DI MAIO

Come tutti, non conosco Luigi Di Maio. Prima l’ho visto aggirarsi a Montecitorio, con l’eleganza professionale di un receptionist d’albergo. Poi l’ho sentito parlare e sono rimasto stupito dalla sua capacità di “dire la cosa giusta” del “Movimento”, anche se di una stupidità esemplare. Si è persino piegato a gridare il triplice: “Onestà, onestà, onestà”, insieme al gruppo degli imbecilli. La plastilina non ha problemi, in questi casi. L’ho sentito commettere errori di lingua italiana da accapponare la pelle (tipo “soddisfando” invece di “soddisfacendo”) del resto in linea con un curriculum scolastico che non si poteva nemmeno gonfiare. Né di maggiore rilievo era il suo passato politico. Insomma il giovanotto, malgrado il suo sussiego, era più scialbo di una comparsa.
Le cose sono peggiorate quando il Movimento 5 Stelle ha avuto un notevole successo. Da quel momento Di Maio non ha smesso mai – ma proprio mai – di proclamare che aveva ottenuto personalmente e da solo undici milioni di voti e che, per questo, gli toccava immancabilmente la carica di Presidente del Consiglio. Al povero Mattarella, Costituzione o no, non lasciava addirittura alternativa. Se quell’incarico non gli fosse stato conferito, sarebbe stata in pericolo la democrazia.
La quantità di scemenze che ha potuto dire è stata allarmante. Appena chiuse le urne ci ha fatto sapere che il Movimento aveva il diritto divino di governare e dunque lui al massimo poteva permettere agli altri partiti di offrirgli i loro voti, purché fosse in cambio di niente. Naturalmente ha rischiato suoni irriverenti che conoscono benissimo nella sua Napoli e il ragazzo è stato estremamente lesto nel rimangiarsi tutto ciò che non gli conveniva. Prima ha preteso che lo corteggiassero, poi, quando non si è presentato nessuno, è andato lui stesso ad offrire la sua merce a destra e a manca, come una donna di strada. Vedendo che rischiava di rimanere col cerino acceso in mano, non ha esitato a piegarsi ai ricatti di Salvini, ormai su un piede di parità. Aveva creduto di poter dar ordini al Presidente della Repubblica e, quando quello si è permesso di disobbedire, prima lo ha addirittura minacciato di farlo condannare per alto tradimento. Poi, quando si è visto perso, nell’eternità costituita da quarantotto o settantadue ore, ha cambiato la rotta di centoottanta gradi e si è recato sulla Canossa del Quirinale con la cenere in testa a richiedere l’aiuto di Mattarella. E questi, non avendolo mai preso sul serio, lo ha perdonato. In queste condizioni, è difficile sentirsi soffocare dalla stima per questo giovane rampante. E tuttavia è forse il caso di badare al sodo.
Il grande politico non è necessariamente simpatico. Bettino Craxi era un gigante, ma un gigante di cui non avrei fatto un amico, e D’Alema è sempre stato il paradigma dell’uomo antipatico, sarcastico senza per questo avere il senso del humour. Nello stesso modo, pur conservando le mie riserve personali, a poco a poco mi son dovuto arrendere all’evidenza: il giovane steward dello Stadio San Paolo di Napoli era qualcuno che, di riffa o di raffa, aveva fatto fuori un po’ tutti. Dopo avere incoraggiato il pasionario Alessandro Di Battista a togliere il disturbo, è riuscito perfino ad esautorare Beppe Grillo. Quando il creatore del Movimento l’ha fatta fuori dal vaso a proposito dell’Ilva, l’ha annullato dichiarando che le sue erano soltanto opinioni personali. Sutor, nec ultra crepidam. In altri termini, Beppe è un comico, lui il padrone del Movimento. E allora, congiuntivi o non congiuntivi, se Di Maio a trentun anni è arrivato a questo, probabilmente ha più cartucce da sparare di quanto credessi. Non come linguista, certo. Non come politologo. Non come uomo di cultura: ma come uomo d’azione questo ragazzo potrebbe riservarci delle sorprese.
La sua incoerenza, la sua mancanza di dignità, la sua disinvoltura nel contraddirsi, possono lasciare esterrefatti, ma non sono forse altrettanti sintomi che quest’uomo, pur non avendo letto Machiavelli, lo ha capito tanto meglio di altri? Di Maio non è né immorale né amorale. È uno che non si è posto il problema.
Non sto salendo sul carro del vincitore. Non soltanto oggi il vincitore, agli occhi dei molti, è Salvini, ma per saltare sul carro del vincitore bisogna avere ginocchia migliori delle mie. La diversa valutazione del giovanotto nasce proprio dall’episodio prima citato. Se Di Maio si sente abbastanza forte da zittire Beppe Grillo, è segno che gli ha sfilato il partito da sotto il sedere. E se è stato capace di questo, potrebbe darsi che vada veramente lontano.
Fra l’altro la sua duttilità, il suo pragmatismo, la sua tendenza a mostrarsi ragionevole e moderato potrebbero un giorno farlo prevalere su un Salvini che la sua stessa irruenza potrebbe condannare al passo falso prima, e al passo indietro poi. Mentre Di Maio, dimentico di un “Contratto” tutto da ridere, potrebbe guidare l’Italia per qualche anno senza “farla cadere nel burrone”. È quello che vedremo.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
10 giugno 2018

DI MAIOultima modifica: 2018-06-10T10:40:57+02:00da gianni.pardo
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11 pensieri su “DI MAIO

  1. Ma secondo me Grillo ha detto quella scemenza proprio per far dire a Di Maio “è una sua opinione personale, faccio io ragionando con la mia testa”. In questo modo “il popolo” dirà “hai visto Giggino, che tempra! Ha mandato a quel paese Grillo: un vero capo. Bravo!”. Una furba operazione di comunicazione, una “sceneggiata” insomma, studiata a tavolino da Casaleggio. In fondo, nel M5S Grillo ufficialmente è “nessuno”, non è né ideologo né presidente né segretario. Ed essendo “un comico” può permettersi di dire una panzana che, finché il 5S era solo “movimento”, era circolata in quell’ambiente, ma ora che è “governo”, Di Maio, perbacco, non può responsabilmente adottare come soluzione. E il suo compito è gravoso: ha sventolato un dossier, di cui LUI si occuperà e che certo risolverà, insieme a quell’altro migliaio giacente al ministero, di cui Calenda avrebbe voluto parlargli ma che Di Maio non ha avuto tempo di incontrare, essendosi subito immerso nel ruolo di ministro.
    Pardo, è roba seria! Questa di avere Di Maio ministro del lavoro è roba seria, voglio dire.

  2. Prof. non si arrovelli la testa,”facimme ambresse-ambresse” è n’omo furtunato.Macchiavellico ci si nasce, non è necessario studiarlo,come si dice dalle parti di Di Maio e anche mie:”sò facce senza scuorno (vergogna)”lui lo sà.Purtroppo la maggioranza di persone siffatte và avanti nella vita. Saluti Ciro

  3. Per Roberto. Tutte le ipotesi sono sempre lecite, quando non sono assurde. E la sua non lo è.
    Mi risulterebbe però problematico ammettere che Grillo si adatti ad essere la “spalla” di Di Maio, in questa farsa, e a fare la figura di chi si fa rimbeccare. Il comico, nei duetti, è il protagonista. Ma, ripeto, la sua ipotesi è lecita.

  4. Prima di ironizzare su chi non si è laureato, le farei presente che autentici campioni della politica e del pensiero, non si sono mai laureati.
    Craxi, De Gaulle, Benedetto Croce, Mussolini, Steve Jobs, Zuckerberg, Piero Angela, Mentana, Ferrara, è tutta gente che, per un motivo o per l’altro, non ha mai conseguito la laurea.
    Non serve la laurea per essere grandi politici o grandi intellettuali. Serve per essere grandi tecnici della politica, esperti nel ramo che ci si propone di amministrare.
    Ma il coraggio, la visione, il carattere che fa di un uomo un capo politico o anche un capo azienda, è tutta roba che non si impara a scuola.

  5. Credevo fosse quello che ho scritto. Ma Berlusconi, laureato in un tempo in cui la laurea contava più di oggi, è stato crocifisso perché una volta ha commesso un lapsus, dicendo “Romolo e Rèmolo”.
    Per curiosità, ho dato “Romolo e Remolo” nella riga “parole esatte” di Google e mi ha risposto che ci sono 10.100 voci. Come vede, l’Italia è lungi dall’averlo dimenticato.
    La laurea non è necessaria per parlar bene, ma parlar bene è necessario, se si parla in pubblico. Se non si fanno cattive figure. Napoleone, che era Napoleone, da giovane fu preso in giro perché aveva l’accento corso.

  6. No, non era quello che Lei intendeva dire, perché nel post Lei ironizza sul curriculum di Di Maio non laureato.
    Ma il problema di Di Maio non è che non sia laureato ma che non ha un pensiero, una visione.
    E a quello non si rimedia con una laurea.

  7. Caro Marino,
    in primo luogo, io non ho mai parlato del fatto che Di Maio non sia laureato, ho soltanto fatto ironia sul suo curriculum, di fatto criticando più Giuseppe Conte che lui.
    In secondo luogo, da titolo di studio si può (e si deve) prescindere quando il merito risulta aliunde, ma quando non risulta da nessuna parte, il problema non è più il titolo che non si ha, ma ciò che non si sa.
    Che poi è ciò che sta scrivendo lei.
    Infine credo pure d’avere scritto che, se Di Maio non ha grandi meriti culturali, ha lo stesso grandi meriti politici che un giorno – non si sa mai – potrebbero farne un personaggio importante. Ciò che io – e forse anche Lei – non saremo mai.

  8. Concordo quasi completamente con l’ottima analisi del “personaggio”; quello che non riesco a capire è se costui è consapevole o meno delle conseguenze delle sue azioni, ivi comprese le fantasiose e minacciose dichiarazioni pubbliche elargite a iosa, così, gratuitamente.
    Non credo sia un politico machiavellico, lo trovo inconsapevole e poco lungimirante.

    Prevedo che il M5S finirà, non fosse altro per il vuoto pneumatico di cui son fatti; un giorno, chi si fiderà di lasciar libero di parlare un esponente che, a voler essere buoni, è così sprovveduto?

  9. Concordo ma fino ad un certo punto. Ho sempre pensato che Di Maio fosse il meno grillono dei grillini e che proprio per questo fosse assurto a leader. Lui non crede a tutte le stupidaggini che dice, a differenza dell’emotivo Di Battista, che poverino sembra un adolescente esagitato alle assemblee scolastiche e che ottiene l’effetto di allontanare gli elettori maggiorenni.
    Di Maio mi ricorda un po’ Fini, che era il meno missino dei missini anche da leader della Fiamma; ad esempio ce lo vedrei bene in un altro partito nella prossima legislatura, se il Movimento traducesse in pratica il demenziale limite delle due legislature.
    Ma da qui ad intravvederne un potenziale statista ce ne corre… essere il meno stupido degli stupidi non equivale ad essere neppure il meno intelligente degli intelligenti.

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