PONTE MORANDI: CHI È IL COLPEVOLE?

Quando i possibili colpevoli sono pochi, la scoperta dell’assassino è meno difficile. Questo anche se, molti anni fa, nel caso dei coniugi Bebawi si sapeva che il colpevole era uno di loro, ma non si seppe mai chi dei due. Tanto che fu inevitabile assolvere entrambi. Ma questa è l’eccezione. Di solito rimane vero che più sono i possibili colpevoli, più è difficile individuare chi realmente lo è. E quando – come nel caso del crollo del Ponte Morandi di Genova – sono implicate decine e decine di persone, per giunta nell’arco di mezzo secolo, scoprire un colpevole è come cercare l’ago nel pagliaio.
Se la mentalità è quella di Stalin (e oggi, forse, di Erdogan e Di Maio), si può certo usare la sciabica e gettare in galera chiunque potrebbe – potrebbe – avere una responsabilità. Ma se l’Italia è ancora uno Stato di diritto, per condannare qualcuno bisogna provarne la responsabilità, e il problema può divenire arduo. Ecco perché si rimane sbalorditi sentendo con quanta sicurezza molti politici – e in particolare gli esponenti del Movimento 5 Stelle – sono sicuri che i responsabili sono i dirigenti dell’Atlantia. Ovviamente potrebbero benissimo esserlo – chi dice di no? -, ma da “potrebbero” a “sono” la strada è lunga.
Ammettiamo che un tecnico dell’Atlantia abbia scritto in una relazione: “Il ponte presenta dei problemi, ma non tali da far temere un collasso. Tuttavia, nel dubbio, si consiglia a codesto Ministero di commissionare un’indagine più approfondita per determinare gli eventuali, opportuni interventi”. Il destinatario potrebbe averne dedotto che il ponte poteva ancora tirare avanti e dunque abbia rinviato l’accertamento alla prossima ispezione di routine. Poi il ponte è crollato ed è cambiato il punto di vista di tutti. Il funzionario dell’Atlantia potrebbe aggrapparsi al fatto che ha segnalato l’opportunità di un’indagine più approfondita, e il funzionario ministeriale al fatto che non era da temere un collasso.
Questo genere di vicoli ciechi – per un’opera che è stata costruita nel 1967 – potrebbe essere moltiplicata per chissà quante volte. Basti dire che la Società doveva presentare una relazione ogni tre mesi, e il Ministero era tenuto ad autonome, approfondite ispezioni biennali, se non ricordo male. Insomma le cose sono complicate.
La gente e i politici si fanno poi molte illusioni. Sono convinti che i giudici non sbaglino mai, che la medicina sia una scienza senza falle e che – top dei top – l’ingegneria sia una materia senza incertezze. In realtà, proprio perché si sa quanto sbaglino, per i giudici ci sono anche tre gradi di giudizio e l’ingegneria può presentare tante incognite che, se un manufatto è previsto per sopportare un peso di tre tonnellate, le norme impongono che esso sia progettato in modo da poterne sopportare dieci o venti. Un po’ come se, per tenerci su i calzoni, ci mettessimo due cinture l’una sull’altra e ci aggiungessimo anche robuste bretelle. Loro le chiamano “tolleranze”, noi potremmo chiamarle “paura della brutte sorprese”.
E questo non è il peggio. In sede di progettazione si ha un problema teorico. Questo è il terreno, queste le forze in campo, esecuzione. Quando invece si deve diagnosticare la causa di un fenomeno, anche il migliore degli ingegneri può grattarsi a lungo la zucca. Da dove deriva questa umidità? Ecco una domanda che a volte è difficilissima.
Ho esperienza diretta di un caso di umidità in cui sono stati implicati tre ingegneri e un geologo, ognuno con una teoria diversa. Un caso che si è risolto soltanto anni dopo, quando un vicino imbecille si è finalmente deciso a riparare una perdita d’acqua nel suo giardino.
E allora, perché cede un pilone? Potrebbe essersi rotto uno strallo. Giusto, ma perché? E si poteva prevedere? Se sì, in che modo? E ancora: non potrebbero essersi arrugginite in un punto le armature dell’impalcato, tanto da collassare, tirandosi dietro il resto e lo stesso pilone? E se invece l’acqua del torrente adiacente avesse sottratto alla fondazione del pilone la base su cui si appoggiava, squilibrandolo? Se sotto la roccia su cui poggiava il plinto di fondazione ci fosse stata una caverna, e questa fosse crollata per cause naturali? Poco importa la verosimiglianza delle ipotesi di un profano: l’idea che sia facile determinare la causa di un crollo – basta incaricare un perito – è da sprovveduti.
L’indagine potrebbe determinare la responsabilità dei dirigenti dell’Atlantia. Oppure dei loro ingegneri. Oppure dei loro funzionari. Oppure dell’ing.Morandi buonanima. Oppure dei funzionari del ministero. Oppure del ministro dei Lavori Pubblici che non dette seguito alla relazione più allarmata.
Certo, col senno di poi tutti dicono che bisognava chiudere la A10 in quel punto. Ma come avrebbero reagito i genovesi nel momento in cui personaggi come Beppe Grillo dicevano che il ponte poteva durare ancora cento anni? Come avrebbero sopportato, “senza necessità”, tutti i disagi di cui soffrono attualmente?
Le certezze attualmente sbandierate da molti sono assurde. L’accertamento delle responsabilità richiederà tanto di quel tempo, che probabilmente qualcuno dei colpevoli se la caverà morendo prima della sentenza della Cassazione. Trattare in modo semplicistico problemi complessi è sempre un eccellente sistema per dire sciocchezze.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

28 agosto 2018
Invito gli amici ad usare come indirizzo giannipardo1@gmail.com. Grazie

PONTE MORANDI: CHI È IL COLPEVOLE?ultima modifica: 2018-08-29T07:32:30+02:00da gianni.pardo
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