CRISI DI CIVILTA’

L’Italia è in crisi. Lo è economicamente e perfino dal punto di vista culturale. Che la sua situazione sia particolare lo si vede anche dal fatto che Wall Street da mesi inanella record, la Germania scoppia di salute economica e Paesi che, fino a ieri, erano in crisi – come la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo e persino la Grecia – si riprendono, mentre noi segniamo il passo. Così uno tende a pensare che il nostro sia un caso unico. Ma non è così. Se siamo un caso speciale per il nostro astronomico debito pubblico, non siamo un caso speciale dal punto di vista sociale e politico. L’intera Europa è in crisi di valori. Non soltanto il Continente non crede molto all’Unione, ma non crede più neanche ai partiti e alle ideologie che sono stati la base della nostra vita associata, per oltre settant’anni. Il disorientamento è totale. Gli europei non credono neanche in sé stessi. Come se tutte le strutture, indegne di sopravvivere, stessero collassando e tutti si rendessero conto che è necessario trovare altro. Si vive l’alba di un giorno nuovo senza sapere in che consisterà la sua novità. Addirittura senza nemmeno sapere se poi staremo meglio o peggio di prima. I sintomi sono numerosi.
La Francia, dopo un momento di disorientamento, ha eletto il Presidente Emmanuel Macron soltanto come un ripiego, per non ritrovarsi l’ex Front National all’Eliseo. Ma già è scontenta di lui. E questa ostilità confina pericolosamente con un disprezzo, che ben difficilmente si poteva sentire per De Gaulle o perfino Mitterand. La credibilità della Quinta Repubblica è a rischio.
In Germania, i due partiti che hanno dominato la nazione dalla fine della guerra hanno il fiato corto. La SPD addirittura rischia di sparire. Le recenti elezioni in Baviera denunciano la fine della fiducia nell’ordine costituito. Vediamo avanzare partiti pressoché anti-sistema come i Verdi e Alternative für Deutschland e la Merkel presto potrebbe essere un ricordo. È sicuro che la Germania ci guadagnerà? Anche quel grande Paese vuole qualcosa di nuovo, ma è un nuovo migliore del vecchio?
La Gran Bretagna ha avuto tanto poca fiducia nell’Europa da lasciarla. Poi magari si è accorta di non aver fatto un affare, ma quel voto, se ha un incerto significato per il futuro, segna un sicuro rifiuto del passato.
Né migliori e più stabili appaiono le prospettive di Spagna, Austria, Ungheria, Polonia. Per non parlare della Turchia che, pur di cambiare, si dà ad una dittatura a sfondo teocratico.
In tutta l’Europa è venuta meno la visione del futuro. Per molti decenni avevamo previsto – alcuni con speranza, molti con angoscia – il trionfo del comunismo. I Paesi occidentali nemmeno sapevano se la loro battaglia di retroguardia sarebbe servita ad arrestare la marea montante della Falce e Martello. Poi il comunismo è imploso, ma è rimasta in piedi la fede nel socialismo. Più o meno la stessa teoria economica, ma almeno con la garanzia delle libertà repubblicane. Lo Stato socialdemocratico, col suo generoso Welfare, è stato per tutti un’evidenza priva di alternativa. Ma oggi anche il socialismo è in crisi: lo vediamo in Germania, ma soprattutto in Italia, dove gli sopravvive soltanto la sua caricatura: il populismo.
Se anche il socialismo agonizza, veramente non sappiamo che cosa rappresenti il futuro. È l’intera società che ha il fiato corto. Tutti parlano di cambiamento – parola magica e vuota, quasi come quell’ologramma di Obama – ma, se tutti vagheggiano qualcosa di meglio, nessuno sa in che cosa potrebbe consistere: essere tutti pensionati, a carico dello Stato?
La disperazione induce l’Italia a tollerare un governo di ignoranti, di incompetenti, di imprudenti, di ripetenti. Che differenza, con la Rivoluzione Francese. Forse allora il popolo non era all’altezza di un’ideologia talmente colta, solida e strutturata, da essere capace di trionfare in tutta l’Europa anche dopo Waterloo. Che differenza, con la Rivoluzione Russa. Anche allora dei rivoluzionari di professione sognarono di realizzare un’utopia, quella di Marx. E sacrificarono ad essa la prosperità del Paese e perfino la vita di milioni di persone: tanto forte era la convinzione di essere nel giusto. Ora invece l’Europa non sa più a che santo votarsi. La plebe – una plebe in automobile – pretende il nuovo subito, anche se non sa in che consisterà, e non esita a far rovinare l’edificio che per tanti decenni l’ha protetta dalle intemperie. Così il povero Candide, che ormai desidera soltanto coltivare il suo giardino, comincia a temere che la follia umana non lo lascerà in pace nemmeno lì.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

CRISI DI CIVILTA’ultima modifica: 2018-10-16T07:55:03+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “CRISI DI CIVILTA’

  1. Qui torniamo al discorso sull’anaciclosi e sulla brevità dell’esistenza umana: siamo sicuri che gli italiani abbiano davvero di che essere disperati?
    Non nego l’esistenza della povertà e nemmeno le difficoltà di molte persone, ma la stragrande maggioranza, anche di quelli che si lamentano, vivono bene: hanno in tasca lo smartphone, hanno la macchina, vanno a mangiare al ristorante (provate ad uscire il sabato senza aver prenotato), vanno in vacanza, i figli fanno una o più attività sportive non certo gratuite e a loro volta hanno lo smartphone.
    Se ci fossero ancora oggi più persone che hanno vissuto la guerra e la miseria del dopoguerra, credo che il tasso di disperazione/insoddisfazione sarebbe molto più basso.

  2. Prof.” i danari vanno dove stanno gli altri danari” legge economica insegnatami da mia nonna,poter spiegare quanta saggezza ci sia in quel proverbio ci vorrebbe un tomo grosso così,egoismi personali uniti al perdurare di una crisi economica hanno portato a una perdita di valori.Saluti Ciro

  3. Caro Prof.
    continua a fondare i suoi ragionamenti su una vulgata economica che nemmeno i rappresentanti ortodossi dell’ordoliberismo nostrano osano proporre più : Monti , Cottarelli , Draghi e via elencando..
    La Spagna, il Portogallo e perfino Grecia non si sono riprese affatto; l’Inghilterra non si è pentita e la Francia negli ultimi 10 anni ha portato il debito pubblico dal 60 al 100 per cento sforando a ripetizione il fatidico 3% per noi irraggiungibile; la Deutsche Bank è sull’orlo di una crisi di nervi dovuta al surplus commerciale della Germania; essere grandi creditori quando i propri debitori sono divenuti poveri non è un affatto rasserenante.
    Per sostanziare un ragionamento politico che continui a bollare il governo come
    “ignoranti, di incompetenti, di imprudenti, di ripetenti” credo sia indispensabile acquisire fondamenti di “macroeconomia” corretti e fondati su dati oggettivi e soprattutto non fermarsi agli editoriali del C.d.S..
    Non bastono i congiuntivi sbagliati per bollare un gruppo di politici…
    Gesù era un falegname… Pietro un pescatore…sono sicuro che sbagliavano ben più di un ottativo !….
    Saluto

  4. Caro Memmo,
    Lei continua a giudicare severamente le mie tesi economiche, e non me ne meraviglio. Mentre per l’economia della massaia non ci sono discussioni, quando si arriva all’economia politica, i pareri divergono. Inoltre, si può essere più o meno informati, in questo Lei ha ragione, ma in questo caso – me ne darà atto – sono più numerosi, in Italia e all’estero, quelli che la pensano come me che quelli che la pensano come Lei. Naturalmente questo non significa niente, ed io non intendo convincerla con questo argomento, come Lei immagino non speri di convincere me.
    Dunque concluderò con due affermazioni:
    La prima, che in certe differenze d’opinione il vero giudice è la realtà. Che il capitalismo produca ricchezza e il marxismo miseria lo dice la storia, per esempio. Dunque, nel nostro caso, aspettiamo di vedere i risultati concreti. Per esempio, i “competenti” del M5S sostengono di non avere sparato cifre a caso, perché l’Italia si riprenderà, il pil salirà all’1,,5%, e i conti torneranno. Se avranno ragione, io avrò avuto torto nel mio pessimismo. Ma se avranno torto, avrà avuto torto anche Lei.
    La seconda è che l’argomento del numero di coloro che la pensano in un modo, rispetto ad una minoranza che la pensa in un altro modo, è ciò che distingue i sani di mente dai malati. Insomma, se assolutamente tutti mi dessero torto, io mi fermerei a riflettere, invece di trattare Junker da ubriacone. Fra l’altro, se beve sono affari suoi.e questo è un argomento meschino. Come se Junker rispondesse che Di Maio è ignorante e Salvini e brutto e, all’occasione, volgare. Questi non sono argomenti da statisti.
    Infine – e chiudo – per quanto riguarda i tecnici, i professionisti, i competenti o comunque vogliamo chiamarli, si ricordi l’aurea regola di Carlo Cipolla secondo la quale i cretini sono in uguale percentuale in tutti gli ambienti. Per giunta, come detto prima, in primo luogo esistono diverse teorie, in economia politica, e in secondo luogo non sempre i politici seguono i consigli dei loro tecnici, dunque non è giusto attribuire agli economisti del passato tutte le colpe. Senza dire che Keynes è stato una moda universale, che ancora oggi dà rappresentanti come l’ineffabile Antonio Rinaldi.
    Ma – ripeto – aspettiamo i fatti.
    Spero di non aver commesso troppi errori, non ho il tempo di rileggere, in questo momento (“A cena!”)

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