L’ONORE PERDUTO

Non so chi scriva i titoli di “Repubblica” ma dev’essere una persona coraggiosa se ha posto sopra un articolo di Carlo Bonini queste parole: “L’onore perduto della magistratura”. Bonini sostiene che questo drammatico evento si è verificato a causa della cattiva figura che le ha fatto fare Luca Palamara con l’intercettazione delle sue conversazioni con tanti colleghi. Di fatto quel titolo è doppiamente falso: perché la magistratura non può perdere l’onore, finché c’è una parte di magistrati – che presumo sia la maggioranza – composta da specchiati galantuomini. E poi perché, se qualcuno pensava che tutti i magistrati fossero modelli di virtù, di intelligenza e perfino di cultura giuridica, sarebbe segno che non li ha frequentati. Ma avendo a che fare con persone che si esprimono in modo suggestivo, è meglio andare alla sostanza.
Bonini non è un demente. Essendo un giornalista di “Repubblica”, ha sempre saputo ciò che oggi espone con meraviglia. Dunque, se assume questo atteggiamento è per “cavalcare la tigre”, per porsi dal lato dei lettori indignati, dicendo “noi” mentre in realtà – se non lui, almeno “Repubblica” – ha sempre fatto parte di “loro”.
Tutta la sinistra ha non soltanto tollerato ma applaudito l’eccesso di intercettazioni come quelle che hanno inguaiato Palamara e la magistratura, e lo ha fatto nella convinzione che esse avrebbero sempre colpito i suoi avversari politici. Quando Palamara dice che bisogna andare contro Salvini, e distruggerlo, per così dire, anche se penalmente innocente, che altro dice, che altro fa, se non quello che per decenni ha fatto la magistratura politicizzata contro Berlusconi? Di che si meraviglia, di che si indigna, Bonini? Qualcuno ha dimenticato i nomi di Andreotti, Del Turco, Mannino, Mastella e mille altri? Quant’è lunga la lista dei politici accusati dai magistrati, indagati e processati per anni, fino a scomparire dall’orizzonte, per poi essere assolti con formula piena, ma “a babbo morto”? Francamente, il giornale di Bonini non è il pulpito adatto, per la predica moralistica.
Ci dovremmo piuttosto indignare ancora una volta noi, per una sinistra radical chic che ha sempre negato l’esistenza delle “toghe rosse” e della magistratura politicizzata, semplicemente perché il fenomeno era utile alla sua parte politica.
Quanto agli intrighi e alle raccomandazioni, molti forse ignorano che, una volta entrati in magistratura, che si sia intelligenti o stupidi, colti o ignoranti (anche in diritto), attivi o battifiacca, si fa carriera. Nel senso che, col passare del tempo, si progredisce come qualifica. Tanto che tutti alla fine hanno il grado di consiglieri di Corte di Cassazione, anche se in vita loro non sono mai entrati nel Palazzaccio di Piazza Cavour. Un tempo, quando il grado iniziale della carriera era quello di Pretore, è perfino avvenuto che un magistrato, divenuto pretore nella sua cittadina di provenienza, abbia ritenuto utile non spostarsi mai, arrivando ai più alti gradi, come qualifica, e tuttavia rimanendo eternamente pretore, come funzioni. Ed io, da giovane, mi grattavo la zucca. Dal momento che tanti erano qualificati per divenire Presidente di Corte d’Assise, come venivano scelti, in concreto, quelli che esercitavano questa funzione? E lo stesso per le Sezioni della Cassazione, e non parliamo dei Presidenti di Sezione. Ma nessuno mi rispondeva.
La realtà era (ed è) che gli incarichi di prestigio dovrebbero andare ai magistrati più meritevoli, ma in realtà – seppure cercando di escludere quelli chiaramente “immeritevoli” – il CSM li ha sempre conferiti considerando i curricula ma soprattutto le raccomandazioni, i mercanteggiamenti, le correnti della magistratura di provenienza, le idee politiche e via dicendo. Tutte cose che non si possono certo confessare in pubblico. Purtroppo un “trojan”, essendo un aggeggio elettronico, non ha questi riguardi, e il povero Palamara (“povero” soltanto nel senso di “tradito dal suo cellulare”) è divenuto il simbolo del male in magistratura. È soltanto avvenuto che, per una volta, l’arma è scoppiata in mano a colui che la brandiva.
Troppi dimenticano che gli interlocutori del reprobo si dimostravano per la maggior parte “suoi simili”. Insomma, non c’è spazio per l’indignazione. Sarebbe come se qualcuno dicesse di avere scoperto con meraviglia che un professore d’università è diventato tale perché raccomandato da un “barone”. O che la tale prostituta non è vergine.
Non si dovrebbero indignare i giornalisti di sinistra contro i magistrati, si dovrebbero indignare gli italiani contro i giornalisti di sinistra che hanno tenuto il sacco a un gruppetto di magistrati poco corretti ma molto utili ad una certa parte politica, sul piano nazionale.
Ma parliamo anche delle colpe degli italiani in generale. In questo campo i nostri connazionali tendono a ritenere tutti i magistrati disinteressati, integerrimi, al di sopra delle parti, infallibili e a stento umani. E chi ha collaborato a fargli credere che, quando i magistrati accusano qualcuno, l’accusato è sempre colpevole? Quale altro articolo comprende, il codice penale di Marco Travaglio? Chi ha sempre amato l’idea di affidare ai magistrati la guida del Paese? “Il Fatto Quotidiano” si è addirittura creato una platea di lettori semplicemente avallando ogni indagine, ogni sospetto, ed essendo il megafono delle Procure.
Effettivamente c’è da indignarsi, ma soprattutto pensando a un Paese che, malgrado ogni smentita, si fa delle illusioni sui magistrati. E se ne fa anche su una classe politica che nel 1993, abolendo per viltà l’immunità parlamentare (di cui non ha capito la funzione storica e politica) ha consegnato con mani e piedi legati la vita pubblica all’ultimo dei Pm di provincia.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
28 maggio 2020

L’ONORE PERDUTOultima modifica: 2020-05-29T09:52:54+02:00da gianni.pardo
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