissimo: pensi al fatto che il concorso esterno in associazione marfiosa – un reato fantasioso, se mai ve ne fu uno – l’ha creato la giurisprudenza.

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