Secondo un titolo del Corriere della Sera (18/10), Renzi dice che la “Quota Cento” è ingiusta e va abolita. Secondo lo stesso titolo, Conte gli risponde: “No, è un pilastro della manovra”. Ma ovviamente non è l’unico contrasto, all’interno di questa similmaggioranza. Pare infatti che Di Maio si opponga strenuamente all’obbligo del Pos. Ma qualche commentatore dice che, malgrado questa situazione conflittuale, il governo durerà anni: l’interesse di non andare a nuove elezioni e di non perdere il seggio è infatti troppo forte. Ovviamente potrebbe avere ragione e tuttavia.
Ottant’anni fa, a proposito del patto Ribbentrop-Molotov per la spartizione della Polonia, comparvero un po’ in tutto il mondo diverse versioni della stessa vignetta: Hitler da una parte e Stalin dall’altra si stringolo la mano mentre nella sinistra tengono dietro la schiena un revolver o un pugnale. Il senso era chiaro, l’alleanza era innaturale e ognuno dei contraenti aspettava la buona occasione per cambiare mano e programma.
Un’alleanza non è una vera alleanza se è tenuta insieme soltanto dall’interesse, perché questo è tendenzialmente miope. Una coppia che sta insieme per amore, per amore dei figli, per la propria immagine sociale, ed anche per convenienze concrete, se ha un contrasto su questo ultimo punto, prima di rompere prenderà in considerazione anche gli altri legami. Se invece l’interesse è l’unico collante, l’unione viene meno anche quando si poteva ancora salvare.
Il Presidente del Consiglio f.f. tiene a tenere insieme il governo perché, dopo di esso, prevedibilmente non ha altre prospettive. Mentre i partiti che sostengono il governo non pensano tanto al governo stesso, quanto al loro posizionamento in vista delle future elezioni. Esse, infatti, malgrado le difficoltà costituite dalla nuova legge sulla riduzione dei parlamentari, potrebbero aversi in qualunque momento. Se un partito intravvedesse una propria buona occasione per votare, non esiterebbe un istante.
In questo campo la varie formazioni non sono nella stessa situazione. I più alieni dal voto sono certamente i parlamentari del M5s, infatti nessuno osa sperare di avere lo stesso successo avuto nel 2018. Le previsioni sono addirittura di un dimezzamento, se non peggio. Dunque, per loro, tutto, salvo nuove elezioni. Se cadesse il governo, l’unica possibilità che avrebbero sarebbe quella di cercare di allearsi di nuovo con la Lega, squalificandosi come una prostituta a fine carriera. Né è sicuro che la Lega sarebbe disposta ad allearsi con loro. Dunque, avanti così, a qualunque costo.
Il Pd vive del piacere insperato di essere tornato al governo e della debole scusa di averlo fatto “per salvare l’Italia da Salvini”. In realtà, prima di costituire il governo, Zingaretti si era chiesto se non gli convenisse andare subito alle urne. Poi, pressato da ogni parte, si è acconciato a questa alleanza, ma non è legato ad essa tanto strettamente quanto i pentastellati. Ora si tratta soltanto di non combinare troppi disastri a fine anno. E sempre sperando che l’eventuale discredito del governo non ricada pesantemente anche su di loro.
Il caso più notevole è quello di Matteo Renzi, uomo dai contorni così vividi e marcati, da farne un personaggio storico già da vivo. Quando i francesi si resero conto che François Mitterrand era un uomo politico senza scrupoli, senza lealtà e senza principi, lo definirono “faux jeton”, gettone falso, cioè bugiardo e ipocrita. Ma le persone colte lo chiamarono più elegantemente “Le Florentin”, il fiorentino. Ebbene, Renzi è più fiorentino dei fiorentini.
Ha cominciato dicendo sempre peste e corna del Movimento, fino a mettersi di traverso, nel 2018, quando si era ventilata l’ipotesi di un’alleanza. Poi cade il governo e Renzi proclama in Parlamento che proprio col Movimento bisogna costituire un nuovo governo per “salvare la patria da Salvini”. In realtà aveva un suo personale interesse. Ottenuto il nuovo governo, esce dal Pd e fonda un suo partito, per non dipendere da Zingaretti in caso di nuove elezioni. Il Segretario infatti, per vendicarsi del modo come lui stesso, Renzi, aveva stilato le liste dei candidati per le elezioni del marzo 2018, avrebbe potuto non candidare né lui né nessuno dei suoi. Attualmente sostiene il governo, perché non ha ancora la forza di volare con le sue ali. Infatti al suo partitino le intenzioni di voto assegnano all’incirca un 3%, con cui non si va da nessuna parte. Ma Renzi attende soltanto di rafforzarsi. Ottenuto anche questo risultato, non appena gli converrà, farà cadere il governo, costi quel che costi agli altri partiti ed anche all’Italia.
In questo atteggiamento è giustificato dalla precarietà del suo proprio sostegno. Mentre il Pd si appoggia su due tradizioni, quella comunista e quella democristiana di sinistra, che hanno decenni di storia dietro le spalle, lui è solo e privo d’alleati. Dunque non è nemmeno detto che sopravviva politicamente, e approfitterà precipitosamente di qualunque buona occasione.
La conclusione è che questo governo potrebbe durare fino alla fine della legislatura ma potrebbe anche non durare fino a primavera, se soltanto a qualcuno convenisse rovesciarlo. Come nelle vignette sul patto Ribbentrop-Molotov.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

ultima modifica: 2019-10-19T13:33:29+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “

  1. “Se cadesse il governo, l’unica possibilità che avrebbero sarebbe quella di cercare di allearsi di nuovo con la Lega, squalificandosi come una prostituta a fine carriera. Né è sicuro che la Lega sarebbe disposta ad allearsi con loro. ”
    Visto il successo della manifestazione unitaria del centro destra di piazza San Giovanni, escluderei l’ipotesi di una nuova alleanza M5S-Lega.
    In Umbria è facile che vincerà il centro destra ed anche questo successo allontanerà l’ipotesi.
    Dopo le ultime sparate di Grillo, che evidentemente ha problemi di demenza senile, credo che il M5S non abbia molte alternative a rimanere attaccato con le unghie, i denti e il bostik alle posizioni che sta occupando.
    Il MoVimento è nato dal nulla e lì è destino che torni, prima o poi: è come una brutta malattia, il corpo (elettorale) reagisce e poi guarisce.

  2. ” “Mezza cartuccia” è ancora poco, per gli standard di Umberto Bossi. L’altra grande frattura con Silvio Berlusconi, consumata nel 1994 con la caduta del primo governo del Cavaliere, aprì una stagione di insulti senza precedenti nella storia politica italiana. Per il leader leghista, l’ex alleato era diventato “il mafioso di Arcore”, “il grande fascista”, nonché un “suino”. E via così.
    Tra il 1994 e il 1999, la Lega ha condotto una durissima campagna contro il Cavalier “Berluskàz” o “Berluskaiser”. Il primo filone prendeva spunto dalle inchieste palermitane sui rapporti tra Cosa nostra e la Fininvest. Per Bossi, “Berlusconi è l’uomo della mafia, un palermitano che parla meneghino, nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord”, scrive sulla Padania il 19 agosto 1998. “La Fininvest è nata da Cosa Nostra. Ci risponda, Berlusconi, da dove vengono i suoi soldi”. Silvio “riciclava i soldi della mafia” (7 luglio 1998), o meglio “quel brutto mafioso” guadagna “i soldi con l’eroina e la cocaina (Corriere della sera, 15 settembre 1995). Il secondo filone dipinge l’ex e futuro alleato come un fascista, anzi “il grande fascista di Arcore” (10 aprile 1995, La Repubblica). Berlusconi è “peggio di Mussolini” (16 giugno 1998, La repubblica), “un mostro antidemocratico” (11 febbraio 1995), “suino Napoleon” (4 luglio 1995, La Stampa), “Nazista, nazistoide, paranazistoide” (14 gennaio 1995, Corriere della Sera). In più è un “incapace”, una “febbre malarica”, con una “tendenza alla vaccaggine” (13 gennaio 1995, Corriere della sera).

    Bossi lo dice chiaro: “Bisogna che si mettano in testa tutti, anche il Berlusconi-Berluskàz, che con i bergamaschi ho fatto un patto di sangue: gli ho giurato che avrei fatto di tutto, che sarei arrivato fino in fondo, per avere il cambiamento. E non c’è villa, non c’è regalo, non c’è ammiccamento che mi possa cambiare strada… Berlusconi deve sapere che c’è gente che ne ha piene le tasche e che è pronta a far il culo anche a lui” (1 novembre 1994).
    Bossi è incontenibile. Per lui, Berlusconi è “Wanna Marchi”, “bollito”, “povero pirla”, “ubriaco da bar”, “piduista”, “molto peggio di Pinochet”.
    Berlusconi, di rimando, definiva Bossi “un uomo dalla mentalità dissociata”, “ladro di voti”, “pataccaro”, “cadavere politico”, “sfasciacarrozze” con il quale “non mi siederò mai più allo stesso tavolo”. Poi all’avvicinarsi delle elezioni politiche del 2001, i due leader del centrodestra capirono che solo una nuova alleanza avrebbe garantito la vittoria nel collegi elettorali del Nord e quindi nel Paese, come in effetti avvenne. Cinque anni di insulti sanguinosi furono archiviati, Berlusconi ritirò la montagna di querele contro Bossi e La Padania…. ”
    https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/26/bozza-insulti-bossi-berlusconi/186654/

    Finì tutto a tarallucci e vino con i due che passeggiavano come due vecchi amici nel parco di casa Berlusconi ad Arcore. 🙂

  3. Se l’orologio del kernel non funziona, bisogna cambiare la batteria: quando il PC è molto vecchio, succede.
    Oggi è il 20 di ottobre del 2019, il gentile lettore ci ha dimostrato che Bossi era un malandrino, lui e la Lega di quei tempi. Bene.
    Salvini ha cambiato pagina, è ben accolto anche in Calabria e si sta preparando a guidare una coalizione di centro destra unita (che riconosce le differenze al suo interno) pronta a governare l’Italia.
    Quando sarà il momento, a dio piacendo.

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