L’ELEFANTE THAILANDESE

Forse – ma soltanto forse – siamo padroni dei nostri comportamenti. Di certo non siamo padroni delle nostre emozioni. Io ho vissuto tre quarti d’ora di paura a dorso d’elefante, e in quei momenti non potevo certo pensare ad altro.
Mia moglie ed io eravamo in Thailandia e, fra le promesse del viaggio, c’era un bel giro a dorso d’elefante. All’“Elephant Camp” ci fecero salire su un palco vagamente simile a quelli per le impiccagioni, portarono vicino il pachiderma a noi destinato, col classico sedile sulla groppa, e ci fecero salire. Immediatamente si partì.
Noi, altrettanto immediatamente, ci accorgemmo che eravamo in posizione scomodissima. Il sedile era montato male, pendeva in avanti e non c’era nessuna sbarra per appoggiare i piedi e trattenersi. Né i piedi potevano arrivare al dorso dell’elefante. Dunque l’alternativa era quella di attaccarsi, contorcendosi disperatamente, allo schienale, e cercare di resistere fino alla fine, senza cadere da circa due metri e mezzo d’altezza.
Ma, dirà qualcuno, perché non dirlo al conducente, al “kornac” pare si chiami, seduto a cavallo del collo del pachiderma, che stava lì dinanzi a noi? Domanda ingenua. In che lingua? Io avrei potuto proporgliene mezza decina, ma lui parlava soltanto tailandese. E il giro non finiva mai. Gli altri si beavano della passeggiata, facevano fotografie, io mi chiedevo in che condizioni sarei stato, una volta raccolto da terra. O in che condizioni sarebbe stata mia moglie, col suo scheletro Swarovsky, cioè bello e fragile. Alla fine siamo tornati vivi alla base, ma quell’esperienza mi ha insegnato che, quando si teme per la propria incolumità, non ci sono argomenti interessanti per la conversazione né sufficienti occasioni per guardarsi intorno e apprezzare il panorama.
Oggi ho pensato a questo lontano episodio vedendo che, mentre gli articoli che mando agli amici parlano di questo e di quello, io personalmente non riesco a staccare la mente dal mio rovello, dalla mia segreta disperazione per quanto riguarda il mio Paese. L’idea che la sorte di tante persone possa essere nelle mani di quattro scalzacani senza competenza, senza idee chiare, senza coraggio, mi affligge al di dà di ciò che mi sento di esprimere. Anche perché gli altri potrebbero farmi notare che non gli dico niente di nuovo. Che io stesso ho già scritto queste cose troppe volte e che non serve a niente lamentarsi.
Vangelo. Ma se un padre ha un figlio poco intelligente, violento, drogato, e poi sa che è stato arrestato dai carabinieri perché ha partecipato ad una rapina in farmacia, pensate che dirà: “Ben gli sta?” Ovviamente sarebbe il commento giusto, ma un padre malgrado tutto vuol bene a suo figlio. E avrebbe soltanto voglia di piangere.
È la mia situazione con l’Italia. Da innumerevoli decenni vedo i suoi errori “crescere e moltiplicarsi”, e dunque so che essa dovrà pagare un conto per troppo tempo rinviato. E anch’io avrei voglia di piangere sulla mia patria.
Per giunta in passato si è verificato un fatto paradossale. Io ho identificato gli errori a mano a mano che venivano commessi, “dannandomi l’anima”, gli altri ci hanno fatto l’abitudine, fino a non prendere sul serio gli avvertimenti del buon senso. Hanno continuato a comportarsi in modo irrazionale e il sole ha continuato a brillare. Come spiegare a degli incompetenti che l’aritmetica e la vita non perdonano? Ciò che loro hanno visto è che la vita perdonava tutto, l’aritmetica era disprezzata come “atteggiamento ragionieristico”, e dunque era messa da parte, fino al totale itrionfo della generale demenza. Perché il nostro è un Paese demente. Più esattamente demente e cretino.
È demente quando non capisce come certa mentalità – e conseguenti comportamenti – siano nocivi. Per esempio avere ingessato il mondo del lavoro e avere creduto di averlo “protetto” con mille vincoli e pastoie, è da dementi, visto che la produttività langue, gli imprenditori non assumono (per paura della legislazione vigente) e il nostro mercato del lavoro è paralizzato. E lo stesso vale per mille altre cose, per esempio – e sarà l’ultimo esempio – per la burocrazia. Se lo Stato si mette a regolare e controllare anche gli spilli, la conclusione sarà che ci saranno ulteriori spiragli per la corruzione, lentezze infinite per bolli, pareri e verifiche, e magari chi dovrebbe mettere la firma finale non la mette per paura dell’ “abuso d’ufficio”. Un reato di cui probabilmente si è reso colpevole perfino il Padreterno in occasione della Creazione. Con una simile commessa, possibile che tutto sia regolare, per la legge italiana?
Ma se questa è la demenza, perché poi ho definito cretino questo Paese? Perché un demente normale può perfino ricavare qualche profitto, dalla sua patologia. Stalin ha danneggiato l’umanità come forse nessun altro prima o dopo di lui, ma è morto, amato e riverito, nel suo letto. Era un criminale, non un cretino, come avrebbe detto Carlo Cipolla. Invece la nostra dirigenza ha danneggiato l’Italia e sé stessa, in quanto ne ha ricavato una disistima pubblica che ci ha condotti al successo del M5S. Il quale però, essendo soltanto l’esagerazione dell’Italia precedente, ha combinato più guasti di prima. Così il Paese è stato portato all’attuale stato confusionale. Con “outlook negativo”, come direbbero le agenzie di rating.
E a che serve parlare di tutto questo? Assolutamente a niente. Potrebbe indurre qualcuno a cambiare comportamento? Neanche pensarci. E allora – ecco la conclusione – perché ne parlo? Soltanto perché non riesco a poggiare i piedi, per non scivolare, perché temo di farmi male, e perché in un caso del genere si pensa solo allo sforzo da fare per sopravvivere. Se mi rimane un po’ di forza, la uso per stramaledire i cretini che ci hanno messi nella situazione in cui siamo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
15 luglio 2020

L’ELEFANTE THAILANDESEultima modifica: 2020-07-15T11:01:44+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “L’ELEFANTE THAILANDESE

  1. “nelle mani di quattro scalzacani senza competenza” analisi perfetta, quello che pensavo anchio ma non postavo mai per paura di incorrere nel branco degli adulatori e odiatori. Saluti Prof.

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