UN DIVERSO MODO DI FARE POLITICA

Se c’è una cosa normale, naturale, umana e, direi, inevitabile, è essere stufi della politica attuale. Questo sentimento è talmente diffuso che, se qualcuno viene a proporre “un diverso modo di fare politica”, trova subito orecchie attente e speranzose. E, si noti, questa accoglienza positiva si ha ancor prima di sapere se la proposta sarà di destra o di sinistra, realistica o utopica, diversa nei contenuti o soltanto diversa nelle modalità di applicazione.
Questo spiega il successo di quei movimenti estemporanei come i “girotondi” di tanto tempo fa, il “popolo viola”, checché fosse (neanche me lo ricordo) e tutte le altre manifestazioni di piazza che si autodefiniscono emanazioni della cosiddetta “società civile”. Questa “società” è qualificata dal fatto che non annovera politici di professione. Ma è notevole che spesso i suoi membri aspirino ad uscire dalla società civile per entrare in quella politica.
Tutto ciò conferma che, in sé, la politica non è un’etichetta di successo. E questo quale che sia la qualità del vino contenuto nella bottiglia. Così, ogni volta che si va “contro”, si parte con un successo che pare travolgente, mentre i vecchi accolgono questi fenomeni con l’atteggiamento disincantato e vagamente ironico di chi dice: “Vediamo quanto durano questi”. Infatti “questi” arrivano dopo “quelli” e “quelli” dopo tanti altri di cui si è persa la memoria.
Parlando seriamente, la prima cosa che bisogna chiedersi è: in democrazia esiste, può esistere un diverso modo di fare politica? Che possano esistere idee politiche diverse e persino contrapposte, è ovvio; che le modalità possano andare dal triviale (“vaffanculo!”) all’aulico, anche questo è noto: e potremmo trovare altre dicotomie. Ma costituiscono “diversi modi di fare politica”? Certamente no. Infatti, ogni movimento che si voglia presentare come nuovo non rigetta questo o quel modello, ma tutti i modelli precedenti. E così imbocca un vicolo cieco.
La democrazia è caratterizzata dalle libere elezioni. Sono queste che determinano quale maggioranza deve governare il Paese, e in quale direzione. Ovviamente, la democrazia non può accettare che il “nuovo modo di fare politica” consista nell’abolizione delle elezioni e del segreto del voto, o nel consentire alla minoranza di imporre la propria volontà alla maggioranza. Rinnegherebbe la sua stessa essenza. Ma se si accettano le elezioni, la libertà di parola e il resto delle caratteristiche fondamentali della democrazia, con esse si accettano, perché ineliminabili, i comizi, i dibattiti politici, la formulazione di programmi, le campagne elettorali, la demagogia e, ovviamente, i partiti. E questi non cambiano la loro natura se li chiamiamo movimenti, leghe, alleanze, rassemblement, unioni e via dicendo. Infatti io stesso, da sempre chiamo il Movimento 5 Stelle partito, perché per me il nome deve corrispondere alla sostanza, senza ipotizzare distinzioni artificiose e prive di fondamento. Una donna ha tutto il diritto di prostituirsi, ma non ha quello di pretendere che la si chiami escort o accompagnatrice. E comunque il termine “partito” non è indecente. Quelle organizzazioni possono non piacere, come può non piacere la democrazia, ma gli altri regimi sono peggiori, come ha detto Churchill. Se dunque dobbiamo tenerci la democrazia, dobbiamo tenerci anche i partiti. Senza di essi non avremmo la possibilità di far conoscere agli elettori i programmi di governo, l’organizzazione del consenso in vista della costituzione di una maggioranza parlamentare e, in fin dei conti, il regime democratico.
Così si può venire alle famose “sardine” e ai loro virtuosi rifiuti di trasformarsi in partito. Loro, dicono, non vogliono scendere in politica, non vogliono influenzare concretamente la vita della nazione, ma soltanto idealmente: “Comportatevi bene, ragazzi”. Qualcuno dovrebbe segnalargli che o stanno mentendo o non hanno capito niente. Mantenendo la posizione attuale finiranno con lo svanire nel nulla; costituendosi in partito, contraddiranno ciò che ora sostengono tanto orgogliosamente. E faranno cattiva figura. L’unica soluzione, se vogliono combinare qualcosa, è smetterla subito di parlare del “diverso modo di fare politica”. Prendano il loro biglietto e si mettano in coda. C’è un solo modo di far politica. Se le “sardine” lo accettano, sono le benvenute, e vediamo che ne pensa l’elettorato. Se non l’accettano, sarà come se entrassero in una macelleria insistendo per avere una bistecca di unicorno.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
21/12/19

UN DIVERSO MODO DI FARE POLITICAultima modifica: 2019-12-23T10:34:01+01:00da gianni.pardo
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