MISINTERPRETING TRUMP

Sul Messaggero (1) Alessandro Orsini, professore alla Luiss, scrive un articolo sull’attacco di Trump all’economia turca.
La causa dello scontro è il fatto che Erdogan mantiene agli arresti domiciliari, con l’accusa di terrorismo, un pastore protestante americano, Andrew Brunson. Dopo infruttuosi negoziati e dopo sanzioni diplomatiche (poi divenute reciproche), Trump si è deciso a raddoppiare i dazi su acciaio e alluminio turchi, contribuendo largamente ad accentuare la crisi economica della Turchia e della sua moneta.
In un tweet, secondo Orsini, Trump rivendica “di avere agito intenzionalmente per danneggiare la Turchia”. Egli “è tra i principali protagonisti della crisi in atto”. “Vuole affermare il principio secondo cui gli Stati Uniti decidono e gli altri eseguono”. “Nessuno può dire agli Stati Uniti ciò che devono fare, ma tutti devono fare ciò che dicono gli Stati Uniti. La conseguenza pratica è che un solo cittadino americano agli arresti domiciliari, trattato con riguardo principesco in un Paese straniero, conta più di tutte le economie dei Paesi europei”.
Sono dolente, ma risulta difficile seguire il prof. Orsini in queste affermazioni.
Non si tratta di difendere Trump, si tratta di sapere che gli Stati Uniti non sono una “banana republic”. Quel Presidente sarà estroso e persino maleducato, all’occasione, ma non è un cretino e la politica dell’America non è al livello di un bambino che fa i capricci. In realtà la Turchia è da mesi divenuta un problema non soltanto per i turchi (che hanno perso lo Stato laico, la libertà e la democrazia) ma per l’intero quadro geopolitico. Basti dire che, per parecchio tempo, ha finanziato l’Isis comprando il suo petrolio, in violazione dei suoi impegni, e poi ha anche buttato in galera il giornalista che aveva osato documentare la cosa con delle fotografie. Inoltre Erdogan ha chiaramente manifestato il desiderio di divenire il campione dei sunniti (togliendo questo ruolo all’Arabia Saudita) e in prospettiva dell’integralismo islamico. Per ingraziarsi gli estremisti, non soltanto ha posto termine all’ultra decennale sotterranea alleanza con Israele, ma ha fatto comprendere il suo desiderio di mettersi alla testa di una crociata per cancellare quel piccolo Paese dal panorama. Inoltre si è politicamente allineato con la Russia e persino con l’Iran sciita piuttosto che con gli Stati Uniti. E tutto ciò pur essendo membro della Nato. La sintesi è che da parecchi anni la Turchia non è più l’alleato che è stato per tanto tempo. E infatti, se a lungo si è discusso della possibilità di ammetterla nell’Unione Europea (visto la sua notevole parte di territorio europeo, quella su cui si trova anche Istanbul), da quando Erdogan si è trasformato in dittatore, gettando in galera centinaia di migliaia di cittadini, di quell’associazione non si parla più nemmeno lontanamente. Insomma, per un grande Paese democratico che è anche la potenza dominante dell’Occidente i motivi di ostilità non mancano certo.
Considerando dunque che un Paese serio non agisce per motivi futili, c’è da credere che la storia del pastore protestante non possa che essere un pretesto. Probabilmente non solo Trump, ma lui e tutta la sua Amministrazione hanno ansiosamente aspettato l’occasione per tentare sia di affondare Erdogan, sia di ritrovare se possibile la Turchia di un tempo, democratica e buona alleata. Né può far velo che il pretesto scelto sia stato e sia insignificante: probabilmente a Trump risultava che, tenendo conto dell’orgoglio di Erdogan e della mentalità del Paese, la richiesta di liberazione del pastore era chiaramente irricevibile, e proprio per questo l’ha formulata. Infatti sarebbe da dementi danneggiare gravemente l’economia di un Paese alleato, con un atto di autentica guerra economica, e ciò soltanto per un’impuntatura. Proprio l’entità della reazione dimostra che si tratta di ben altro.
Anche ad essere vero che Trump pensi che l’America ha il diritto (più esattamente la forza) di dire agli altri quello che devono o non devono fare, questo preteso diritto lo eserciterebbe non certo per la residenza di un religioso ma per uno scopo di maggiore importanza, per esempio per segnalare che allearsi con la Russia, trascurando i legami con gli Stati Uniti e i doveri che discendono dalla lunga alleanza, può costare un prezzo altissimo. Il prof.Orsini banalizza un po’ troppo la politica estera. Neanche nelle operette del primo Novecento sarebbe plausibile lo scenario da lui descritto. Danilo non avrebbe certo scatenato una guerra pur di sedurre la sua Anna Glavari, una semplice Vedova, seppure Allegra.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
12 agosto 2018
(1)http://cercanotizie3.mimesi.com/Cercanotizie3/popuparticle?art=391688734_20180811_14004&section=view

MISINTERPRETING TRUMPultima modifica: 2018-08-12T06:51:07+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “MISINTERPRETING TRUMP

  1. Un amico mi ha segnalato che, per una volta, né lui né altri amici a cui lui ave-va girato il mio articolo, potevano essere d’accordo con me. Gli ho risposto come segue:
    Caro Xxxxxxx,
    pratico lo sport della discussione, anche su argomenti “alti”, da quando avevo dodici anni. Ed ho visto che si litiga con chi non ragiona, non con chi ragiona, an-che se ha un’opinione diversa dalla nostra. Basta concludere “we agree to disa-gree”, sorridere. Inoltre si litiga con i maleducati, non con le persone ammodo. E allora quando potrei litigare con te?
    Nel caso specifico non sono nemmeno sicuro del dissenso tuo e degli altri eventuali amici. Nel senso che potremmo esserci occupati di cose diverse. Io in-fatti mi disinteresso totalmente dell’essere umano Trump e guardo ai risultati. Se sono positivi, applausi (anche se la cosa è stata a danno nostro), se sono negati-vi, critiche. Tecnicamente.
    Ho letto che per Trump un comportamento imprevedibile, audace, provocato-rio, contraddittorio, e persino da bugiardo inaffidabile, è una tecnica negoziale, sviluppata nella sua vita di businessman. Dunque, ancora una volta, guardo ai ri-sultati, e il resto non m’interessa. Né la morale né la buona educazione ineriscono alla politica internazionale. Per me, quanto meno.
    Né troverei scandaloso l’eventuale “America only”. Sarebbe coerente con l’ “égoïsme sacré” di cui parlavano i francesi. Per lo stesso motivo non biasimerei la Germania se, come qualcuno afferma, essa approfitta della sua forza per fare i suoi interessi a scapito dei soci dell’Ue. E tutto il resto in proporzione.
    Si tratta di una concezione assolutamente cinica della politica internazionale, che non chiedo affatto di veder condivisa. A me basta sia un metodo valido per me, per interpretare ciò che avviene nel mondo. Io non ho mai avuto da lamen-tarmene, ma certo non lo imporrei agli altri.
    Sempre per quanto riguarda il caso specifico, ammettiamo che sia Erdogan sia Trump siano due bulli. Io biasimerò soltanto Erdogan, in politica internazionale, e perfino in materia finanziaria, perché Trump si può permettere di fare il bullo, avendo gli States dietro, Erdogan ha dietro il fallimento della sua politica econo-mica.
    Sempre in questo quadro, giudico gli alleati non secondo la loro moralità, ma secondo la loro utilità. Non dimentico mai quello che il Presidente degli Stati Uniti diceva di Fulgencio Batista: “He’s a son of a bitch, but he is OUR son of a bitch”.
    In conclusione il mio articolo non è in difesa di Trump ma, semmai, contro Er-dogan, persona spregevole che per giunta i suoi stessi difetti (l’autoritarismo e le tendenze dittatoriali, oltre alla sgradevole abitudine di buttare in galera gli avversa-ri) hanno messo nei guai. Qui c’è il mio lato sentimentale: amavo la Turchia di Atatürk, e non riesco a rassegnarmi alla Turchia attuale, anzi nemmeno a ricono-scerla.
    Se vuoi passare questo testo a chi non è stato d’accordo con me, fallo pure. Il dissenso non mi disturba e a volte mi arricchisce.
    Con affetto,
    Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

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