PARALLELO ECONOMICO 2011-2018

L’Italia sta col fiato sospeso. Per fine mese si attende il rating di Fitch sull’affidabilità del nostro debito pubblico. Il 7 settembre arriverà quello di Moody’s. Poi si aspettano le reali determinazioni del governo e, che i mercati siano già inquieti, lo dice lo spread con i titoli tedeschi, già passato da 130 a 280 punti base. Se poi pensiamo che il nostro rating attuale è soltanto uno o due gradini al di sopra dei titoli spazzatura, c’è da temere che potremmo avere una rovinosa fuga dai titoli italiani. Infatti parecchi grandi investitori hanno l’obbligo di non rischiare capitali sui famigerati junk bonds.
Speriamo che non avvenga nulla di tutto questo ma non potremmo esserne sorpresi. Qualcosa del genere è già successo nel 2011. Alcuni dicono che i mercati, le autorità europee, i competenti e tutto il resto dell’establishment si coalizzarono contro Silvio Berlusconi, per costringerlo a dimettersi. E tuttavia, che ci sia stato o no questo “complotto”, è una questione futile rispetto a quest’altra: c’erano motivi obiettivi perché Berlusconi si dimettesse?
Sul momento non la pensavo così, perché la crisi non era certo colpa sua. Viceversa, col senno di poi, devo riconoscere che sì: non soltanto era inevitabile che Silvio Berlusconi passasse la mano, ma la cosa era utile anche per lui.
L’Italia in quel momento aveva bisogno di un risoluto colpo di timone e il Paese non avrebbe permesso che lo desse Berlusconi. E se poté darlo Mario Monti fu perché, essendo il suo un “governo del Presidente” (della Repubblica), e cioè “un governo non politico” e soprattutto non “berlusconiano”, tutti i partiti, facendo finta di votare quelle leggi perché le proponeva Monti e non Berlusconi, hanno rimesso l’Italia in sesto. Mentre, se le avesse proposte il centrodestra, il Paese le avrebbero rigettate con sdegno, andando poi in malora.
Quella volta si è tentato di fare non ciò che era “popolare”, ma ciò che era “necessario”. Quanto fossero sgradite le misure di quel governo si è visto dopo, quando Monti, pensando ingenuamente che gli italiani gli sarebbero stati grati per l’opera compiuta, si è presentato alle elezioni ed è stato sonoramente sconfitto.
A conferma dell’imperitura condanna che ne avrebbe ricavato Berlusconi, basterà fare l’ipotesi che la professoressa Fornero fosse stata una sua ministra. Ancora oggi si sputa fuoco sulla sua legge, quasi che abolendola si farebbe di nuovo scorrere latte e miele nei fiumi.
La situazione attuale è simile a quella del 2011, con alcune importanti differenze. Allora il problema si era già verificato e si trattava di porvi rimedio; oggi invece, malgrado le avvisaglie dello spread raddoppiato, i guai si tratta soltanto di prevenirli. Allora si poté passare la patata bollente ad un governo neutrale; oggi la maggioranza non ha alternative e se dovesse provare a porre in essere dei provvedimenti impopolari, non potrebbe certo sperare nel sostegno dei partiti all’opposizione. Infine – e forse questa è la differenza più importante – mentre allora per salvarsi fu necessario adottare provvedimenti coraggiosi, oggi per salvarsi basterebbe non dire e non fare sciocchezze. Purtroppo Giove rende pazzi coloro che vuol perdere. Il grande problema dell’attuale governo è la sua totale mancanza di senso del reale.
Ciò che allarma i mercati è la sostenibilità del nostro debito pubblico. E infatti essi si sentono rassicurati dalle voci che promettono attenzione al bilancio, anche a costo di non realizzare le folli promesse elettorali. Purtroppo si è scritto “le voci”, ma in realtà la voce è soltanto una, quella del ministro Tria. Mentre Matteo Salvini e Luigi Di Maio dicono tutt’altro: che non terranno conto del problema delle coperture; che spenderanno in deficit; che non obbediranno alle autorità europee; che si disinteresseranno delle società di rating e delle reazioni dei mercati. E Di Maio arriva a dire che l’Italia non è ricattabile. In fondo ha ragione: è forse un ricatto quello di non comprare i titoli di Stato italiani? Il problema è però quello delle disastrose conseguenze di un simile fatto sulla nostra economia.
E allora, chiederà qualcuno, se costoro e i loro sodali delirano in questo modo, come mai la crisi non si è ancora verificata? Il fatto è che il mondo non prende sul serio ciò che dicono i nostri governanti, perché parlano troppo facilmente “a ruota libera”. E i mercati hanno smesso di scervellarsi perché, tanto, questo parlare a vanvera non può continuare indefinitamente. Le scadenze oggettive sono talmente prossime (parliamo di settembre, ottobre) che presto di tutto questo parleremo al passato. Sperabilmente senza avere l’anima a lutto.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
15 agosto 2018

PARALLELO ECONOMICO 2011-2018ultima modifica: 2018-08-15T11:31:03+02:00da gianni.pardo
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