SAVONA: IL DEBITO PUBBLICO NON È DA RIMBORSARE

Paolo Savona è un economista che mi spaventa. Basti dire che è amico di Antonio Rinaldi. E soprattutto si ricordi che è all’origine di uno dei pochi episodi – forse l’unico – in cui il Presidente della Repubblica Mattarella ha alzato la voce, per tenerlo lontano dal governo. Fino a farsi minacciare di impeachment dall’illustre studioso di diritto costituzionale statunitense di nome Luigi Di Maio. E tuttavia di tutto si tratta, salvo che di uno stupido. Dunque, se qualcuno mi deve dare dell’incompetente, che almeno sia lui.
Allettato dal titolo, “Debito pubblico tra ripagamento e rilancio” mi sono precipitato a leggere il suo breve articolo(1). Ecco la sua tesi: “I debiti pubblici non vengono mai rimborsati, ma rinnovati sopportando gli oneri relativi. Se fossero considerati eccessivi, si dovrebbe dichiarare il default, ossia di non volerlo rimborsare”, oppure “deprezzarlo con l’inflazione o rinegoziarlo con i creditori”. “Il problema del debito pubblico non è quindi quello del rimborso, ma dei costi necessari per rinnovarlo e delle conseguenze possibili” Il problema è quello della fiducia dei mercati, i quali possono temere il rischio della “ridenominazione dall’euro alla vecchia lira (o qualcosa di simile) e l’andamento della crescita reale” E questa a sua volta dipende dall’uso che si è fatto del denaro, perché la differenza è “se la sua destinazione sono gli investimenti” o “Se, invece, è destinato all’assistenza”.
Se è vero, come lui afferma, che “i debiti pubblici non vengono mai rimborsati, ma rinnovati sopportando gli oneri relativi”, se ne dedurrebbe che soltanto uno Stato di mentecatti potrebbe contrarre un debito pubblico. Immaginiamo un commerciante che abbia i conti in ordine, tanto spende e tanto guadagna. Situazione stabile ed onesta: se guadagna poco, è perché è un commerciante mediocre; se guadagna molto ha il genio del commercio. Ora immaginiamo che quest’ultimo abbia l’idea di ingrandire l’azienda. Contrae un debito di un milione di euro e, nel giro d’un paio d’anni, non soltanto ha pagato gli interessi e restituito il milione, ma il suo guadagno annuale è aumentato del dieci per cento. Operazione di successo.
Passiamo al commerciante mediocre, che ha anche lui l’idea di ingrandire l’azienda, contrae anche lui il debito di un milione, ma l’operazione commerciale non riesce e, in capo ad un paio d’anni non soltanto non guadagna di più, ma non ha la possibilità di restituire il milione. Sicché la sua situazione è quella di prima, solo che una parte del suo magro guadagno se ne va per pagare gli interessi su quel milione che non può restituire, e che non restituirà mai, secondo Savona. Non è chiaro che si trova nella situazione del negoziante costretto a pagare il “pizzo” mensile alla ‘Ndrangheta? Ha infatti un “socio occulto” che non contribuisce in nessun modo alla produzione del reddito, ma ne pretende una parte, minacciando il commerciante di farlo fallire. Morale della favola, un debito si giustifica soltanto se è temporaneo e serve a rilanciare la produzione di ricchezza o a superare una congiuntura difficile. Ma un debito stabile e improduttivo è un’assoluta iattura. Quasi l’acquisto di una tassa costante e volontaria. Un assurdo economico. La conclusione è che bisogna essere estremamente cauti, quando si contrae un debito, perché mentre il debito – e i relativi interessi – sono una certezza, il beneficio è soltanto sperato.
Ciò significa che l’annuncio giulivo con cui Savona proclama la sua tesi è del tutto ingiustificato. Egli avrebbe dovuto dire: “Non contraete mai un debito pubblico, perché potreste mettervi sul groppone una tassa eterna, che andrebbe a favore di nullafacenti magari esteri, mentre voi sarete poveri quanto prima ed anzi di più”. Sopportare gli “oneri relativi”, come lui scrive pudicamente, dovrebbe avere il sapore di una frase come questa: “Sposate una strega, se volete subire l’interminabile tormento di una donna insopportabile”.
Per la verità, lo stesso Savona prende in considerazione questa tragedia, quando scrive che, se fossero “eccessivi”, si potrebbe arrivare alla cessazione dei pagamenti, cioè al default, cioè al fallimento. Come dire: “Drogatevi pure, è divertente, ma mettete in conto che se ne può anche morire”. La gente non ha idea di che cosa significhi il fallimento della nazione semplicemente perché nessuno di noi ne ha avuto esperienza. Ma per sapere quanto possa essre crudele il cancro non è necessario contrarlo.
Rimedi possibili? Secondo Savona l’inflazione o il concordato preventivo con i creditori, anticamera del fallimento. L’inflazione galoppante è un’esperienza terribile, soprattutto per i ceti più deboli. Basti dire che la Germania l’ha avuta negli Anni Trenta del Novecento e, novant’anni dopo, la sua politica economica è dominata dallo spettro di quel fenomeno economico. Non è necessario dire altro. Anche per questo verso, il debito pubblico contratto e non rimborsato è una disgrazia nazionale.
Infine Savona, a proposito del debito pubblico, distingue quello che serve per investimenti [produttivi] e quello che serve per l’assistenza. Il primo promette la prosperità futura, il secondo il peggio del peggio. Ora basta chiedere: in Italia abbiamo un debito pubblico corrispondente, attualmente al 158% del prodotto interno lordo. Magari abbiamo visto gli investiment, che infatti Savona non aggettiva, ma qualcuno ha notizia degli investimenti produttivi? E qualcuno li ha visti da quando c’è stata la crisi della pandemia, che ha fatto schizzare il debito pubblico dal 134% del pil al 158%?
La conclusione è mesta: ho ragione io. Non esiste un debito pubblico che sia buono ed ha ragione la Germania, con la sua memoria quasi centenaria.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
8 ottobre 2020

(1)DEBITO PUBBLICO TRA RIPAGAMENTO E RILANCIO
Il problema non è quello del rimborso ma dei costi necessari per rinnovarlo

La gran parte degli economisti italiani, dopo aver assecondato la crescita del debito pubblico italiano a cominciare dalla crisi petrolifera di inizio anni 70, concordano ora che aumentare l’indebitamento in una situazione come quella che viviamo è pericoloso, ma anche necessario per evitare il peggio e non solo per il debito già in circolazione. Ciò che non convince di questa tardiva conversione è la motivazione: dicono infatti che il debito va rimborsato. La storia economica insegna che questa preoccupazione non ha fondamento perché, come ci hanno insegnato illustri maestri, i debiti pubblici non vengono mai rimborsati, ma rinnovati sopportando gli oneri relativi. Se fossero considerati eccessivi, si dovrebbe dichiarare il default, ossia di non volerlo rimborsare. Due altri modi per alleggerire il peso del debito è deprezzarlo con l’inflazione o rinegoziarlo con i creditori per concordare un importo inferiore. L’idea del rimborso tentò di affermarsi a Maastricht, ma Guido Carli, ben conscio degli effetti, se non proprio dell’impossibilità di farlo, concordò di fare convergere il debito pubblico verso il 60% del Pil; Carlo Azeglio Ciampi cadenzò con uno specifico accordo i tempi della convergenza. Anche questa riduzione relativa non si realizzò, nonostante alcuni piccoli progressi ottenuti prima della crisi del 2008, pagati con una perdita di efficacia della politica fiscale e una riduzione strutturale del nostro saggio di crescita reale. Il problema del debito pubblico non è quindi quello del rimborso, ma dei costi necessari per rinnovarlo e delle conseguenze possibili, che dipendono dallo stato della fiducia; questa, a sua volta, è legata a molti fattori, tra i quali, per l’Italia, il rischio reale o solo percepito di una sua ridenominazione dall’euro alla vecchia lira (o qualcosa di simile) e l’andamento della crescita reale. Nella disputa in corso sull’uso dell’indebitamento pubblico va tenuto presente che, se la sua destinazione sono gli investimenti, si aumenta il capitale che si lascia ai figli e ai nipoti, consegnando loro un bilancio dove attivo e passivo si equivalgono e, se la crescita reale aumenta, anche qualcosa in più. Se, invece, è destinato all’assistenza, per giunta con un’insufficiente spinta alla crescita del Pil, come sembra stia accadendo, le spese devono essere finanziate con tasse, contributi europei a fondo perduto o emissione di titoli irredimibili. Se il dibattito politico in corso non esamina in questo modo il quadro intricato da affrontare e continuerà a pendere da una parte o dall’altra, il Paese non potrà tornare sulla strada dello sviluppo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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SAVONA: IL DEBITO PUBBLICO NON È DA RIMBORSAREultima modifica: 2020-10-08T11:19:47+02:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “SAVONA: IL DEBITO PUBBLICO NON È DA RIMBORSARE

  1. ” Se è vero, come lui afferma, che “i debiti pubblici non vengono mai rimborsati, ma rinnovati sopportando gli oneri relativi”, se ne dedurrebbe che soltanto uno Stato di mentecatti potrebbe contrarre un debito pubblico. ”
    Caro Pardo, per smentire l’affermazione di Savona basterebbe indicare uno Stato
    ” non mentecatto ” che abbia rimborsato l’intero debito o che non abbia contratto debito. A me non consta. Lei ne conosce qualcuno ? Dagli Usa alla Svizzera, dalla Francia alla Germania, non c’è Stato senza debito pubblico e non c’è Stato che l’abbia rimborsato. Tutti mentecatti ? https://it.tradingeconomics.com/
    Ovviamente lungi da me voler sostenere che un alto debito pubblico sia un bene e non comporti gravi rischi per la stabilità finanziaria del Paese. Ma la sua avversione di principio ” Non esiste un debito pubblico che sia buono ..” è una posizione talmente estrema da non essere condivisa, per quanto a mia conoscenza, da nessun economista.

  2. Mi scusi, ma se ogni debito pubblico “comporta gravi rischi per la stabilità finanziaria del Paese”, non sarebbe meglio non averlo?
    Seguo comunque il suo ragionamento, se però lei è disposto a seguire il mio. Un debito buono è quello che, a conti fatti, ha creato più ricchezza di quanto sia costato. Come nel mio esempio dei due commercianti. Se invece il bilancio finale è che il Paese rimane indebitato, qualunque Paese indebitato ha commesso un errore ed ha distrutto ricchezza. Il fatto che anche Paesi prosperi siano indebitati, dimostra (è il caso della Svizzera) che hanno commesso meno errori degli altri, non che non ne abbiano commessi. Quanto agli Stati Uniti hanno un debito pubblico talmente enorme da mettere in pericolo la loro pur colossale economia. Non mi pare un grande risultato.
    Non esiste debito pubblico (costante e di fatto non rimborsabile) che sia buono. E dal momento che oggi tutti gli Stati della Terra sono indebitati, potremmo assistere ad una devastante crisi mondiale, una volta o l’altra. Io speso di non esserci.

  3. la differenza tra chi sostiene -in un certo senso- il “debito-pubblico” e chi lo teme, sta nella incapacità dei primi (i sostenitori) e nella capacità dei secondi (i detrattori) di prevederne le logiche -forse inevitabili- conseguenze.
    Ma non sempre la “logica” dirige le faccende umane……

  4. ” Mi scusi, ma se ogni debito pubblico “comporta gravi rischi per la stabilità finanziaria del Paese”, non sarebbe meglio non averlo? ”
    Certo, ma la politica deve scegliere il male minoreperché il meglio non è sempre disponibile. Adottando il suo punto di vista il governo Usa che si trovò ad affrontare la crisi finanziaria del 2008, innescata dal fallimento della Lehman Brothers e conseguente al mitologico ” laissez faire ” , avrebbe dovuto astenersi dall’intervenire nel salvataggio di imprese, fondi pensioni, banche e avrebbe dovuto lasciare che fosse il “mercato” a risolvere la crisi. E le conseguenze politiche , sociali e dunque economiche di questa scelta non le mette in conto ?

  5. Savona si può permettere di dire certe cose perché nessuno spiega agli italiani certi “fondamentali” di economia, compresi i trucchi e gli inganni. Tutte le sere in televisione in tutti i programmi si parla, si discute, ci si litiga, di Covid, mascherine, vaccini. I programmi di cucina sono ubiquitari. Alberto Angela “fa cultura” di storia e arte. Youtube è al 99% immondizia e stupidità. Le “pagine di economia” su internet sono di contenuto criptico o si rivolgono a già esperti e certo sposano questo o quello interesse. Va bene che economia (e finanza) sono tutt’altro che “scienza” (ah, Ricossa, come avevi ragione!), ma è evidente che l’ignoranza “del popolo” è diligentemente coltivata e mantenuta. E’ “affare di lorsignori”, tra cui i Savona, i politici, le banche, gli affaristi. Roba troppo difficile, come la transustanziazione, la Trinità, la Resurrezione, su cui si possono creare fiumi, mari di parole per creare “realtà virtuali” (e neanche univoche, ma diverse a seconda delle “ispirazioni”) che siamo chiamati a credere ciecamente. A noi tocca solo lavorare, pagare tasse e avere fede in questo o quel “sacerdote”. Tanto, alla fine, le conseguenze le paghiamo sempre noi: non mi risulta che nessun “economista” sia stato mai appeso a Piazzale Loreto.

  6. di solito non replico ai coraggiosi commentatori anonimi, ma stavolta faccio una eccezione.
    le osservazioni di “roberto” sono abbastanza condivisibili, e siccome si tratta di “religione” prendo a sostegno uno dei cardini del Pensiero Stoico =
    le “scienze-economiche” per il Saggio sono tutte false; per lo stolto sono tutte verre, per il politicante-economista sono tutte utili….
    tuttavia, quanti risulta siano gli “economisti” arricchiti ?
    se il percorso che la nostra Civiltà sta seguendo giungerà prossimo al traguardo temuto da G.Pardo ( e non solo da lui ),
    potrà essere la volta buona che a Piazzale Loreto……….

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